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I tassisti e le regole – materiali per un dibattito

FILA A TERMINI PER TAXI 15 NOVEMBRE 2016Poichè Carteinregola pensa che le regole uguali per tutti siano l’unica garanzia della democrazia, della prevalenza dell’interesse pubblico, della libera concorrenza e soprtatutto dell’equità sociale e della tutela dei più deboli, ma che sia necessario un continuo lavoro di aggiornamento per  renderle  più giuste – per non correre il rischio del cortile in cui pulcini ed elefanti hanno lo stesso diritto di giocare – e adeguate alle nuove esigenze e alle nuove realtà che si presentano, proveremo a ragionare sulle proteste dei tassisti che nei giorni scorsi hanno creato grandi disagi a Roma.  Ma al di là dei toni, dei saluti fascisti  e degli episodi di violenza inaccettabili, è necessario, come sempre, superare semplificazioni e luoghi comuni e cercare di approfondire tutti gli elementi in gioco,  per capire quali potrebbero essere le soluzioni per stabilire regole giuste per la categoria, e, soprattutto per la collettività (AMBM).

[l conflitto riguarda tre categorie  di lavoratori che svolgono il servizio di trasporto passeggeri in città: i tassisti, gli NCC (noleggio con conducente) e i cosiddetti “UBER”, ciascuno con un’organizzazione differente e anche regole e normative  differenti, in concorrenza tra loro]

I CONTRIBUTI
Paolo Gelsomini
 Servizi della mobilita’ urbana e commercio su strada : Quando la tecnologia delle piattaforme e le direttive europee corrono più veloci della politica nazionale (> Vai al post)
Riccardo Varanini (Presidente Artù, responsabile gruppo Carteinregola Mercati e  Piano Urbano Parcheggi)
Discutendo per strada con tante persone, per lo più molto arrabbiate con i tassisti per lo sciopero e gli ingorghi di questi giorni, mi sono affacciato in questi giorni su una voragine di ignoranza, figlia del solito vecchio pregiudizio sulle lobbies e le caste, di cui anche i Taxi non si sono mai liberati. E’ pur vero che  le lobbies, le caste ed i politici non hanno mai goduto e ancor di più oggi non godono di buona fama e non senza ragione, ma generalizzare sempre non aiuta a far capire ed a decidere cosa si deve fare.
Eppure questa volta i tassisti hanno sacrosanta ragione: da anni viene rimandata ad ogni decreto milleproroghe l’attuazione della legge che regolamenta le auto a noleggio con conducente, permettendo che questo sistema continui ad operare senza regole e quindi con sleale concorrenza. Al settimo rinvio è scoppiata la rabbia che, ovviamente, è sfociata in azioni violente ed offensive, sono tornate subito fuori le mazze, i tirapugni, i tricolori ed i saluti fascisti da cui il resto dei partecipanti non solo non ha preso le distanze, ma non lo ha impedito, e spesso lo ha coperto.
Puntualizzata questa non poco importante questione, bisogna però dire che lo sciopero era giusto: i tassisti vogliono che tutte le attività consimili siano regolamentate, ad esempio che le auto Ncc debbano tornare in rimessa dopo un servizio invece di parcheggiare per la strada in attesa di clienti. Non mi pare così sbagliata come rivendicazione.
Per quanto poi riguarda Uber, il nuovo servizio informatico di Taxi, fuori da ogni regola, in Italia è stato vietato da una sentenza del tribunale di Milano, così come in molti paesi europei, eccezion fatta della solita UK, tale servizio è illegale. Eppure vive e vegeta lo stesso!
Sono poi rimasto stupefatto dalla parziale informazione data dalla TV e dei suoi servizi con viaggiatori allucinati davanti all’assenza di taxi nelle stazioni, come se, essendo informati di cosa accadeva, non dovessero preoccuparsi di cercare il banale autobus pubblico o metropolitana che in tutti quei giorni hanno funzionato normalmente.
Sentire poi urlare contro la Direttiva europea cosiddetta Bolkenstein è stato il colmo dell’ironia: non c’entra un bel niente con i taxi e per quanto riguarda la protesta contemporanea dei venditori ambulanti (chiedevano ed hanno ottenuto di rientrare nella proroga della attuazione della DB in Italia al pari dei mercati rionali e plateatici attrezzati), nonostante siano un discorso ben diverso da questi ultimi.
Insomma, caos, cattiva informazione, malafede, strumentalizzazioni pseudopolitiche, tutto ha contribuito a non far capire niente a quasi tutti. C’è molto, tanto da fare per creare coscienze libere, regole rispettate, informazione corretta. Ma se non ci pensano le “autorità pubbliche”, chi lo deve fare?

 

Alessandro Coppola (da una  riflessione pubblicata sulla sua pagina Facebook)
Come sempre, le forme di trattazione delle questioni pubbliche tendono a oscurarne le vere poste in gioco. Sexondo me, e’ accaduto anche per la vicenda taxi.
1) é vero che la Bolkestein é per noi uno shock,  ma lo é anche per la nostra incapacità di regolare secondo modalità appena accettabili tutta una serie di mercati che riguardano il quotidiano e che da noi sono tradizionalmente regolati secondo modalità che perseguono soprattutto un obiettivo, la protezione di chi questi servizi li eroga. Quindi la Bolkestein può essere cattiva quanto volete, ma siamo anche noi ad essere straordinariamente incapaci;
2) si dice che, ovviamente, la liberalizzazione del mercato e l’innovazione tecnologica concentreranno dei costi su chi da questo mercato uscirà: cosa verissima che però nelle società avanzate – e oso dire: in una prospettiva “progressista” (ovvero di una società già giusta perché piu egualitaria) – non  si risolve impedendo questi cambiamenti ma offrendo protezione e opportunità di lavoro alternative a chi ne é colpito. Quando ci si riferisce a chi é destinato a vedere svalutate le proprie licenze a fronte di investimenti iniziali impressionanti, anche di centinaia di migliaia di euro, occorre sottolineare che quelle licenze hanno un valore così elevato, ed erano quindi accessibili a chi disponeva di capitali di quel livello (e quindi, generalmente, non ai ceti più bassi), proprio perché rappresentavano lucrosi titoli  di accesso a posizioni di mercato molto protette (siamo noi, e in particolare chi fra noi ha poco reddito, a pagare);
3) quando guardiamo a questi cambiamenti dobbiamo sapere che, probabilmente –  e fatti assolutamente salvi i diritti del lavoro – la soluzione migliore é permettere cambiamenti assicurandosi che chi ne é colpito nella propria posizione sociale abbia tutto il sostegno necessario in termini di reddito e in termini e di riconoscimento del trauma “sociale” subito: anche per questo sono un entusiasta sostenitore della battaglia per il reddito universale ed il nuovo welfare, perché permette alla società di sviluppare le innovazioni – che spesso, a determinate condizioni, producono una vita migliore soprattutto per i gruppi sociali svantaggiati – riducendone i costi sociali che, come evidente, sono elevatissimi. Nel caso dei taxi a Roma, ad esempio, i benefici concentrati dell’attuale gestione dei taxi ne concentrano gli effetti negativi ” sui ceti inferiori che vivono in periferia e hanno poco reddito, non potendosi permettere neanche lontanamente il taxi (e nemmeno i servizi di car-sharing che in periferia non sono accessibili);

4) altro aspetto critico delle correnti modalità di gestione di questi servizi é che sono intimamente intrecciate con modalità latamente clientelari di organizzazione del consenso locale che distorcono in modo grave la domanda sociale – e in questo meccanismo il voto di preferenza, che io abolirei a tutti i livelli istituzionali, rappresenta la precondizione di tale sistema – producendo quindi esternalità sociali (servizi scarsamente accessibili) ed ambientali (più lenta transizione verso la mobilità sostenibile) notevolissime.
5) la Bolkestein, come noto, é osteggiata da un altro gruppo di interesse, quello dei balneari. Da questo punto di vista, é opportuno essere coerenti e difendere i beni comuni non solo quando ci troviamo di fronte alla minaccia della privatizzazione di stato – minaccia seria che si fa bene a contrastare – ma anche quando questi sono stati catturati da gruppi di interesse che di fatto sottraggono beni pubblici al godimento collettivo: di nuovo, le esternalità in termini di mancato godimento di un bene posizionale così prezioso come le spiagge sono enormi e particolarmente odiose perché ancora una volta colpiscono soprattutto i ceti inferiori (che hanno meno possibilità di andare in vacanza e che quindi vedrebbero il proprio benessere decisamente accresciuto qualora la spiaggia sotto casa fosse effettivamente accessibile);
6) quindi usciamo da questa rappresentazione macchietistica, almeno alla scala dei servizi di cui stiamo discutendo, fra mercato e non mercato: il mercato é un costrutto sociale e ce ne sono di tipi diversissimi. Un mercato sociale é profondamente diverso da un mercato che viceversa non incorpori preoccupazioni di natura sociale ed ambientale (la visione che correntemente associamo al “neoliberismo”). Quindi, in prospettiva, mi dedicherei a progettare un nuovo mercato sociale dei servizi urbani: non esistono solo Uber e i regimi corporativi di regolazione, si possono trovare tanti modi diversi di assicurare quel servizio incorporando “preoccupazioni” di natura ambientale e sociale. Secondo me, la sinistra dovrebbe fare questa cosa qui. Perché quello che la distingue dalla destra non e’ l’avversita’ al cambiamento tecnologico ed organizzativo, ma viceversa l’attenzione critica e progettuale ai suoi nessi con l’organizzazione sociale.

Alessanro Gilioli dal  suo blog su L’Espresso Piovono Rane I taxisti, la scissione, il reale

La categoria dei taxisti sta notoriamente sulle scatole a tutti – a Roma poi non parliamone, qui abbiamo l’obbligo a bordo di ascoltare assurde radio tifose, percorsi che si allungano verso l’infinito se il tuo accento non è locale, proclami politici che vanno da “quando c’era lui” a “io i negri li rimanderei tutti a casa”. E se vedi alcuni dei loro leader, ti viene da scappare per la tua sicurezza personale.

Eppure con un po’ di lucidità e lungimiranza oggi potremmo mettere da parte l’antipatia per capire come la campana ora suona per loro ma domani o dopo suonerà per tutti noi – anzi per molti ha già suonato.

Intendo dire: i conducenti di auto bianche sono obsoleti, è evidente. Oggi c’è Uber, c’è Enjoy, c’è Car2go, ci sono pure ZigZag e Scooterino, e tutte o quasi funzionano meglio, a minor prezzo. Tra un po’ ci sarà pure l’auto che si guida da sola e buonanotte, il taxista finirà come il casellante, il linotipista, lo spazzacamini. Finito, over, altro che bloccare le piazze.

E noi festeggeremo, perché come consumatori-utenti saremo meglio serviti.

Poi però accadrà che altre tecnologie – altre app, altri sensori, altri robot, altri outsourcing, altre intelligenze artificiali – renderanno altrettanto obsoleto quello che facciamo noi, cioè il nostro modo per portare a casa un reddito. Ci saranno soluzioni più soddisfacenti per i consumatori di quanto siamo noi, a un costo minore. Nessuno, fuori, ci rimpiangerà.

Ecco: allora, a quel punto: ci sarà qualcuno che ci accompagnerà nel mondo nuovo?

Ci sarà una politica che non potendo né volendo proteggerci come categoria (giustamente, siamo obsoleti) ci proteggerà come persone?

Ci sarà un modo per garantire un minimo di continuità di reddito in questo passaggio strutturale (ed epocale) verso il mondo in cui il lavoro umano sarà rarefatto?

Ci sarà qualcuno che si occuperà di redistribuire alle persone rese obsolete dalla tecnologia i profitti miliardari dei proprietari delle app, dei robot, delle piattaforme e del resto?

A me la questione dei tassisti – dei “detestabili” tassisti – oggi fa venire in mente questo, soprattutto.

E il resto, che ne consegue, cioè appunto la politica.

* * *

L’altro giorno il mio amico Fabio Chiusi si chiedeva su Facebook se qualcuno avesse capito su quali idee si stesse rompendo il Partito democratico: «Io non ne vedo nessuna», aggiungeva.

Anch’io, da tossico attaccato allo streaming per tutta la domenica o quasi, avevo notato quanto poco al Grand Hotel Parco dei Principi si fosse parlato di politica: di cose da fare o da non fare in Italia e in Europa.

La narrazione mediatica, però, dava genericamente per scontato che ci fosse in quel partito una “sinistra” contrapposta a Renzi e ai suoi.

Pur rischiando di guastare la festa a tanti che oggi per avversione a Renzi provano simpatia verso i fuoriuscenti, fatico a ricordare o a individuare negli esponenti di questa minoranza (che del Pd è stata in passato maggioranza) idee e prassi politiche così diverse da quelle implementate da Matteo Renzi. Il Pacchetto Treu era la mamma del Jobs Act, per esempio. La Bicamerale era la nonna del Patto del Nazareno. Il vecchio Pd inseguiva Casini e Monti, quello attuale governa con Alfano e Lorenzin. Il vecchio Pd riformava la Costituzione con il pareggio di bilancio, quello attuale ci ha provato con la riforma Boschi.

E adesso?

Lo vedremo, dalle cose vere.

* * *

Sono partito dai tassisti, ma quasi come metafora. Perché, per quanto ci possano stare sulle scatole, oggi sono tra quelli più vicini al Grande Nulla che si sta divorando tutto. Sono cioè una categoria obsoleta. E siamo tutti in coda, dietro di loro, in attesa del nostro turno.

Occuparsi di politica oggi è pensare a come proteggere le persone che sono già state divorate, quelle che sono in procinto di esserlo, quelle che lo saranno domani o dopo. Occuparsi di politica è accompagnare le persone nel passaggio strutturale ed epocale che stiamo vivendo. Tutte.

Se non si saprà proteggerle – garantendone gli strumenti per un’esistenza decente e dignitosa dalla culla alla tomba, proprio come nelle vecchie socialdemocrazie scandinave – queste persone cercheranno inevitabilmente altro. Come un capo autoritario, ad esempio. Come la guerra agli altri popoli. Come la guerra interna a ogni popolo.

È paradossale, ma forse anche un po’ criminale, che mentre dalla società si alza questo urlo di solitudine e disperazione – se volete, pure di follia, ma di causata follia – tutta la politica o quasi parli di se stessa e si occupi di se stessa: gruppi, cordate, correnti, voltafaccia, ambizioni, personalismi, litigi, ammiccamenti, posizionamenti e così via all’infinito. E non solo attorno al Pd, s’intende: dappertutto o quasi. Con poche, pochissime eccezioni.

Questa sì è una vera, drammatica scissione: quella tra il dibattito politicienne e l’urgenza di protezione delle persone sballottate dal reale, dai suoi mutamenti strutturali, dalla sua forza veloce e bulimica che non guarda in faccia a nessuno.

E allora forse questo è quello che ciascuno di noi dovrebbe chiedere al politico e al partito a cui si sente oggi più vicino: basta occuparvi di voi, occupatevi di noi. Senza alcun “populismo”, senza alcun qualunquismo: ma occupatevi del reale, per favore, delle cose vere. E fatelo prima che sia tardi.

Guido Viale Il Manifesto 24.02.2017  Taxi e Uber, tra servizio pubblico e caporalato digitale

Sharing economy. La compravendita delle licenze privatizza il servizio gravando sulle tariffe. E lega la categoria ai politici locali che hanno interesse a mantenere la dipendenza

Riferiscono in molti che, con il blocco dei taxi, le auto di Uber in circolazione hanno raddoppiato le tariffe. È la legge della domanda e dell’offerta. Ma è anche un’anticipazione di che cosa succederà se e quando Uber avrà vinto la sua guerra contro i tassisti.

È una guerra che non riguarda solo l’Italia, ma ha dimensioni planetarie, combattuta con alterne vicende tra la multinazionale e i tassisti.

I taxi sono un servizio pubblico non sovvenzionato (a differenza del trasporto di linea), sottoposto a regole precise: tariffe amministrate e gestite dal tassametro, controlli rigidi sui veicoli e gli autisti, obbligo di garantire il servizio giorno e notte e di coprire tutto il territorio comunale o comprensoriale definito dalla licenza; divieto di offrire il servizio fuori di esso.

Uber è una multinazionale che ha pochissimi dipendenti e nessuna vettura; gestisce solo le prenotazioni e la cassa (incassi subito, pagamenti a 7 giorni) e si avvale, sia nella versione black (noleggio con conducente) che in quella pop (servizio erogato da chiunque abbia sottoscritto un accordo con l’azienda) di autisti e vetture reclutate al bisogno.

Non prevede licenze, assicurazioni particolari, limiti e obblighi relativi al sevizio; guadagna (miliardi) con una commissione del 20-25% su ogni servizio erogato e trasferisce il rischio d’impresa sul lavoratore, che non è un dipendente, ma un “imprenditore di se stesso”, tenuto a fornire anche il capitale (la vettura, con relativa manutenzione, assicurazione e oneri connessi: guasti e incidenti).

Anche se è stata bloccata in alcuni paesi, tra cui l’Italia, Uber non rinuncerà facilmente alla versione pop del suo servizio: troverà qualche modo diverso di affidamento per attingere al pozzo senza fondo delle persone disoccupate o alla ricerca di un doppio lavoro, purché “automunite”.

Lo scontro planetario tra Uber e i tassisti ha una portata enorme anche su tutte le altre forme del cosiddetto “capitalismo di piattaforma”; i tassisti sono l’unica categoria mobilitata contro la privatizzazione di un servizio pubblico è il caporalato digitale.

Ma ha soprattutto un obiettivo specifico: monopolizzare il trasporto individuale a domanda mettendo fuori mercato i taxi con tariffe concorrenziali grazie a tre fattori: lo sfruttamento di una manodopera superprecaria, la mancanza dei vincoli imposti da una regolamentazione pubblica; i costi evitati della licenza che gravano invece sui taxi. Una volta messi fuori mercato i tassisti, le tariffe potranno aumentare liberamente e gli autisti potranno rifiutare il servizio (essere a disposizione) quando la domanda è scarsa (per esempio di notte) e da e verso le zone dove i clienti sono pochi.

Per questo la lotta dei tassisti di oggi difende anche gli utenti di domani.

Tutto chiaro, allora? No.

Il fatto è che anche il servizio di taxi è stato in parte privatizzato, e non solo in Italia, con la compravendita, peraltro regolarmente tassata, delle licenze: un investimento enorme che ogni tassista si è caricato sulle spalle, spesso indebitandosi, e da cui aspetta di rientrare a fine carriera. Per questo liberalizzare le licenze è per loro un esproprio: sono in larga misura lavoratori già licenziati diventati tassisti come ripiego.

Ma le licenze sono un investimento che grava pesantemente sulle tariffe. Rendendo il servizio pubblico poco concorrenziale e hanno bisogno di qualcuno che le protegga. È stata così regalata alle amministrazioni locali una clientela indissolubile, fidelizzando la corporazione all’assessore di turno.

E mentre il Pd paga i costi politici del suo impegno a favore della “liberalizzazione” (leggi privatizzazione), la destra – che su liberismo e privatizzazioni non ha posizioni differenti, ma meno scrupoli a giocarsele in sede locale – riesce a egemonizzare, soprattutto, anche se non solo, di fronte a media e opinione pubblica, la rabbia dei tassisti.

Ma il meccanismo che lega la categoria a certi assessori ha un costo pesante sia per i tassisti sia per l’utenza: l’abdicazione della elaborazione e realizzazione di una strategia multimodale per il trasporto urbano di cui i taxi potrebbero e dovrebbero essere il perno; e la resistenza della categoria nei confronti delle tecnologia e delle modalità di servizio alternative che queste renderebbero possibili.

Dalle cose più semplici (il numero unico cittadino) al taxi collettivo (con ripartizione dei costi tra i diversi utenti regolato da un tassametro, in alcuni casi installato, ma mai utilizzato, e che Uber non può adottare); dall’uso di piattaforme analoghe a quelle di Uber ai servizi di feeding alle fermate del trasporto pubblico di massa.

Così quello che nella realtà è lo scontro tra un servizio pubblico e la sua privatizzazione, con relativo esproprio dei lavoratori, viene presentato al grande pubblico come uno scontro tra passato e futuro, tra corporativismo e libera concorrenza, tra innovazione tecnologica e paralisi.

Come se Uber fosse una semplice tecnologia e non uno strumento di espropriazione e di degrado del lavoro e di un bene pubblico.

Da Repubblica.it 24 febbraio 2017  La lettera: caro tassista, prova a intercettare il carro della tecnologia

Nel diciassettesimo secolo i battellieri del Tamigi diedero battaglia all’arrivo della concorrenza su terraferma dei primi taxi condotti da cavalli: non vorrei che domani ti dovessi trovare anche tu nella stessa situazione (l’articolo riporta al lettera  dell’architetto e ingegnere Carlo Ratti che insegna presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston e svolge la sua attività professionale a Torino: il suo ultimo libro, “La città di domani”, è stato pubblicato da Yale University Press (2016).

Caro amico tassista,

capisco la tua ansia e il tuo sgomento. Sono tempi di grandi cambiamenti – e non soltanto per te. Le nuove tecnologie stanno cambiando il nostro modo di lavorare, scompaginando alcune delle regole su cui abbiamo fondato la nostra società negli ultimi centocinquanta anni. Secondo alcune stime, tra cui quelle dell’università di Oxford, il 50% delle professioni che conosciamo oggi potrebbe scomparire nell’arco dei prossimi due decenni, a causa del perfezionamento della robotica e dell’intelligenza artificiale.

Uno dei settori investiti più da vicino da queste trasformazioni è proprio il tuo, la mobilità. Quello che abbiamo iniziato a vedere negli ultimi anni – alternative ai taxi come Uber, Lyft, Hailo o Juno, ma anche servizi di car sharing come Car2Go o Enjoy, o bici intelligenti come quella della nostra Superpedestrian – non sono che i primi segnali. Preparati: le automobili (o i camion) che si guidano da soli, già in fase di sperimentazione avanzata in giro per il mondo, dagli Stati Uniti a Singapore, saranno il prossimo passo. A quel punto, molti lavori saranno obsoleti – tra cui, inutile negarlo, anche il tuo e quello di milioni di guidatori oggi attivi su tutti i continenti.

Si tratta di mutamenti epocali, ma che abbiamo già visto in passato. La storia degli ultimi secoli è ricca di conflitti tra tecnologie consolidate e altre nuove e più efficienti. Nel diciassettesimo secolo i battellieri del Tamigi diedero battaglia all’arrivo della concorrenza su terraferma dei primi taxi condotti da cavalli. Così come alcuni secoli dopo quegli stessi taxi a trazione animale vennero spazzati via dall’avvento delle automobili – come racconta “A rotta di collo”, un film del 1928 dedicato alle melanconiche vicende dell’ultimo cocchiere di New York.

Ecco, non vorrei che domani ti dovessi trovare anche tu nella stessa situazione. Oggi come ieri abbiamo due scelte: se decidiamo di stare in modo incondizionato dalla parte delle carrozze a cavalli siamo destinati a perdere, tutti. Se invece intercettiamo il carro delle nuove tecnologie – che poi è il carro della Storia – abbiamo ancora la possibilità di cavarcela. Possiamo immaginare di gestire la transizione, controllandola invece di esserne travolti.

Perché in fondo si tratta proprio di questo: capire come traghettare verso un mondo nuovo. Per questo ti propongo un patto. Tutti noi – la società – dobbiamo fare in modo che tu sia accompagnato in questo difficile percorso, insieme agli altri milioni di tassisti che perderanno il posto di lavoro nei prossimi anni (e anche tutti coloro che, in settori diversi come la radiologia, la finanza o la progettazione di cui mi occupo io saranno ugualmente lasciati a casa da robot e intelligenza artificiale). E tu, dal canto tuo, ti devi impegnare a non ostacolare un’inevitabile transizione, cercando invece di esserne partecipe e protagonista.

Le parole chiave intorno alle quali possiamo riannodare una discussione sono proprio transizione e redistribuzione. Transizione per poter gestire gli sconvolgimenti tecnologici odierni senza esserne travolti. Per aiutare chi ha perso un lavoro oggi a trovarne un altro domani – e per educare le nuove generazioni alle professioni del futuro.

Ridistribuzione perché è fondamentale capire a chi andranno i vantaggi di questo nuovo mondo. A chi ha investito capitali? O a chi è rimasto disoccupato? Un’idea potrebbe essere far pagare le tasse ai robot o alle nuove intelligenze artificiali. Non è una boutade, vuol solo dire tassare il capitale e trasferire reddito a chi magari ha perso il proprio posto di lavoro. Una proposta sfortunatamente bocciata dal Parlamento Europeo pochi giorni fa, ma che ha subito dopo trovato un sostenitore inatteso in Bill Gates.

Se sapremo gestire transizione e redistribuzione il futuro potrebbe offrirci molte opportunità. Come scriveva il grande storico americano Lewis Mumford negli anni Trenta del secolo scorso, “il beneficio maggiore della meccanizzazione non è l’eliminazione del lavoro”, bensì la sostituzione di un lavoro meno piacevole con altro più creativo e a maggior valore aggiunto.

Da sempre i tempi di grandi trasformazioni sono anche quelli di grandi opportunità.
Al principio del secolo scorso, la spinta alla motorizzazione stimolò la crescita di tutte quelle grandi imprese (dalla Fiat alla Ferrari) su cui ancora oggi si regge buona parte della nostra economia. In modo simile, se nei prossimi anni saremo in grado di far sì che i vantaggi di questa nuova epoca ricadano su tutte le categorie sociali, avremo la possibilità di plasmare una nuova società, forse migliore. Ma per questo abbiamo bisogno della tua collaborazione.

Da Micromega 26 febbraio 2017  Per il lavoro, con i tassisti contro Uber di Alessandro Somma

Un conflitto tra il vecchio che difende i suoi privilegi, e il nuovo che avanza verso un futuro radioso: così è stata rappresentata la lotta dei tassisti contro il cosiddetto Milleproroghe, contenente norme a favore di Uber. Mai come in questo caso, però, le semplificazioni sono l’anticamera delle menzogna, in questo caso amplificata da complessi tecnicismi. È dunque opportuno chiarire i termini della questione per definire innanzi tutto l’attività svolta dai tassisti in quanto servizio pubblico. Vedremo poi chi è Uber, il tipo di servizi che offre e i danni che sta producendo ai consumatori e soprattutto ai lavoratori. Infine mostreremo come, ciò nonostante, si sia oramai consolidata un’apertura crescente verso le istanze di Uber, e come questo non mancherà di riaccendere la lotta tra i tassisti e il governo.

Servizio pubblico

Per la Costituzione italiana “l’iniziativa economica privata è libera”, e tuttavia si prevedono “programmi e controlli” per indirizzarla a “fini sociali” (art. 41). Si fonda su questo principio la disciplina del servizio taxi, che la legge quadro sul trasporto di persone, predisposta nel 1992, qualifica come “servizio non di linea”: effettuato cioè “a richiesta”, “in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”[1]. Servizio non di linea e tuttavia servizio “pubblico”, perché deve essere garantito giorno e notte per tutto l’anno, perché i tassisti sono obbligati ad accettare le corse e a recarsi nel luogo richiesto, perché il prezzo della corsa viene stabilito dall’autorità amministrativa e calcolato con dispositivi controllati (i tassametri), e perché a tutela del cliente vi sono penetranti controlli sull’autista e il suo veicolo.

Insomma, il trasporto pubblico non di linea non funziona secondo le regole del mercato. Se così fosse i tassisti potrebbero rifiutare il cliente perché non gradito, o il tragitto perché poco remunerativo, o il lavoro in una fascia oraria scomoda. Inoltre il prezzo delle corse muterebbe in funzione della richiesta: non ci sarebbero corse con una domanda scarsa, e i costi sarebbero spropositati nei momenti di domanda particolarmente elevata. Infine non vi sarebbe garanzia alcuna sulle caratteristiche e dunque sulla sicurezza del veicolo, sulle capacità dell’autista e sull’adeguatezza delle coperture assicurative.

Proprio perché ci troviamo fuori dal libero mercato, le autorità amministrative limitano l’accesso alla professione di tassista: è una misura indispensabile a bilanciare gli oneri imposti dallo svolgimento di un servizio pubblico. Di qui il sistema delle licenze a numero chiuso, a cui si accede per concorso oppure acquistandole da un precedente titolare. E solo chi ha la licenza può contattare la clientela su strada, ovvero sostare o circolare alla ricerca di persone da trasportare.

Taxi abusivi

La legge quadro del 1992 prevede una seconda, e ultima, modalità di trasporto pubblico non di linea: il noleggio con conducente (ncc), ovvero il noleggio con autista di veicoli, solitamente di fascia alta, per il tempo e il corrispettivo concordato direttamente con il cliente.

La rilevanza pubblicistica di questo tipo di trasporto è minore rispetto a quella dei taxi, soprattutto in quanto non fornisce un servizio obbligatorio. Proprio per questo, però, gli ncc non possono contattare la loro clientela sulla pubblica via: devono stazionare nelle rimesse, dove ricevono la richiesta di servizio e dove devono fare ritorno dopo averlo completato. E nel merito non rileva il fatto che la tecnologia consente di assecondare richieste mentre si è fuori dalla rimessa: la limitazione di cui parliamo serve per riservare ai tassisti il contatto diretto con la clientela e dunque, come abbiamo detto, per bilanciare gli oneri legati all’assolvimento di un servizio pubblico.

Per rafforzare la distinzione tra taxi e ncc, nel 2008 il legislatore è intervenuto per meglio precisarla e per indicare alcune sanzioni per i taxi abusivi, e in particolare per gli ncc che contattano la clientela su strada[2].

Questo nuovo intervento è stato però considerato lesivo del principio di concorrenza[3], motivo per cui la sua efficacia è stata subito sospesa: nel frattempo si sarebbe ridefinita l’intera materia, comprese le misure di contrasto dell’abusivismo[4]. Il periodo di sospensione, però, è passato senza che nulla accadesse e non è stato più riproposto. In compenso si sono più volte fissati nuovi termini per emanare disposizioni destinate a colpire l’abusivismo, sino ad arrivare al Milleproroghe oggetto dell’attuale scontro, che lo fissa al 31 dicembre 2017. Il tutto mentre si torna a sospendere il provvedimento del 2008[5], che non cancella la legge quadro del 1992, ma che comunque agevola l’abusivismo e in particolare il dilagare di Uber.

Uber

Negli ultimi tempi lo sviluppo tecnologico ha condotto a nuove modalità di trasporto privato delle persone, e queste hanno rivoluzionato il tradizionale sistema del trasporto pubblico non di linea. Sono infatti pensate per la medesima platea di clienti, e quindi consentono di eludere la disciplina volta a reprimere gli abusi.

Protagonista assoluta in tutte queste vicende è Uber, multinazionale statunitense fondata nel 2009, attualmente presente in 70 Paesi e 520 città: dato assolutamente provvisorio perché in costante e rapida crescita. Uber ha elaborato una piattaforma informatica per mettere in comunicazione persone interessate a un servizio di trasporto, motivo per cui si presenta come un soggetto terzo rispetto ai trasportatori e ai trasportati. Il tutto per non garantire la sicurezza dei passeggeri e soprattutto per non tutelare gli autisti, che di fatto sono lavoratori dipendenti ma formalmente figurano come liberi professionisti. E questo provoca danni anche allo Stato sociale e al fisco, dal momento che Uber, attiva in Europa come società con sede ad Amsterdam, non paga contributi ed elude la disciplina fiscale.

I problemi sono sorti soprattutto con il servizio Uber-Pop, fornito da autisti privi di qualsiasi titolo, che semplicemente devono aver compiuto 21 anni di età, possedere una fedina penale pulita, una patente da almeno tre anni non sospesa di recente, oltre a un’auto a quattro porte immatricolata da non più di otto anni. Per la multinazionale si tratta di “un servizio di ride sharing e di economia collaborativa, dove l’individuo mette in condivisione il proprio bene, in questo caso l’auto, con chi ha l’esigenza di spostarsi nella città”[6]. Di diverso avviso il Tribunale di Milano, che ha inibito l’uso della piattaforma su tutto il territorio nazionale: è assimilabile a un servizio di radio taxi e dunque costituisce una pratica di concorrenza sleale[7].

E a nulla serve invocare l’economia collaborativa, che si ha solo in presenza di una “piattaforma solidale”, come quella che nel trasporto di persone si ritrova nei servizi di car pooling (come BlaBlaCar), dove si condividono i costi di un viaggio tra persone tutte direttamente interessate a compierlo. Gli autisti di Uber-Pop non hanno invece un interesse proprio a recarsi nel luogo indicato dal cliente: il servizio non ci sarebbe se non fosse retribuito. Siamo allora di fronte al “segmento low cost del trasporto pubblico non di linea”[8], che consente ai suoi clienti spostamenti a condizioni economiche particolarmente favorevoli, ottenute però in modo abusivo.

Non solo. Il prezzo della corsa viene adeguato al livello della domanda (surge pricing), come succede per l’acquisto in rete di biglietti ferroviari o aerei. Anche da questo punto di vista non regge la posizione di Uber, secondo cui la piattaforma si limita a formare un “gruppo chiuso” o community a cui prendono parte autisti e clienti interessati ad “abbattere i costi di impiego dell’auto privata” e a “ridurre l’inquinamento”. Come dicono i giudici milanesi, infatti, “ove ci sia un prezzo e questo si ponga come variabile a seconda dell’incontro fra domanda e offerta, si è in presenza di un mercato concorrenziale”.

Sin qui i problemi posti da Uber-Pop, che però non esaurisce l’offerta di Uber. C’è anche Uber-Black, un servizio fornito da autisti in possesso dell’autorizzazione ncc, che dunque non ha prezzi concorrenziali rispetto al taxi. Viene però svolto violando la disciplina del trasporto pubblico non di linea, e in particolare il divieto di contattare la clientela su strada[9]: soprattutto da quando è stato vietato l’utilizzo di Uber-Pop. Ecco perché il Milleproroghe, sospendendo la disciplina a tutela della distinzione tra servizio taxi e ncc, ha provocato la comprensibile rivolta dei tassisti. I quali sanno del resto che la piattaforma della multinazionale statunitense gestisce anche Uber-X: la versione economica di Uber-Black, che dunque insidia direttamente l’attività dei tassisti.

Dal cittadino al consumatore

Insomma, chi difende i tassisti per affermare l’idea di un mercato regolato per fini sociali, ha validi motivi per essere preoccupato. Del resto il Milleproroghe è solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi alla disciplina del trasporto pubblico non di linea, e più in generale ai servizi tradizionalmente forniti seguendo regole diverse da quelle che governano il mercato concorrenziale. Prevale oramai l’impostazione neoliberale, quella per cui la migliore distribuzione di beni e risorse è quella assicurata dal mercato. Il compito principale dello Stato è allora garantire l’inclusione dei cittadini nel mercato: è tutelarli in quanto consumatori.

Ovviamente lo sfondo di questo schema è dato dall’Europa, la paladina del mercato pervasivo, che fallisce solo se lo Stato assume compiti ulteriori rispetto al mero presidio della concorrenza. Anche se, in materia di trasporto pubblico, invocare l’Europa è un errore, o meglio una scorrettezza: la famosa Direttiva Bolkestein, che ha liberalizzato i servizi, ha infatti escluso dal suo campo di applicazione “i servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani e i taxi”[10].

Il primo serio tentativo di scavalcare a destra l’Europa si deve a Pierluigi Bersani, colui nel quale alcuni ripongono le speranze di rinascita di una sinistra non più prona ai diktat dei mercati. Nel 2006, da Ministro dello Sviluppo economico, ha varato un “pacchetto liberalizzazioni”[11], fortunatamente modificato rispetto i propositi iniziali: avrebbe altrimenti sensibilmente peggiorato, nel nome dei diritti dei consumatori, la posizione dei lavoratori del settore.

Questo però è niente di fronte alle posizioni che la tecnocrazia mercatista, ovvero le varie autorità poste a presidio del cosiddetto libero mercato, ha assunto dopo lo sbarco di Uber in Italia.

La multinazionale ha tentato di accreditarsi come fornitrice di un terzo tipo di servizio: quello di trasporto privato non di linea, inammissibile alla luce della disciplina in vigore. E proprio qui si inserisce l’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sempre più insistente nel proporre il riconoscimento del trasporto privato non di linea, nel quadro di un sistema di regole capace forse di tutelare il consumatore, ma non certo di proteggere il lavoro.

Un primo intervento riguarda il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza (ddl concorrenza), che il governo dovrebbe predisporre annualmente a partire dalle indicazioni fornite proprio dall’Autorità[12]. Ebbene, tra le indicazioni, nel 2014 compare l’invito a rivedere la legge quadro del 1992 in un suo aspetto qualificante: si vorrebbero “abolire gli elementi di discriminazione competitiva tra taxi e noleggio con conducente in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi”. Il tutto per assecondare “le tendenze evolutive dei mercati guidate dal cambiamento tecnologico”, quindi con aperture ai servizi offerti dalla multinazionale statunitense: in particolare per la proposta di eliminare “l’obbligo di ricezione della prenotazione di trasporto per il servizio ncc presso la rimessa”[13].

Non sappiamo ancora se il legislatore accoglierà queste indicazioni. Il ddl concorrenza, dopo numerosi rinvii, verrà discusso la prossima settimana dall’aula del Senato. Speriamo non sia questa l’occasione per mettere mano alla disciplina del trasporto pubblico non di linea, promessa dal governo per mettere fine alla protesta dei tassisti contro il Milleproroghe, o che comunque ciò non avvenga nel solco della strada indicata dall’Autorità garante. Se così fosse le aspettative dei tassisti sono destinate a essere frustrate, e i conflitti con il governo a rifiorire più accesi che mai.

Consumatori contro lavoratori

Recentemente l’Autorità garante delle concorrenza e del mercato è tornata sull’applicabilità della disciplina del trasporto pubblico non di linea ai sevizi offerti da Uber[14]. Ha sostenuto fra l’altro che producono “evidenti benefici concorrenziali per i consumatori”, da amplificare mettendo in competizione i taxi e gli ncc (quindi Uber-Black), e accettando Uber-Pop come forma di “trasporto privato non di linea”.

Per l’Autorità questo tipo di trasporto deve essere valorizzato in quanto pratica di economia condivisa assimilabile al car pooling, da ammettere anche se “il servizio è reso ad un prezzo che non serve esclusivamente a coprire il costo dell’itinerario percorso”. E anche Uber-Black andrebbe favorito, almeno per aumentare la competizione tra ncc e taxi, da incentivare eliminando per il primo l’obbligo del rientro in rimessa[15].

Sembra dunque probabile che, nel ridefinire la disciplina del trasporto pubblico non di linea, il governo finirà quantomeno per riconoscere Uber-Black, e comunque per alimentare la concorrenza tra taxi e ncc. Certo, si potranno nel contempo definire standard accettabili di tutela del consumatore, oltre che apposite misure di tipo fiscale, ma difficilmente lo stesso avverrà per la tutela dei lavoratori. Questi ultimi saranno anzi ulteriormente precarizzati per effetto di una pratica utilizzata da Uber: quella per cui i passeggeri possono valutare gli autisti (cd. sistema reputazionale). Con il risultato che la loro capacità di produrre reddito, e al limite di conservare l’occupazione, dipenderà da non meglio definiti giudizi, e spesso pregiudizi, dei clienti circa la qualità del servizio ricevuto.

Insomma, la riduzione del cittadino a consumatore è l’anticamera del conflitto tra lavoratori e consumatori. Peraltro il consumatore è tale solo se ha i mezzi per esserlo, mezzi che possono derivare solo dal lavoro. E questo non è certo il caso di chi, per fare spazio al nuovo che avanza, viene precarizzato e svalutato, e in fin dei conti ridotto allo “schiavo ascetico ma produttivo” di marxiana memoria[16].

NOTE[1] Legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea).

[2] Art. 28 c. 1quater Decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito nella Legge 27 febbraio 2009, n. 14.

[3] V. in particolare la posizione dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato: Disciplina dell’attività di noleggio con conducente (Disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del Decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207), in Bollettino settimanale, 2009, 7 (www.agcm.it/component/joomdoc/bollettini/7-09.pdf/download.html), p. 60 ss.

[4] Art. 7bis Legge 9 aprile 2009, n. 33.

[5] Art. 9 comma 3 D.L. 244/2016 – A.C. 4304.

[6] Uber e l’economia collaborativa sempre più uniti, come? Semplicemente Uber Pop, https://newsroom.uber.com/italy/uber-e-leconomia-collaborativa-sempre-piu-uniti-come-semplicemente-uberpop.

[7] Prima in via cautelare e poi in via definitiva: v. rispettivamente Trib. Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, ordinanze del 25 maggio 2015 (www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2015/05/trib..pdf) e del 9 luglio 2015 (www.ilsecoloxix.it/r/IlSecoloXIXWEB/genova/allegati/Audio%2023febb/16437690s%202.pdf).

[8] V.C. Romano, Nuove tecnologie per il mitridatismo regolamentare: il caso Uber Pop, in Mercato concorenza e regole, 2015, p. 136.

[9] Cfr. E. Mostacci e A. Somma, Il caso Uber. La sharing economy nel confronto tra common law e civil law, Milano, 2016, p. 130 ss.

[10] 21. considerando Direttiva 2006/123/Ce (relativa ai servizi nel mercato interno).

[11] Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella Legge 4 agosto 2006, n. 248.

[12] Ai sensi dell’art. 47 Legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia). Ad oggi è entrata in vigore una sola “legge annuale”: il Decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito con modificazioni nella Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[13] Proposta di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014, in Bollettino settimanale, 2014, 27 (www.agcm.it/component/joomdoc/bollettini/27-14.pdf/download.html), p. 18 ss.

[14] Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, in Bollettino settimanale, 2015, 39 (www.agcm.it/component/joomdoc/bollettini/39-15.pdf/download.html), p. 21 ss.

[15] Atto di segnalazione al Governo e al Parlamento sull’autotrasporto di persone non di linea:

taxi, noleggio con conducente e servizi tecnologici per la mobilità del 21 maggio 2015 (www.autorita-trasporti.it/wp-content/uploads/2015/06/Atto-di-segnalazione_signed.pdf).

[16] Cfr. E. Mostacci e A. Somma, Il caso Uber, cit., p. 220.

(25 febbraio 2017)

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