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Piccoli comuni: grandi speranze con poche risorse

quadro citta medievale vertecchiIMG_5606Pubblichiamo un articolo di Eddyburg in seguito all’approvazione della nuova legge “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni”  di Donato Belloni e Mauro Baioni   

Piccoli comuni: grandi speranze con poche risorse

di Donato Belloni e Mauro Baioni   
La legge sui piccoli comuni, approvata il 28 settembre, è piena di buone intenzioni per una causa meritoria. Giuste ambizioni, ma poche risorse e molti impegni affidati alla buona volontà delle istituzioni. Con riferimenti. (m.b.)

“I paesi hanno questo di particolare: 
vi trovi dentro tracce di due epiloghi, 
quello appena trascorso, della civiltà contadina, 
e quello in corso, della modernità”
(Franco Arminio, Terracarne, 2011)

Un merito va sicuramente riconosciuto alla nuova legge “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni” di recente (28 settembre) approvata in via definitiva al Senato: riportare l’attenzione sullo stato di abbandono di un immenso patrimonio, sia costruito che naturale, che connota le aree interne, ma non solo quelle, del Paese. Un abbandono diverso da quello conosciuto da importanti luoghi delle città a seguito di dismissioni di interi comparti economico-produttivi. Intanto perché meno percepibile da un’osservazione fondata principalmente sui valori economici in gioco, sugli asset aziendali, sulle appetibilità del mercato. Lungo le fasce alpine e prealpine, la dorsale appenninica, persi nelle retrovie delle aree sviluppate” si incontrano luoghi in cui la crisi urbana incontra la crisi  ambientale e il dissesto del territorio. Sono i cosiddetti “piccoli comuni”, 5.500 enti locali, 2.000 dei quali si trovano in Piemonte e Lombardia. In termini di popolazione, si tratta del 16% degli italiani; in termini di territorio, del 55%.

Il cuore della legge è l’istituzione di un fondo di 85 milioni di euro, ripartito in cinque annualità, destinato a finanziare opere pubbliche di carattere edilizio e infrastrutturale, con particolare attenzione al recupero e alla valorizzazione dei centri storici. Il finanziamento è concesso sulla base di progetti presentati alla presidenza del consiglio dei ministri, sulla base di un piano nazionale, di validità triennale, che dovrà essere approvato entro sei mesi (se il termine sarà rispettato, significa entro la fine dell’attuale legislatura).

Le rimanenti disposizioni hanno per lo più un carattere di principio. La parola più ricorrente è “possono”: i comuni possono individuare zone di pregio (art. 4), acquistare stazioni e case cantoniere (art. 6), stipulare convenzioni con le Poste (art. 10) o con la Diocesi (art. 7), promuovere la vendita dei prodotti locali (art. 11) e la realizzazione di alberghi diffusi (art. 4). Le regioni possono definire interventi ulteriori (art. 1), concorrere alle spese (art. 2), e coordinare l’attività dei comuni (art. 5). E anche le istituzioni competenti in materia di istruzione, trasporti, cultura, informazione ed editoria sono esortate – nell’ambito delle proprie competenze – a dedicare specifica attenzione ai piccoli comuni. Apparentemente, tutte iniziative che si potevano fare anche prima, ma d’ora in avanti si potrà agire non soltanto per buona volontà, ma anche in base alla legge.

In estrema sintesi, si può dire che, per le ottime ragioni e finalità dalla legge, non si può essere soddisfatti dei suoi contenuti.

La prima carenza evidente, riguarda la sproporzione tra fini e mezzi. Considerato nell’arco di 5 anni, lo stanziamento è pari 15.000 € per comune. In altri termini, le risorse sono sufficienti per sostenere un paio di progetti l’anno, in ogni regione. Decisamente poco. Basti pensare che per il solo bando riguardante i laboratori urbani (simile, per contenuti e finalità, a quelli ipotizzabili dalla legge sui piccoli comuni) – la regione Puglia ha stanziato 54 milioni di euro. Insomma, al fondo manca uno zero che potrebbe trasformare un provvedimento simbolico in un sostegno strutturale.

E, ancora: tutte le esperienze condotte negli ultimi venti anni (a partire dai benemeriti “Contratti di quartiere”, stupidamente abbandonati) hanno  dimostrato che le iniziative delle persone, delle associazioni e delle imprese sociali contano altrettanto – se non più – degli interventi fisici e che solo un legame virtuoso tra attività e interventi garantisce il necessario abbrivio iniziale. La legge sembra ignorare questo aspetto e c’è da augurarsi che la cantierabilità delle opere non sia l’unico criterio di selezione, come purtroppo sembra costume di questo periodo.

Infine, un ulteriore lato debole risiede nel rapporto tra Stato promotore dell’iniziativa e comuni attuatori: la “governance” del progetto. La linea dei finanziamenti parte dai Ministeri competenti e aspetta di incontrare l’iniziativa dei comuni potenzialmente interessati. Manca l’individuazione di specifiche strutture decentrate in grado di organizzare e sostenere queste iniziative e una visibile riorganizzazione delle pratiche con cui i diversi livelli istituzionali partecipano al gioco.
I piccoli comuni, dispersi non solo geograficamente, necessitano di riorganizzazioni territoriali e funzionali ben orientate a questo scopo. Le unioni di comuni non sono così diffuse e ancor meno lo sono le integrazioni di servizi e cura del territorio. Senza questo salto di qualità della cornice in cui si collocano iniziative come questa hanno il fiato corto. Chi ha avuto occasione di frequentare qualche comune tra quelli potenzialmente interessati ai benefici previsti dalla nuova legge sa quali difficoltà si incontrano. Ha visto una dotazione organica ridotta e messa alle corde nella gestione di attività ordinarie. Ha visto la penuria di mezzi operativi con sindaci e amministratori spesso autoincaricatisi di svolgere servizi quotidiani dell’ente come il trasporto di persone disabili, piccoli lavori di manutenzione, sorveglianza e molto altro. Dire loro “Ti aiutiamo a fermare il declino della tua comunità” senza modificare il circuito dei rapporti istituzionali che, quantomeno, ha contribuito a marginalizzarli non basta. Occorre un supporto attivo che affianchi i comuni interessati. Pensiamo a gruppi di lavoro misti decentrati (per Provincia o area vasta o per ambiti montani etc.) con lo scopo di:
– affiancare i comuni in questo progetto con il compito di rilevare le situazioni segnalate, raccogliere dati e informazioni propedeutiche al progetto, supportare i sindaci nelle negoziazioni con soggetti terzi (altri enti pubblici, istituzioni, istituti finanziari, privati).
– favorire l’incontro tra potenzialità dei luoghi e domande latenti che potrebbero essere intercettate dagli obiettivi del progetto.
– preparare programmi economico-finanziari con individuazione di risorse da attivare e piani di spesa e di rientro generati dalle attività messe in campo dai progetti.
– costituire un Osservatorio per il monitoraggio costante delle iniziative e rilevazione delle criticità su cui intervenire tempestivamente.
– costituire un repertorio delle iniziative per renderle note ed estendibili ad altri luoghi.

In altri termini, per passare da un provvedimento buono solo per le agenzie di stampa a uno utile per cambiare le cose occorre un forte e qualificato impegno organizzativo.  L’iniziativa pubblica deve essere univoca, priva di ambiguità, abbandonando, per esempio, velleità di nuovi condoni e altre scelte contradditorie. La legge dice che Stato e regioni “possono” fare la differenza. Vedremo se sarà così.

Riferimenti Qui è scaricabile il testo della leggeQui potete riascoltare il podcast della puntata di Zona mista – un’interessante trasmissione di Radiopopolare – dedicata allo spopolamento dei paesi alpini.
Su eddyburg trovate diversi scritti di Franco Armino e un’intervista di Francesco Erbani. 

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