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Elezioni Roma Città Metropolitana: la proposta di Tocci

Tocci 20 nov. (foto ambm)Pubblichiamo la proposta  di legge di Walter Tocci, senatore PD ed ex vicesindaco e assessore alla mobilità di Rutelli, per Roma Città metropolitana. Per Tocci “la crisi della politica ha prodotto un degrado irreversibile dell’amministrazione. Non è più il tempo dei pannicelli caldi. Bisogna eliminare il vecchio Comune di Roma, ormai fuori misura, troppo grande per gestire la vita di quartiere e troppo piccolo per regolare le trasformazioni di area vasta. Le sue funzioni vanno trasferite agli attuali Municipi e alla nascente Città metropolitana. Si potrebbe votare a giugno per queste nuove istituzioni con la legge elettorale utilizzata in passato per le province, basata sui collegi uninominali, in modo da evitare la lotta per le preferenze che è l’humus del malaffare. Basterebbe una modifica di poche righe della legge Delrio, che ho già depositato in Senato. Il Pd deve farsi promotore della riforma istituzionale della capitale, proponendo agli altri partiti un accordo prima delle elezioni. È interesse di tutti che chi ottiene la fiducia degli elettori possa attuare il programma mediante uno strumento amministrativo moderno ed efficiente. Se bastano dieci giorni per la doppia lettura della revisione della Costituzione – come è sotto gli occhi di tutti – si può trovare il tempo per concordare un piccolo emendamento alla legge Delrio. Se gli altri partiti non fossero disponibili, il Pd inserirebbe la proposta nel suo programma elettorale, impegnandosi a realizzarla in caso di vittoria. Invece di chiudersi nella conta interna per i candidati, si presenterebbe agli elettori come il partito che vuole ricominciare a occuparsi del futuro di Roma” (> leggi l’intervento da cui è tratto il brano sul blg di Walter Tocci) (AMBM)

LA PROPOSTA DI MODIFICA ALLA LEGGE DELRIO

Proposta di legge

Disposizioni per la città metropolitana di Roma capitale,

in attuazione dello statuto della città metropolitana di Roma capitale

Onorevoli Senatori,

il prolungato commissariamento di Roma capitale, seguito alle dimissioni del Sindaco, impone una nuova attenta riflessione sull’ordinamento che il legislatore statale ha voluto definire per Roma, capitale della Repubblica, in attuazione dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione, così come innovato con la legge costituzionale n.3/2001.

Sono passati quasi tre lustri da quella norma, che portava a compimento – nelle intenzioni del legislatore costituzionale – dibattito e riflessioni che avevano accompagnato tutta la storia della Repubblica, fin dalla prima legislatura, quando in Parlamento si confrontarono diversi progetti di legge sull’assetto ordinamentale della Capitale, promossi dai partiti maggiori di quella remota stagione, senza tuttavia giungere ad un approdo condiviso.     Per oltre mezzo secolo, la “specialità” della Capitale della Repubblica fu segnata, sul piano normativo, solo dalla previsione, nella legge n.103/1953, di un contributo statale di parte corrente al Comune di Roma, “in relazione alle esigenze derivanti dall’essere la città di Roma sede della Capitale della Repubblica”, e dalla ben più matura legge n.396/1990 (“Interventi per Roma, capitale della Repubblica”).    Per il resto, per promuovere uno sviluppo equilibrato e moderno della città, ci si affidò, con alterni risultati, ai benefici (e alla legislazione di sostegno) dei “grandi eventi”:  le Olimpiadi del 1960, i mondiali di calcio del 1990, il Grande Giubileo del 2000.

La revisione costituzionale del 2001, come si è detto, ha finalmente portato ad un approdo solido.   Del resto, ben si comprende la difficoltà del Parlamento, almeno nelle prime legislature, ad affrontare la “specialità” di Roma, dopo l’orgia retorica del ventennio fascista e alla luce della esperienza del Governatorato, simbolo e in qualche modo “apripista” della compressione di ogni modello di autogoverno locale da parte della dittatura.   Nel 2001, però, e già nello stesso articolo 114, si affiancano e si intrecciano due distinte novità, riconoscendo da una lato la necessità di un ordinamento in qualche misura “speciale” per la capitale della Repubblica, dall’altro l’urgenza di un assetto nuovo e più efficace per il governo delle maggiori aree urbane del paese, con la previsione delle città metropolitane quali “elementi costitutivi” dell’edificio Repubblicano, insieme ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo stesso Stato.    Anche la concreta istituzione delle città metropolitane era attesa da tempo, almeno dalla legge n.142 del 1990.

In verità, per Roma le due dimensioni – la “capitalità”, che ne fa ovviamente un unicum nel panorama nazionale, e la “metropolitanità”, condivisa con le altre grandi città italiane – si intrecciano in modo inestricabile.    Roma aveva (ed ha tutt’ora) bisogno di un ordinamento differenziato, perché chiamata ad assolvere compiti e funzioni che riguardano l’intera comunità nazionale (e in qualche misura il mondo intero, per la presenza della Santa Sede e di alcune importanti istituzioni internazionali), ma ha anche bisogno di un modello efficace di governo metropolitano, perché Roma è perno di una vasta area di oltre quattro milioni di abitanti, perché alcune delle sue più importanti e moderne infrastrutture sono necessariamente collocate in territori diversi dal Comune di Roma, perché da almeno quattro decenni l’area della vecchia provincia ha assistito ad un progressivo riequilibrio della residenzialità, senza che fosse accompagnato né da un analogo riequilibrio delle opportunità di lavoro o di studio, né da un sufficiente potenziamento della mobilità pubblica e privata.

Dunque, Roma capitale della Repubblica (e centro della cattolicità) e Roma città metropolitana:  due volti della stessa realtà territoriale, di cui il legislatore doveva necessariamente tenere conto.   Del resto, se c’è un tratto che accomuna tutte le Capitali moderne – in ordinamenti pur tanto diversi tra loro – è proprio l’essere ad un tempo città “speciali”  e città “normali”:  speciali, per le funzioni che lì si esercitano, e per le implicazioni che ne derivano anche sul più banale e quotidiano esercizio di compiti amministrativi;  normali, per la necessità di assicurare ai propri cittadini servizi di qualità e quantità comparabili a quelli spettanti agli altri cittadini del paese, in una (appunto) normale dimensione di autogoverno locale.

Il legislatore ordinario, dopo la novella costituzionale del 2001, ha tardato a trovare una sintesi tra queste due esigenze, procedendo dapprima con la legge n.42/2009 (legge delega sul federalismo fiscale), poi con alcuni decreti legislativi concentrati sulla “specialità” del Comune di Roma, e infine con la legge 7 aprile 2014, n.56, che finalmente – sia pure con limiti e forzature – si è proposta di trarre fuori dalle secche, ormai quindicennali, la rotta delle città metropolitane. Alla Città metropolitana di Roma capitale la legge dedica tre commi:

101.  Salvo  quanto  previsto  dai  commi  102  e  103,  la  città metropolitana di Roma capitale é disciplinata dalle  norme  relative alle città metropolitane di cui alla presente legge.

102. Le disposizioni dei decreti legislativi 17 settembre 2010,  n. 156, 18 aprile 2012, n. 61, e 26 aprile 2013, n. 51, restano riferite a Roma capitale, come definita dall’articolo 24, comma 2, della legge 5 maggio 2009, n. 42.

103. Lo statuto della città metropolitana di Roma capitale, con le modalità previste al comma 11, disciplina i rapporti tra  la  città metropolitana, il  comune  di  Roma  capitale  e  gli  altri  comuni, garantendo il migliore assetto delle funzioni che Roma é chiamata  a svolgere  quale  sede  degli  organi  costituzionali  nonché   delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti,  presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del  Vaticano  e presso le istituzioni internazionali.

Non è questa la sede per esaminare i pregi e i difetti della legge n.56/2014.   Ci sia consentito però di sottolineare la coerenza dei tre commi appena richiamati:  con il comma 101, si riconosce che Roma è (anche) una città metropolitana, e condivide le difficoltà, le necessità e le speranze delle altre maggiori aree urbane del paese;  con il comma successivo, si ricorda che, a norma dell’art.114 Cost., il legislatore statale ha il diritto-dovere di disciplinare in modo appropriato l’ordinamento di Roma per quanto riguarda la sua “unicità” di capitale:  lo ha già fatto, con i decreti legislativi attuativi della legge n.42/2009, e evidentemente lo potrà fare ancora;  infine, con il comma 103 si richiamano tutti gli enti locali del contesto metropolitano ad una prova di consapevolezza, perché l’assetto più efficace di una moderna Capitale in uno Stato democratico è il frutto della convergente responsabilità delle istituzioni dello Stato e delle istituzioni territoriali (enti locali e Regione, beninteso).  

C’è dell’altro. Pur scegliendo senza esitazioni un modello di città metropolitana come “comunità di comuni”, affidata ad organi di governo di secondo grado, la legge 56/2014 ha lasciato alle singole realtà territoriali la possibilità di optare per una diversa forma di governo, con organi legittimati direttamente dal corpo elettorale, ed una più netta e forte assunzione di responsabilità da parte dell’autorità metropolitana.   Recita infatti il comma 22:

22. Lo statuto della città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del sindaco e del  consiglio  metropolitano  con  il  sistema elettorale che  sarà  determinato  con  legge  statale.  E’  inoltre condizione necessaria, affinché si possa far luogo  a  elezione  del sindaco e del consiglio metropolitano  a  suffragio  universale,  che entro la data  di  indizione  delle  elezioni  si  sia  proceduto  ad articolare il territorio del comune capoluogo in più comuni.  A  tal fine il comune capoluogo  deve  proporre  la  predetta  articolazione territoriale, con  deliberazione  del  consiglio  comunale,  adottata secondo la procedura prevista dall’articolo 6,  comma  4,  del  testo unico. La proposta del consiglio comunale deve  essere  sottoposta  a referendum tra tutti  i  cittadini  della  città  metropolitana,  da effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei partecipanti  al  voto.  E’  altresì necessario  che  la  regione  abbia  provveduto  con  propria   legge all’istituzione dei nuovi comuni e alla loro denominazione  ai  sensi dell’articolo  133  della  Costituzione.  In  alternativa  a   quanto previsto dai periodi precedenti, per le sole città metropolitane con popolazione superiore  a  tre  milioni  di  abitanti,  è  condizione necessaria, affinché si possa far luogo ad elezione  del  sindaco  e del consiglio metropolitano a suffragio universale,  che  lo  statuto della città metropolitana preveda la costituzione di zone  omogenee, ai sensi del comma 11, lettera c), e che il  comune  capoluogo  abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone  dotate  di autonomia amministrativa, in coerenza con  lo  statuto  della  città metropolitana.

Lo statuto della Città metropolitana di Roma capitale, approvato nei termini e con i modi stabiliti dalla  legge, ha indicato senz’altro questa prospettiva, sollecitando anche la trasformazione in Comuni dei Municipi dell’attuale comune di Roma capitale, anche se non indispensabile a norma dell’ultimo periodo del citato comma 22. Ovviamente lo statuto immaginava che il percorso si sarebbe completato entro la primavera del 2018, quando sarebbe giunto al termine il mandato del sindaco di Roma. Le cose, com’è evidente, sono andate diversamente e spetta al legislatore statale raccogliere la sfida lanciata dal territorio, facendo in modo che quel traguardo possa essere accelerato e rapidamente raggiunto proprio in seguito alla conclusione anticipata della consiliatura capitolina.

La proposta si configura come una piccola modifica della legge n. 56 del 2014 e potrebbe essere approvata rapidamente dal Parlamento. In tal modo alle prossime elezioni si andrebbe a votare direttamente per la Città metropolitana.

Infatti, non avrebbe senso tornare a votare per gestire la vecchia macchina comunale che ormai non può funzionare chiunque la guidi. Sarebbe meglio predisporre una nuova istituzione della capitale da affidare all’indirizzo di governo della classe politica che gli elettori sceglieranno alla scadenza elettorale della prossima primavera.

Il disegno di legge propone il superamento del Comune di Roma. La crisi politica e amministrativa ne ha fatto esplodere le disfunzioni, ma era già da tempo una struttura amministrativa obsoleta. È insieme troppo grande e troppo piccola. È troppo grande per il governo di prossimità dei servizi ai cittadini e della vita di quartiere, ed è troppo piccola per il governo dei processi ormai dilagati a scala regionale, nella demografia, nell’economia, nei trasporti, nell’ambiente e nell’urbanistica.

Sull’area vasta è ormai decollata la Città metropolitana ed è bene che non si sovrapponga ma acquisisca le competenze del Comune di Roma, al fine di semplificare l’assetto istituzionale. Tale unificazione di competenze è necessaria per governare le grandi politiche infrastrutturali, per guidare una credibile politica di sviluppo economico locale, per promuovere uno sviluppo urbanistico socialmente ed ecologicamente sostenibile. Alla nuova istituzione di area vasta occorre assicurare una compiuta legittimazione popolare mediante l’elezione diretta, come già previsto nello statuto metropolitano. A tal fine il disegno di legge risolve il vuoto normativo delle norme elettorali riattivando la legge provinciale n.81/1993 basata sui collegi, che per quindici anni ha dato ottima prova di sé. Si ritiene necessario riportare il numero dei consiglieri metropolitani a 45. Non solo per semplificare la definizione dei collegi, ma per restituire al consiglio metropolitano un grado di adeguata rappresentatività delle comunità locali che concorrono a costituire la più grande comunità metropolitana. Resterà ovviamente la conferenza metropolitana, composta da tutti i sindaci del territorio.

La dimensione locale del governo cittadino si propone di affidarla agli attuali Municipi, trasformandoli in Comuni metropolitani al fine di metterli in grado di rispondere direttamente ai cittadini senza rimpalli di competenze. Il disegno di legge conferisce all’attuale gestione commissariale il compito di avviare da subito un potenziamento del “bagaglio funzionale” dei Municipi, preparandoli alla transizione.  

Del resto, nel 2016 potremo ricordare il 40 anni dalla prima legge sul decentramento infracomunale (n.278/1978) e il mezzo secolo dalla prima sperimentazione di decentramento capitolino:  un arco di tempo molto lungo, in cui molto è stato fatto, fino però a toccare un punto critico difficilmente risolvibile nello schema del mero decentramento. L’ordinamento metropolitano offre una nuova possibilità: un governo forte di area vasta, per governare con efficacia le funzioni di interesse comune, e molti comuni, autonomi e autogovernati, vere “amministrazioni di prossimità”, che possono essere più efficaci e vicine ai bisogni dei cittadini proprio perché affidano all’autorità metropolitana l’esercizio di funzioni altrettanto importanti. Lo statuto metropolitano ha la possibilità (e quello di Roma capitale l’ha colta appieno) di assicurare flessibilità nel riparto di funzioni tra comuni e città, anche in modo asimmetrico. E’ insomma possibile che la città metropolitana eserciti in modo più incisivo e diretto le sue funzioni nel cuore della conurbazione (a cominciare dal territorio dei “vecchi” Municipi di Roma capitale trasformati in Comuni), e ne eserciti anche altre, delegate dagli stessi Comuni, riconoscendo invece un più ampio spazio di autonomia ai Comuni più distanti, caratterizzati da una più spiccata identità territoriale.

Si può, dunque, e per questo si deve sperimentare una forma di governo metropolitano inedita, che sappia coniugare le molte sfide che a Roma si intrecciano:  la capitale e la metropoli, il governo di prossimità e il governo di area vasta.

La proposta legislativa, quindi, sviluppa quanto aveva già indicato, sia pure come mera opzione, la legge n. 56 del 2014, valorizzando una scelta già fatta propria dalle istituzioni metropolitane romane. L’intervento qui proposto fa affidamento, ovviamente, alla urgente necessità di un nuovo “patto repubblicano” tra lo Stato, la Regione Lazio e le istituzioni locali, ciascuno chiamato a fare la propria parte per realizzare il nuovo modello di governo metropolitano. Del resto, è la Costituzione a rammentarci che solo la legge regionale può formalizzare l’istituzione di nuovi Comuni, ed è la legge dello Stato (la legge 56) a sollecitare, nei limiti del possibile, la ricerca di una intesa tra istituzioni locali e regione per la definizione delle “zone omogenee”. Come sarà la legge regionale a procedere al riparto delle funzioni amministrative ex art.118 Cost., a “riempire di contenuti” l’indicazione delle funzioni fondamentali metropolitane e comunali (stabilita dal legislatore statale rispettivamente con la legge 56/2014 e con il decreto legge n.95/2012), a governare il complesso processo di riparto del patrimonio, delle risorse e dei rapporti giuridici attivi e passivi del Comune di Roma, verso i nuovi Comuni, nati sulle ceneri dei vecchi Municipi, e verso la stessa Città metropolitana.

Ci sarebbero, ovviamente, molti altri aspetti dell’ordinamento metropolitano meritevoli di correzione, alla luce della prima sperimentazione, ma essi interessano ovviamente tutte le città metropolitane e debbono essere affrontati dal Parlamento in modo organico; un’anticipazione in questo provvedimento risulterebbe incongrua e inopportuna.

Si tratta invece di aprire una nuova stagione di governo per Roma e per il suo territorio metropolitano, per ripartire con regole nuove e uno spirito nuovo dopo le enormi difficoltà, le crisi, gli errori degli anni passati. Se Stato, regione Lazio e istituzioni locali, insieme – ci riusciranno, sarà proprio il caso di ripetere l’antico adagio latino ex malo bonum!

Proposta di legge

Disposizioni per la città metropolitana di Roma capitale,

in attuazione dello statuto della città metropolitana di Roma capitale

Articolo 1

(Forma di governo della città metropolitana di Roma)

  1. A norma dell’articolo 1, comma 22, della legge 7 aprile 2014, n.56, nel rispetto di quanto previsto dallo statuto della città metropolitana di Roma capitale, approvato con deliberazione della conferenza metropolitana n.1 del 22 dicembre 2014, il sindaco metropolitano e il consiglio metropolitano della città metropolitana di Roma capitale sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori residenti nel territorio della medesima città metropolitana, con le modalità stabilite dalla legge 25 marzo 1993, n.81, per l’elezione degli organi delle province. Il consiglio metropolitano di Roma è costituito da 45 componenti.
  2. Entro sei mesi dalla proclamazione del sindaco metropolitano eletto ai sensi del primo comma, la città metropolitana di Roma capitale costituisce nel proprio ambito più zone omogenee, a norma dell’articolo 1, commi 11, lettera c, e 22, della legge 7 aprile 2014, n.56, e dell’articolo 22 dello statuto.   Di norma il territorio di ciascuno degli attuali municipi di Roma capitale costituisce una zona omogenea.
  3. L’amministrazione comunale di Roma capitale cessa di esistere alla data della prima elezione del sindaco della città metropolitana. Il commissario straordinario in carica per l’amministrazione di Roma capitale alla data di entrata in vigore della presente legge attribuisce ai municipi ulteriori funzioni e risorse in particolare nei settori dei lavori pubblici, gestione del verde, servizi sociali, patrimonio e bilancio, sentito il parere del consiglio metropolitano. Le funzioni residue sono assegnate alla città metropolitana. Le norme di legge per l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica, si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.
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