Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Grande come una città: intervista a Christian Raimo (da Micromega)

de cataldo serata III MunicipioPubblichiamo un’intervista  di Giacomo Russo Spena di Micromega a a Christian Raimo, neo Assessore alla cultura del  III Municipio, che ha lanciato in piena estate “GRANDE COME UNA CITTA’ Lezioni aperte negli spazi pubblici del III Municipio”. Dopo gli affollatissimi incontri con il prof. Luca Serianni,  il musicista Filippo Gatti e l’attore Valerio Mastandrea,  martedì 11 settembre alle ore 19.30 nel Piazzale della Metro Conca d’Oro sarà la volta del magistrato/scrittore Giancarlo De Cataldo  con MALAROMA Storie di crimini e politica (AMBM)
(da Micromega, 5 settembre 2018)

Raimo: “La politica è semplice: cultura e partecipazione contro il governo della paura”

Lo scrittore, nonché da poco assessore alla Cultura nel III municipio di Roma, sta costruendo un ciclo di iniziative itineranti che stanno avendo grande successo: “Esiste una grande richiesta di attivazione, basta innescarla per farla diventare un Geyser. Finora la politica si è rifiutata di ascoltare i cittadini”. Ora cerca di organizzare tale fermento sociale: “Se le persone si riattivano e si costruiscono nuovi spazi pubblici di discussione, Salvini verrà fuori per quel che è: un cazzone da bar, neanche troppo simpatico”.

intervista a Christian Raimo di Giacomo Russo Spena

A volte la politica, quella vera, è nelle cose semplici. Senza ideologismi né settarismi. Christian Raimo ci sta provando, e pare con buoni risultati, nel III municipio di Roma, municipio andato al voto anticipato nel giugno scorso dopo la rovinosa caduta della giunta grillina. Alle urne ha vinto il centrosinistra (rinnovato) dell’urbanista Giovanni Caudo che ha nominato come assessore alla Cultura proprio Raimo, già scrittore, giornalista, insegnante ed attivista.

Nel nuovo ruolo, Raimo, sta lavorando per costruire nuovi spazi pubblici di discussione: la cultura come antidoto alla paura. “Le cose più interessanti – riflette – vengono da un ripensamento dell’organizzazione classica della sinistra: è interessante ciò che avviene in Inghilterra con Momentum – sono stato all’inizio della campagna di Corbyn e lì mi sono venute molte idee – Ho presente il modello di Ada Colau a Barcellona, so bene ciò che si sta muovendo in Italia: i movimenti cooperativi in Val d’Aosta, la coalizione civica di Padova o le tante altre esperienze virtuose. Esiste un popolo che non si sente rappresentato e queste realtà possono contribuire a colmare questo vuoto”. Intanto il calendario culturale del III municipio è fitto di appuntamenti: l’11 settembre ci sarà l’incontro con Giancarlo De Cataldo su politica e criminalità; il 20 nel liceo classico Orazio ci sarà Franco Lorenzoni per una lezione aperta sulla relazione tra educazione e cittadinanza. Poi Sandro Portelli sulla memoria storica e tante altre in cantiere.

Lunedì sera i lotti popolari del Tufello, luoghi di solito abbandonati dalle istituzioni, si sono trasformati in un anfiteatro che ha accolto almeno mille persone per un dibattito tra il critico cinematografico Mario Sesti e l’attore Valerio Mastandrea. L’appuntamento era inserito nella rassegna di “pedagogia all’aria aperta” da te organizzata e dal nome evocativo “Grande come una città”. Ti aspettavi un tale successo in termini di partecipazione?

Sono onesto, ne ero certo. L’attività politica, negli anni, mi ha dimostrato che facendo le cose semplici si possono ottenere grandi risultati. Esiste una grande richiesta di partecipazione, basta innescarla per farla diventare un Geyser. L’ho visto con l’esperienza del Teatro Valle, quando a 18 anni ho partecipato alle occupazioni dei centri sociali, nel movimento dell’Onda, in quello referendario per l’acqua pubblica.

Luca Serianni, Filippo Gatti, Giancarlo De Cataldo, Valerio Mastandrea e tanti altri nomi di peso sono stati coinvolti nella tua rassegna “Grande come una città”. Queste lezioni/iniziative sono un modo di far politica?

La politica è, per me, occuparsi dei diritti degli altri e ciò si fa partendo dalla condivisione di esperienze. A Roma ci sono due possibilità per interagire col resto del mondo: il me ne frego e il me impiccio. Quest’ultima è la versione I care di Don Lorenzo Milani. Me impiccio… di quel che succede nel mio quartiere, delle sue problematicità, delle manchevolezze. Il mio territorio è qualcosa che mi riguarda e non posso fare a meno di sporcarmi le mani. Come tante persone che stanno a Roma, ho sposato anch’io questa teoria. Bisogna occuparsi delle periferie in una città che ha una sua memoria storica. Negli anni ’70 ha vissuto la stagione della lotta per diritti, il movimento di occupazione per le case, l’era del sindaco Nicolini. Esiste un tessuto sociale che viene da lontano e che deve soltanto essere rivitalizzato.

Più che di grandi eventi, dimmi se sbaglio, stai puntando a valorizzare le comunità locali (rendendole protagoniste), a rianimare luoghi pubblici, a portare la cultura in piazza per far sentire meno sole e abbondate le persone. È questo il tuo intento: ricreare un tessuto sociale sui territori più abbandonati dalla politica?

Beh, la mia ambizione è ancora più alta: non mi convince l’idea che le persone siano vittime o abbandonate a se stesse. In realtà, i cittadini hanno desideri, riflessioni, punti di vista, prospettive ma nessuno si presta ad ascoltarli. È necessario coinvolgerli non come semplici fruitori di un bel evento culturale bensì in un meccanismo di costante attivazione e partecipazione diretta alla res publica. Bisogna ripensare nuovi luoghi per fare politica dove si possa discutere, incontrarsi e confrontarsi. E poi servono nuovi immaginari, teste pensanti, riflessioni. Lavoro per una vera e propria opera di pedagogia pubblica. Ripartire da quel che scrive Paulo Freire nella “Pedagogia degli oppressi”: bandendo forme paternaliste o di parodia della democrazia, è necessario trasformare gli oppressi in soggetti attivi e mettere in campo le loro idee e i loro conflitti.

Un conto è andare ad un’iniziativa per sentire Mastandrea, un’altra far sì che le persone si attivino direttamente. Come pensi di poter organizzare e trasformare in proposta politica la grande partecipazione che abbiamo visto lunedì sera?

In questi ultimi giorni mi sono arrivate più di 500 mail, gente che mi scriveva per dirmi “grazie” e per mettersi a disposizione. Ed è incredibile se consideriamo che sono assessore da pochissimo tempo. Ho semplicemente toccato le corde giuste. Proprio oggi ho convocato un’assemblea pubblica in municipio per mettere le tante persone dentro una stessa stanza: capire quali sono i loro bisogni e priorità finanche le soluzioni. Ovviamente mi focalizzerò anche sugli aspetti organizzativi: come dividersi i compiti, con quale cadenza rivedersi etc… Si è sempre fatto così nei movimenti di cooperazione, in quelli in difesa dei beni comuni. Sono questi i miei modelli di riferimento.

Ritorno su un concetto che precedentemente hai accennato: quanto è importante fare un lavoro culturale e di pedagogia di massa – cosa che la sinistra ha abbandonato di fare decenni fa – in un momento in cui, crollato un Sistema, si stanno affermando rabbia, egoismo, ignoranza e guerra tra poveri?

Il 2008 è stato un anno fondamentale: l’anno della crisi economica e politica. Si instaura il governo tecnico di Monti, il primo antipolitico, i giornalisti Stella e Rizzo pubblicano “La Casta”, nasce il Pd, il M5S riempie le piazze coi V-day. Oggi siamo a dieci anni di trionfo dell’antipolitica, e pian piano, le persone si sono ritirate a vita privata. Si è assottigliato il numero degli attivisti e delle persone impegnate. La generazione dei trentenni, senza futuro, ha scelto di andare all’estero o di rimanere a casa anche per fattori repressivi: pensiamo a come l’alternanza scuola lavoro o il 7 in condotta abbiano ristretto la possibilità di fare politica nelle scuole. La mia generazione, quella dei quarantenni, è invece la peggiore dal punto di vista di classe politica: peggiore persino di quella dei cinquantenni che almeno ha avuto l’avidità della presa del potere. La nostra è stata ancora più pavida. È emerso un mondo incapace di costruire comunità.

Intanto a livello nazionale, sondaggi alla mano, continua la luna di miele tra l’attuale governo e gli elettori con la Lega che si sta affermando sempre più come primo partito mentre non si intravede un’opposizione credibile. I cittadini che si sono sentiti senza alcuna “protezione sociale”, per dirla alla Bauman, hanno incanalato la propria rabbia contro gli ultimi della società e non contro i piani alti (speculatori, evasori fiscali, poteri forti). Nel tuo piccolo, come pensi di incidere per cambiare questa situazione?

Nel periodo peggiore della storia repubblicana, durante il sequestro Moro, il Parlamento ha approvato la legge Basaglia, ovvero quel che considero la riforma più importante dal punto di vista democratico in Italia. Sono sempre stati i battitori liberi che hanno sancito le riforme significative. Penso al ruolo di Don Milani durante il Sessantotto, che ha avuto meriti più profondi di ogni leader politico di quel movimento. O a Danilo Dolci, ad Aldo Capitini, a Dino Frisullo, a Don Luigi Di Liegro, a Don Enzo Sardelli, persone che hanno portato nuova linfa al dibattito pubblico con idee e riflessioni.

Mi stai nominando tutti esponenti della cosiddetta Chiesa sociale. Mi sei diventato un cattocomunista?

Le cose migliori sono venute dal mondo laico, liberale e socialista ma non bisogna trascurare l’apporto culturale dato dalla Chiesa sociale, un mondo capace di stare vicino ai bisogni popolari.

In passato hai mosso molte critiche al Pd, per ultimo hai scritto un lungo post su FB per smontare punto per punto l’articolo di Walter Veltroni, uscito recentemente su Repubblica, e nel quale illustrava la linea per la ricostruzione di una nuova sinistra nel Paese. Sei, però, assessore in una giunta di centrosinistra, quella dell’urbanista Giovanni Caudo: non è una contraddizione in termini attaccare il Pd e poi governarci insieme in III municipio?

Ti racconto una cosa. L’anno scorso sono tra i pochi a seguire da vicino lo sgombero di Piazza Indipendenza a Roma. Ero lì a difendere i rifugiati eritrei, evitando io stesso le manganellate della polizia. Lì mi sono reso conto in modo clamoroso che non c’era una classe politica a cui potessi riferirmi. Eravamo pochissimi insieme a quelle persone: qualche giornalista, qualche operatore di ong, qualche politico di secondo o terzo piano. Pochissimi. Lì ho pensato due cose: che se non c’è nessuno che si prende le responsabilità politiche, anche di metterci il corpo, allora occorre che a farlo sei tu. Due, che andava fatta un’opera di educazione alla politica, per non essere più pochi. Io faccio politica da anni nei modi più diversi, da attivista, da volontario, ma non ho mai avuto la tessera di un partito. Caudo mi ha chiamato perché, credo, sono una persona di sinistra, indipendente, che lavora tanto. Lui stesso viene da un’esperienza di governo, quella di Ignazio Marino, a Roma del centrosinistra affossata da un pezzo di quella coalizione. È un errore che spero nessuno abbia voglia di rifare, io no di certo. Cosa è la sinistra oggi in Italia e cosa è il Pd o cosa sono i partiti di sinistra, va immaginato, più che rimpianto. E sono abituato a discutere di idee, schiettamente, preferisco citare libri, testi, intellettuali. Mi piacerebbe che il dibattito all’interno della sinistra non avvenisse all’interno delle segreterie dei partiti, sugli editoriali dei giornali, e in base a orizzonti così piccoli. In un partito come il Labour è accaduto così.

La giunta Caudo incarna un centrosinistra rinnovato che archivia definitivamente la stagione del renzismo, delle privatizzazioni e delle collusioni con l’establishment. Si può riprodurre tale schema in una dimensione più nazionale? Magari con Zingaretti come leader?

La mia unica idea in questo momento è portare le persone a partecipare, a fare politica, a stare bene insieme, a discutere. La questione dei leader mi sembra non solo vacua, ma controproducente. La questione sulle idee, sui testi mi sembra centrale. Cosa ne pensiamo di Ernesto Laclau, di David Graeber, dell’ultimo libro di Angela Davis, di Lea Ypi, del confederalismo democratico di Ocalan? Di quello che hanno scritto su Roma in questo ultimo anno Cellamare, Marchini e Sotgia, Ilardi, Tocci, D’Eramo, etc… Leggere testi, discuterli, confrontarsi sulle idee. Tutto qui.

I tempi per costruire un’opposizione credibile saranno lunghi?

Non penso. È sufficiente focalizzarsi sui temi giusti: femminismo, radicalismo ambientale, neomunicipalismo, pedagogia pubblica. Se le persone si riattivano e si costruiscono nuovi spazi pubblici, Salvini verrà fuori per quel che è: un cazzone da bar, neanche troppo simpatico.

(5 settembre 2018)

 

0 0 votes
Article Rating
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments