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Regolamento Beni Comuni di Labsus: le obiezioni di Carteinregola

Villino Leopardi, sulla via Nomentana a Roma

Villino Leopardi, sulla via Nomentana a Roma, un bene pubblico in rovina, oggetto di una richiesta di manifestazione di interesse da parte del II Municipio

78 realtà cittadine romane,  unite nella Coalizione per i Beni Comuni*, stanno raccogliendo le firme per promuovere una Delibera di iniziativa popolare per l’approvazione del “Regolamento per la gestione, la cura e la rigenerazione condivisa dei beni comuni” mutuato dal prototipo dell’Associazione Labsus**.  Ed è  sicuramente importante e urgente che anche la Capitale si doti di un sistema di regole che permetta di rendere fruibile e/o utile alla collettività il patrimonio comune, soprattutto quando questo è inutilizzato e in abbandono, e che consenta, sia a cittadini attivi spontaneamente organizzati, sia ad associazioni o cooperative non a fini di lucro, di valorizzare tale patrimonio.

Ed è indispensabile che il contributo sociale offerto dai cittadini o da realtà non a fini di lucro sia riconosciuto attraverso meccanismi che  favoriscano  “l’autonomia di iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo sovlgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” così come recita l’art. 118 della Costituzione.

Tuttavia Carteinregola, pur condividendone il principio ispiratore,  non aderisce alla Delibera che promuove il Regolamento di Labsus, in quanto, sulla  base di un’esperienza maturata in 5 anni di impegno per il rispetto delle regole e dell’interesse pubblico, considera l’assegnazione e la gestione di alcune tipologie di beni pubblici materia molto complessa e irta di insidie – soprattutto nella Capitale, dove la cronaca dà conto ogni giorno di situazioni irregolari – per essere contenuta in un regolamento piuttosto generico, che lascia ampio margine a interpretazioni e quindi al rischio di distorsioni.

Crediamo che i comitati e le associazioni che hanno promosso la Delibera di iniziativa popolare abbiano fatto un passo positivo per sollecitare l’istituzione del Regolamento per la gestione, la cura e la rigenerazione condivisa dei beni comuni, beni che potrebbero essere il motore per il rilancio della Capitale e della ricostruzione delle comunità urbane sempre più disperse. Ma nello stesso tempo, auspichiamo che il  percorso passi  da una riflessione che porti all’approvazione di un documento completo, in cui siano inseriti molti aspetti indispensabili alla tutela del patrimonio collettivo e dei diritti dei cittadini.

In calce una sintesi delle nostre obiezioni alla Proposta di regolamento e un’analisi più puntuale. Speriamo che le nostre osservazioni  suscitino  un dibattito costruttivo, che  siamo pronti a ospitare anche nelle nostre pagine, pubblicando i contributi che ci saranno inviati.

Associazione Carteinregola

per osservazioni  e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

(Stiamo approfondendo altre proposte di Regolamento elaborate da altre realtà e forze politiche)

* Vai al sito della Coalizione Beni Comuni(> Vai al sito  http://coalizioneperibenicomuni.it/

** scarica la Delibera iniziativa popolare con regolamento raccolta firme gennaio 2018 scarica la Relazione_delibera iniziativa Roma regolamento Labsus )

> Vai a PatrimonioComune cronologia materiali

> Via a Regolamento Beni Comuni – materiali

REGOLAMENTO SULLA COLLABORAZIONE TRA CITTADINI E AMMINISTRAZIONI PER LA CURA, LA RIGENERAZIONE E LA GESTIONE CONDIVISA DEI BENI COMUNI URBANI

Proposta di Delibera di iniziativa popolare

Osservazioni di Carteinregola

In sintesi

Il Regolamento sostenuto dalla Delibera di iniziativa popolare, che ricalca il prototipo elaborato  da Labsus, a nostro avviso  non fornisce una definizione adeguata dei soggetti e degli oggetti, nonché delle regole che devono stabilire le modalità e le procedure di assegnazione e di gestione di alcuni beni comuni,  lasciando irrisolte alcune questioni basilari per un corretto e democratico uso dei beni.

In particolare il Regolamento:

  1. Fa un tutt’uno, nelle definizioni e nelle applicazioni che ne derivano, dei “cittadini attivi” e dei “soggetti di natura imprenditoriale” (senza peraltro precisarne le categorie)
  2. Mette insieme nella categoria “beni comuni” beni assai diversi, per tipologia, destinazione, possibile utilizzo, valore, limitandosi a una semplice e formale distinzione, nella definizione dei “Patti” tra amministrazione e “cittadini attivi”, tra “Patti di collaborazione ordinari” – che riguardano “interventi di cura di modesta entità, anche ripetuti nel tempo sui medesimi spazi e beni comuni” – e “Patti di collaborazione complessi” – che riguardano “spazi e beni comuni che hanno caratteristiche di valore storico, culturale o che, in aggiunta o in alternativa, hanno dimensioni e valore economico significativo, su cui i cittadini propongono di realizzare interventi di cura o rigenerazione che comportano attività complesse o innovative volte al recupero, alla trasformazione ed alla gestione continuata nel tempo per lo svolgimento di attività di interesse generale”, senza tuttavia specificare le differenze profonde tra le due categorie, e senza quindi affrontare con maggiore dettaglio le rispettive implicazioni, a partire da quelle normative e procedurali. Inoltre all’interno dei “Patti di collaborazione complessi” inserisce nella stessa categoria “spazi” e “beni” pubblici, che sono due cose assai diverse.
  3. Rispetto ai “Patti di collaborazione complessi”, che riguardano anche edifici o similari, non affronta il nodo principale, che riguarda “chi” e “come” dovrebbe finanziare gli indispensabili interventi per rendere fruibili gli immobili, e in che modo potrebbe ottenere un ritorno dagli investimenti – anche di grande entità – sostenuti. Punto cruciale, perché potrebbe sottintendere che l’assegnazione di proprietà pubbliche a privati preveda delle utilità per garantire la sostenibilità economica, come la destinazione in parte privata o lo svolgimento di attività non solo di pubblico interesse (anche se la possibilità sembra  esclusa dal regolamento)
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Forte Antenne, Villa Ada, II Municipio

1. I cittadini attivi non sono imprenditori

La prima e principale obiezione è l’inserimento, nell’ art. 2 -Definizioni – comma “c”, alla voce “cittadini attivi”, anche di “soggetti di natura imprenditoriale[1]

Non per escludere “a prescindere” dalla cura e dalla gestione di beni pubblici  soggetti di tale natura, ma perché riteniamo che esistano differenze sostanziali tra un “cittadino attivo”, con profilo, natura giuridica e scopi ben definiti, e un soggetto che svolge attività economiche.

E che non possano essere equiparate e mescolate le finalità dell’impegno di un cittadino, che opera senza fini di lucro (anche nel caso ne ottenesse qualche agevolazione fiscale), rispetto a quelle di soggetti che invece hanno – legittimamente – l’obiettivo di produrre profitto per i propri aventi causa (con tutte le sfumature intermedie tra questi due estremi, come possono essere realtà non profit che svolgono attività economiche, che tuttavia, bisogna ricordarlo, non prevedono la redistribuzione dei dividenti tra i propri azionisti/soci)

E’ quindi, a nostro avviso, più che mai necessario che tale differenza sia esplicitata in qualsiasi regolamento, con l’inserimento di una voce a sè stante che definisca anche i soggetti di natura imprenditoriale e quali profili comprenda la categoria; precisazione che dovrà essere sempre inserita negli articoli, ogni qualvolta si usi la definizione “cittadini” o “cittadini attivi” e si ravvisi la necessità[2] di attribuire analoghe facoltà e obblighi anche a “soggetti di natura imprenditoriale”.

Facciamo inoltre  presente che le normative vigenti prevedono già diverse forme di collaborazione pubblico/privato, regolate da criteri e limiti che, tra l’altro, in molti casi non possono essere bypassati da alcun regolamento comunale. Rimandando ad ulteriori approfondimenti, ci limiteremo a citare forme quali il “mecenatismo”[3] le sponsorizzazioni[4], le concessioni[5] e anche il project financing[6], che presuppongono un “do ut des” per operazioni economiche ad ampio raggio che prevedono contratti tra Amministrazioni e soggetti privati di natura imprenditoriale.

E’ evidente che un distributore di benzina che si prende cura del giardinetto adiacente in cambio di agevolazioni fiscali è più vicino al comitato di quartiere che non alla grande società che si prende in carico proprietà immobiliari comunali in disuso che richiedono notevoli investimenti economici. Ma proprio per questo si dovrà rimandare, per i soggetti di natura imprenditoriale, a ulteriori distinzioni che definiscano le diverse condizioni di partenariato[7].

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Villino Leopardi, sulla via Nomentana a Roma II Municipio

2. I beni comuni sono molto diversi tra loro

Nell’art. 2 – Definizioni – al comma a) si dà una definizione assai generica dei beni comuni: “ beni comuni urbani e rurali: i beni, materiali e immateriali, pubblici e privati, che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità e dei suoi membri, all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell’articolo 118 comma 4 della Costituzione, per garantirne e migliorarne la fruizione individuale e collettiva”

Nel Regolamento però non è esplicitata dettagliatamente la tipologia dei “ beni comuni urbani e rurali”, tantomeno con un allegato che distingua le varie di categorie; anche nell’Art.2 – Definizioni c’è un generico riferimento agli spazi pubblici: i) spazi pubblici: aree verdi, piazze, strade, marciapiedi e altri spazi pubblici o aperti al pubblico, di proprietà pubblica o assoggettati ad uso pubblico”, in cui non è tuttavia inserita alcuna definizione delle proprietà pubbliche della categoria degli immobili  – e quindi degli edifici –  nonostante il titolo del successivo “CAPO III” rimandi a “CURA, RIGENERAZIONE E GESTIONE CONDIVISA DI IMMOBILI E SPAZI PUBBLICI”.

Negli articoli successivi si trovano accenni a differenziazioni in base alla fattispecie dei beni, ma senza che si stabilisca  chiaramente su quali elementi si basi la differenziazione[8]; per i Patti di collaborazione Ordinari si elencano delle attività[9] e si prescrive che il portale del Comune[10] a titolo esemplificativo pubblichi l’elenco “dei più frequenti interventi di cura di modesta entità che i cittadini attivi possono realizzare”, mentre per i secondi si parla di interventi che “riguardano spazi e beni comuni che hanno caratteristiche di valore storico, culturale o che, in aggiunta o in alternativa, hanno dimensioni e valore economico significativo, su cui i cittadini propongono di realizzare interventi di cura o rigenerazione che comportano attività complesse o innovative volte al recupero, alla trasformazione ed alla gestione continuata nel tempo per lo svolgimento di attività di interesse generale”[11] prevedendo che, a discrezione del Comune, venga realizzato e pubblicato  un elenco di beni comuni oggetto di patti di collaborazione complessi[12].

E sarebbe necessario un esplicito approfondimento anche degli usi pubblici previstie  consentiti dei beni oggetto del Regolamento. Perchè sono due categorie ben diverse le “aree verdi, piazze, strade, marciapiedi” – il cui uso non può che essere quello a cui sono naturalmente destinati e la cui manutenzione e cura non necessitano generalmente di investimenti importanti – e gli “spazi pubblici, di proprietà pubblica o assoggettati ad uso pubblico[13] che comprendono per l’appunto edifici, che possono essere destinati a funzioni e usi diversi e che richiedono mediamente ben altri investimenti per la loro ristrutturazione, organizzazione e gestione.

Ne è corollario il fatto che i beni immobili dovrebbero essere distinti anche in base al loro valore e alla loro destinazione. Perché non possono essere messi sullo stesso piano il casotto in un giardino pubblico, che può essere affidato a titolo gratuito alle associazioni di quartiere in cambio della manutenzione dell’area verde, e immobili di grandissimo valore come il Villino Leopardi sulla Nomentana o Forte Antenne a Villa Ada (nelle foto), per fare due esempi recenti e concreti. Due immobili storici di notevole e notevolissima cubatura, entrambi in condizioni di abbandono, che richiedono cospicui investimenti per essere messi in condizione di essere utilizzati.

E’ quindi indispensabile che il Regolamento elenchi dettagliatamente le tipologie dei beni comuni di cui si occupa, inserendo anche precise distinzioni tra spazi e beni immobili, e di questi ultimi tra beni immobili di non grande valore e/o facilmente utilizzabili con pochi investimenti, e immobili di grande valore che richiedono consistenti investimenti per essere resi fruibili

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Villino Leopardi, sulla via Nomentana a Roma, II Municipio

3. Chi mette i soldi per rigenerare immobili di valore (e cosa ottiene in cambio)?

All’art.2 – Definizioni – due commi [14] sono dedicati alla sostenibilità economica, facendo presupporre che nei Patti con i “cittadini attivi” ci sia da parte dell’Amministrazione una valutazione della sostenibilità economica delle attività e dei progetti proposti.

Nei relativi articoli del Regolamento, come abbiamo visto,  si descrivono genericamente i “Patti di collaborazione ordinari” e i “Patti di collaborazione complessi”, ma, anche per gli aspetti economici, il Regolamento precisa ambiti e fonti di finanziamento per i primi, mentre per i secondi è assai vago.

Il capo III si occupa di – CURA, RIGENERAZIONE E GESTIONE CONDIVISA DI IMMOBILI E SPAZI PUBBLICI, e, all’articolo 9 comma 5 cita, esplicitamente organizzazione e capacità tecnico-finanziaria che i soggetti firmatari dei patti di collaborazione complessi devono garantire, con la formula “idonee per il rispetto delle normative vigenti”, ma tuttavia non offre ulteriori precisazioni in proposito[15]

Così come è assai poco specificato cosa si intenda per “uso pubblico” o “fruizione collettiva” degli spazi e dei beni oggetto dei patti di collaborazione, che, se venissero meno, comporterebbero l’annullamento del patto[16]

Ed è anche poco chiaro come sia gestita l’individuazione o la scelta  del soggetto – “cittadini” ma, ricordiamolo, anche “realtà imprenditoriali” – con cui l’Amministrazione stipula il Patto di collaborazione complesso in cambio di alcune utilità (tra le quali l’uso gratuito del bene sembra la più consistente) per proprietà  pubbliche che, tra l’altro, potrebbero essere ambìte da più soggetti. E nel caso che, dopo la pubblicazione della prima proposta avanzata da “cittadini” pervengano ulteriori proposte[17], la soluzione ventilata – “Laddove per i medesimi spazi o beni comuni siano presentate più proposte per patti di collaborazione complessi l’Ufficio può avviare un confronto tra i diversi proponenti per facilitare la formulazione di una proposta condivisa[18] – sembra assai esile, soprattutto, appunto, quando in lizza ci siano anche realtà imprenditoriali.

Né vi sono accenni ad eventuali bandi o comunque procedure aperte a più soggetti per l’assegnazione del bene. L’art.9 comma 4 prevede che i cittadini attivi – compresi quindi soggetti di natura imprenditoriale –“assumano in via diretta la manutenzione, il restauro e la riqualificazione di beni immobili[19] , senza specificare se sia da intendersi che i cittadini  possono farsi  carico direttamente degli interventi di manutenzione restauro o riqualificazione (tramite autorecupero?) o se indichi invece la possibilità che tali interventi siano  affidati in maniera diretta.

E ulteriori precisazioni – e citazioni – normative appaiono indispensabili, soprattutto laddove di avveri la previsione dell’ “attribuzione di vantaggi economici, con l’assunzione, da parte del Comune, di “oneri per la realizzazione di azioni e interventi nell’ambito di patti di collaborazione ordinari e complessi[20].
 E in ogni caso andrebbe ulteriormente precisata e regolamentata la possibilità che il soggetto affidatario della proprietà pubblica possa “mettere temporaneamente i beni a disposizione di altri cittadini e formazioni sociali al fine di svolgere attività analoghe”[21], ricordando ancora una volta che nella categoria “cittadini” sono compresi anche “imprenditori”.

Per il coordinamento e i vari passaggi procedurali si prevede l’istituzione di “un’unità organizzativa per il presidio del procedimento di realizzazione dell’amministrazione condivisa”[22] e di un “dirigente delegato[23]”, che hanno il compito rispettivamente di coordinare gli uffici comunali o pubblici interessati e studiare le proposte e predisporre delibere che devono poi essere sottoposte alla decisione della Giunta. Il dirigente può – può – “ricorrere alle procedure della democrazia partecipativa, convocando entro 15 giorni dalla pubblicazione dell’avviso un’assemblea dei beni comuni[24], assemblea di cui il Regolamento peraltro non specifica composizione nè modalità di funzionamento.

Quindi, mettendo insieme le tessere del “puzzle, ne deriva che, per quanto riguarda   la rigenerazione e la gestione condivisa di immobili pubblici di valore, possono avanzare proposte anche soggetti di natura imprenditoriale, che sottoscrivono con il Comune un “Patto di collaborazione complesso” e che devono garantire un equilibrio economico dell’operazione. Con quali risorse i privati possano finanziare restauri costosi di beni di grande valore non è specificato: da un lato si impedisce di “realizzare attività o interventi che contrastino con la fruizione collettiva dei beni[25], dall’altro non si parla di contropartite economiche, se non dell’ “l’uso dell’immobile a titolo gratuito”, per una durata che “non supera normalmente i nove anni”  e “con permanente vincolo di destinazione, puntualmente disciplinato nei patti stessi”[26], sebbene “periodi più lunghi possono eccezionalmente essere pattuiti in considerazione del particolare impegno richiesto per opere di recupero edilizio del bene immobile”. In ogni caso, l’eventuale sostegno economico del Comune, oltre alla citata potenziale assunzione diretta di “oneri per la realizzazione di azioni e interventi nell’ambito di patti di collaborazione ordinari e complessi[27] – “nei limiti delle risorse disponibili”, e una non precisata attività di “di individuazione di strumenti di sponsorizzazione e di raccolta fondi[28] sembrerebbe comunque insufficiente nel caso di  interventi di rigenerazione di immobili importanti.

Anche  le ”forme di sostegno” previste al Capo IV, sembrano riferirsi a interventi di modesta entità – pur citando Patti ordinari e Patti complessi – , visto il tipo di vantaggi economici che il Comune prevede, oltre all’uso gratuito dell’immobile,  per Patti che “ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi sono in grado di mobilitare appaiano adeguate”: l’ attribuzione “all’amministrazione delle spese relative alle utenze” e delle “spese relative alle manutenzioni”[29],“la disponibilità a titolo gratuito di beni strumentali e materiali di consumo necessari alla realizzazione delle attività previste” [30], l’eventuale “affiancamento di dipendenti comunali ai cittadini attivi[31], e anche alcune esenzioni da tributi previste all’art.11[32].

Quanto al possibile svolgimento di attività economiche, sono consentite solo con “carattere temporaneo, comunque accessorie nell’ambito del programma di azioni e interventi previsti dal patto, finalizzate all’autofinanziamento”[33].

La domanda da porre, ritornando agli esempi di Forte Antenne e Villino Leopardi, non a caso citati, visto che il II Municipio, che ne ha ottenuto l’affidamento dal Comune, ha lanciato nel gennaio scorso una richiesta di manifestazione d’interesse rivolta a soggetti privati, evidentemente in grado di raccogliere cospicui fondi necessari al restauro[34], non è tanto come possano dei cittadini attivi raccogliere finanziamenti così consistenti, quanto quale interesse possa avere un soggetto di natura imprenditoriale a restaurare immobili che richiedono consistenti investimenti, senza alcuna contropartita economica oltre all’uso gratuito del bene, però per scopi pubblici e non commerciali.

Il Regolamento lascia invero piuttosto sfocato il punto. Ma una cosa è certa: inserire  imprenditori e cooperative nella categoria “cittadini attivi” non consente  in ogni caso di affidare loro beni pubblici con modalità in contrasto  il Codice dei Contratti e con le normative che prescrivono gare, bandi e quant’altro.

Anche gli impianti sportivi comunali sono beni comuni, e sono affidati ad associazioni sportive a prezzi calmierati a fronte del riconoscimento del valore sociale e del servizio che svolgono in molti territori della città. Ma esiste uno specifico regolamento – e una  nuova versione è stata  appena approvata – del Comune di Roma che ne fissa criteri di assegnazione, anche per garantire le pari opportunità di accesso ai beni pubblici a tutti gli interessati alla loro  gestione.

E sarebbe paradossale che, mentre un campetto di calcio di periferia viene assegnato tramite bando a un’associazione sportiva con criteri uguali per tutti, un villino inizio novecento nel quartiere Trieste possa essere dato in uso per decenni (visto il forte impegno finanziario richiesto per il restauro) a un imprenditore privato o a una cooperativa sociale – dato che ci sembra assai difficile che dei semplici cittadini attivi possano far fronte alle spese di restauro con i proventi di qualche festa di quartiere – senza alcun bando, in cambio di un uso pubblico le cui fattispecie non sono esplicitate in nessun passaggio del Regolamento.

Inoltre, parlando di uso di beni comuni, dovrebbero essere presenti e regolate le modalità di  confronto e di  condivisione dei progetti con i cittadini dei territori; invece, nonostante in più passaggi si accenni alla partecipazione dei cittadini e alle esigenze dei quartieri, a parte il citato accenno all’Assemblea dei Beni Comuni, non è chiaro come l’uso pubblico dei beni possa essere oggetto di veri progetti partecipati anziché di decisioni prese nelle segrete stanze degli uffici comunali e dei Municipi.

Anche sotto il profilo della trasparenza il Regolamento non ci sembra offrire molte garanzie concrete sull’informazione ai cittadini sui beni oggetto dei Patti complessi, sulle proposte avanzate,  sulle modalità della loro assegnazione ecc: la pubblicazione sul sito istituzionale (oltretutto non obbligatoria) rischia di infrangersi sugi scogli dei presunti obblighi della tutela privacy che hanno finora impedito ad esempio la pubblicazione delle convenzioni riguardanti le concessioni della maggior parte delle proprietà di Roma Capitale, anche per quelle affidate a società e associazioni, pubblicazione  che da tempo Carteinregola richiede.

Casale delle Cavalle Madri,  Villa Ada, II Municipio

Casale delle Cavalle Madri, Villa Ada, II Municipio

4. Conclusione

Sicuramente il Regolamento può avere una sua validità per la collaborazione amministrazione /cittadini nell’ambito degli spazi pubblici o dei beni immobili di piccola entità (strade marciapiedi, aiuole, giardini, parchi, casotti etc) che possono essere curati, restaurati e gestiti direttamente da cittadini attivi, compresi anche piccoli imprenditori presenti sul territorio come commercianti o altre piccole realtà radicate nel tessuto del quartiere etc. Anche se riteniamo, sulla base del lavoro che seguiamo da anni per la stesura di un Regolamento del Verde urbano e del Paesaggio per Roma Capitale, che le  regole generali e particolari per la cura del verde  non possano che essere sovraordinate e debbano invece essere richiamate nella  parte del  Regolamento dei Beni Comuni laddove  tratta l’affidamento di aree verdi parchi e giardini a cittadini attivi.

Riguardo l’assegnazione di proprietà pubbliche che rientrano nella categoria che comprende immobili di medio e alto valore, che richiedono notevoli investimenti per la riqualificazione  e un’organizzazione complessa per la gestione, riteniamo che dovrebbe essere regolata dagli strumenti normativi  vigenti, seppure   aggiornati,  rielaborati e armonizzati tra loro, per ricavarne indicazioni semplici e chiare.

In particolare per la rigenerazione, la cura e la gestione di immobili pubblici, l’Amministrazione dovrebbe definire con chiarezza  i soggetti a cui intende  rivolgersi, i criteri di selezione, gli usi possibili dei beni, le fonti di finanziamento e tutto quanto necessario per garantire, oltre alla disponibilità pubblica, anche le pari opportunità di accesso ai beni di tutti gli interessati, e la fruizione pubblica. Senza escludere aprioristicamente un eventuale – e parziale – uso privato, ma sempre stabilito da una regia pubblica e regolato da più stringenti  strumenti normativi.

Nell’ultimo anno sono scoppiate molte criticità nei rapporti tra Amministrazione capitolina e tante realtà impegnate nel sociale affidatarie di beni pubblici, che si sono trovate a rischio sfratto e/o pagamento di esosi arretrati per l’uso di beni indisponibili. Situazione che deve essere affrontata con regole chiare e trasparenti, che tengano conto del valore sociale delle attività svolte dalle associazioni. Tuttavia non possiamo ignorare la palude che si è protratta per anni – decenni – nella Capitale, con una spartizione “bipartisan” dei beni comuni all’insegna dei favori anziché dei diritti, che finchè non sarà completamente superata soffocherà ogni aspirazione di giustizia sociale e pari opportunità.

Lo sforzo dovrà essere quello di trovare un equilibrio democratico e trasparente che tenga conto di tutti gli aspetti, regole generali e casi particolari.

Ma questo Regolamento, in questa versione, non ne può, a nostro avviso, essere lo strumento, in quanto non fornisce una proposta esaustiva per tutti i Beni pubblici, soprattutto per quelli che richiedono un impegno economico e gestionale non alla portata dei semplici cittadini.

E stride con la storia della Capitale quell’ultimo articolo – “Clausole interpretative” – che invita l’Amministrazione all’interpretazione delle disposizioni – tra le quali molte a tutela dell’interesse pubblico e della salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio collettivo – nel senso più favorevole alla possibilità per i cittadini di concorrere alla cura e alla rigenerazione. Giusto per i cittadini. Non per gli imprenditori[35].

Crediamo che i comitati e le associazioni che hanno promosso la Delibera di iniziativa popolare abbiano fatto un passo positivo per sollecitare l’istituzione del Regolamento per la gestione, la cura e la rigenerazione condivisa dei beni comuni, beni che potrebbero essere il motore per il rilancio della Capitale e della ricostruzione delle comunità urbane sempre più disperse. Ma nello stesso tempo, auspichiamo che il suo percorso passi da una approfondita riflessione  che porti all’approvazione di un documento completo, in cui siano inseriti tutti gli  aspetti indispensabili alla tutela del patrimonio collettivo e dei diritti dei cittadini.

Associazione Carteinregola

Roma, 19 marzo 2018

[1] Art.2 comma c) cittadini attivi: tutti i soggetti, compresi i bambini, singoli, associati o comunque riuniti in formazioni sociali, anche informali o di natura imprenditoriale, che indipendentemente dai requisiti riguardanti la residenza o la cittadinanza si attivano per periodi di tempo anche limitati per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani ai sensi del presente regolamento;

NOTA: Nella proposta di regolamento della Lista Civica Giachetti/PD presentata il 20 maggio 2017, anch’esso ispirato  al Regolamento di Labsus, nei  “cittadini attivi” non si comprendono realtà imprenditoriali, e anzi, si specifica  che “i soggetti di natura imprenditoriale sono considerati cittadini attivi ai fini del presente regolamento solo a condizione che non ricavino vantaggi economici, diretti o indiretti, dalla cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni urbani, neppure nella forma della sponsorizzazione, e  che pongano in essere le predette attività unicamente con scopi di liberalità o volontariato

[2] Tale distinzione e precisazione riteniamo necessaria anche per il successivo comma d).

  1. d) proposta di collaborazione: la manifestazione di interesse, formulata dai cittadini attivi, volta a proporre interventi di cura, rigenerazione o gestione condivisa dei beni comuni urbani in forma condivisa con l’amministrazione, a condizione che tali interventi non configurino forme di sostituzione di servizi essenziali che devono essere garantiti dal Comune stesso secondo le leggi ed i regolamenti vigenti. La proposta può essere spontanea oppure formulata in risposta ad una sollecitazione del Comune

[3] Come l’ “ART BONUS”: Il decreto legge n. 83 del 2014 ha introdotto, nell’ambito delle disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo, un credito d’imposta a favore di erogazioni liberali a sostegno della cultura. La legge di stabilità del 2016 lo ha reso permanente: il donatore, persona fisica o giuridica, che diventa un moderno Mecenate, gode di un regime fiscale agevolato nella misura di un credito d’imposta pari al 65% delle erogazioni effettuate.

[4] La causa del contratto di sponsorizzazione è il fine di pubblicità. Caratteristica della sponsorizzazione è l’abbinamento dell’immagine dello sponsor all’evento sponsorizzato (in ipotesi, restauro di un monumentoIl contratto di sponsorizzazione è un contratto atipico, oneroso, a prestazioni corrispettive – ossia che prevede prestazioni a carico di entrambe le parti – stipulato tra due parti:

  • lo sponsor (generalmente un’impresa) che si obbliga ad una prestazione pecuniaria, ovvero ad assumere in proprio la realizzazione di lavori, servizi o forniture a favore dello sponsee.
  • lo sponsee che, nell’ambito di iniziative destinate al pubblico, si obbliga in contropartita a fornire prestazioni di veicolazione del nome, del marchio, dell’immagine, di prodotti o servizi dello sponsor; http://www.upaperlacultura.org/cosa-sono-le-sponsorizzazioni.html

[5] Nuovo codice degli appalti (Lgs 50/2016)Art. 3. Definizioni vv) «concessione di servizi», un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi;

https://www.codiceappalti.it/dlgs_50_2016/art__3__definizioni/8368

[6] Il coinvolgimento dei soggetti privati nella realizzazione, nella gestione e soprattutto nell’accollo totale o parziale dei costi di opere pubbliche, o opere di pubblica utilità, in vista di entrate economiche future rappresenta la caratteristica principale del project financing. Vedi Nuovo codice degli appalti (Lgs 50/2016)Art. 183. Finanza di progetto https://www.codiceappalti.it/dlgs_50_2016/art__183__finanza_di_progetto/8583

[6]

  1. 3. Nel caso in cui i cittadini si attivino attraverso formazioni sociali, le persone che sottoscrivono i patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento rappresentano, nei rapporti con il Comune, la formazione sociale che assume l’impegno di svolgere interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni.

[6] Nel regolamento un intro Capo – III è dedicato a entrambi CAPO III – CURA, RIGENERAZIONE E GESTIONE CONDIVISA DI IMMOBILI E SPAZI PUBBLICI

[6] h) adeguatezza e differenziazione: le forme di collaborazione tra cittadini e amministrazione sono adeguate alle esigenze di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni urbani e vengono differenziate a seconda del tipo o della natura del bene comune urbano e delle persone al cui benessere esso è funzionale;

[7] Inoltre all’ Art.4 “cittadini attivi” (comma 3) parla di “formazioni sociali” senza tuttavia specificarne la natura e le possibili fattispecie, che, ricordando che nella categoria sono inclusi anche “soggetti di natura imprenditoriale” risulta abbastanza contraddittorio.

Art.4 comma 3. Nel caso in cui i cittadini si attivino attraverso formazioni sociali, le persone che sottoscrivono i patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento rappresentano, nei rapporti con il Comune, la formazione sociale che assume l’impegno di svolgere interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni

[8] Art. 3 Principi generali i) le forme di collaborazione tra cittadini e amministrazione sono adeguate alle esigenze di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni e vengono differenziate a seconda del tipo o della natura del bene comune e delle persone al cui benessere esso è funzionale;

[9] Articolo 7 – Patti di collaborazione ordinari comma 3. A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, possono essere oggetto di patti di collaborazione ordinari i seguenti interventi che i cittadini attivi possono realizzare su beni comuni materiali: pulizia, imbiancatura, piccola manutenzione ordinaria, giardinaggio, allestimenti, decorazioni, attività di animazione territoriale, aggregazione sociale, comunicazione, attività culturali e formative.

[10] Articolo 7 – Patti di collaborazione ordinari comma 2. Il modello nel portale del Comune contiene un elenco, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, dei più frequenti interventi di cura di modesta entità che i cittadini attivi possono realizzare e indica i presupposti, le condizioni e l’iter istruttorio per la loro realizzazione.

[11] Articolo 7 – Patti di collaborazione complessi

  1. I patti di collaborazione complessi riguardano spazi e beni comuni che hanno caratteristiche di valore storico, culturale o che, in aggiunta o in alternativa, hanno dimensioni e valore economico significativo, su cui i cittadini propongono di realizzare interventi di cura o rigenerazione che comportano attività complesse o innovative volte al recupero, alla trasformazione ed alla gestione continuata nel tempo per lo svolgimento di attività di interesse generale.

[12] Articolo 7 – Patti di collaborazione complessi

  1. Il Comune può autonomamente individuare e proporre in apposito elenco ai cittadini i beni comuni che possono essere oggetto di patti di collaborazione complessi.
  2. I cittadini possono a loro volta proporre all’amministrazione i beni comuni da inserire nell’elenco, trasmettendo la proposta all’Ufficio che la sottoporrà alla Giunta ai fini della valutazione rispetto alle finalità perseguite con i patti di collaborazione complessi.

[13] Articolo 2 – Definizioni lettera”i”

[14] g) rigenerazione: interventi dei cittadini volti al recupero dei beni comuni, con caratteri di inclusività, integrazione e sostenibilità anche economica

  1. h) gestione condivisa: interventi finalizzati alla fruizione collettiva dei beni comuni urbani, con caratteri di continuità, inclusività, integrazione e sostenibilità anche economica;

[14] 2. Il contenuto del patto può variare in relazione al grado di complessità degli interventi concordati e della durata della collaborazione.

  1. Il patto, avuto riguardo alle specifiche necessità di regolazione che la collaborazione presenta, definisce in particolare:
  2. c) le modalità di azione, il ruolo ed i reciproci impegni, anche economici, dei soggetti coinvolti, i requisiti ed i limiti di intervento;

Articolo 5 – Patto di collaborazione comma 2 ) le modalità di azione, il ruolo ed i reciproci impegni, anche economici, dei soggetti coinvolti, i requisiti ed i limiti di intervento;

CAPO IV – FORME DI SOSTEGNO

Articolo 10 – Attribuzione di vantaggi economici e altre forme di sostegno

  1. Il Comune può assumere direttamente, nei limiti delle risorse disponibili, oneri per la realizzazione di azioni e interventi nell’ambito di patti di collaborazione ordinari e complessi.
  2. Il Comune stipula apposite polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dalle attività previste dai patti di collaborazione, a favore sia di cittadini associati, sia di cittadini singoli purché inseriti in un apposito registro.
  3. Il Comune si impegna altresì a favorire la copertura assicurativa dei cittadini attivi attraverso la stipulazione di convenzioni quadro con operatori del settore assicurativo che prevedano la possibilità di attivare le coperture su richiesta, a condizioni agevolate e con modalità flessibili e personalizzate

art. 13

  1. Nel rispetto di quanto previsto al precedente comma 1, il patto di collaborazione può prevedere la realizzazione di attività economiche,

. Restano ferme e distinte dalla materia oggetto del presente regolamento le altre previsioni regolamentari del Comune che disciplinano l’erogazione dei benefici economici e strumentali a sostegno delle associazioni, in attuazione dell’articolo 12 della Legge 7 agosto 1990 n. 241di carattere temporaneo, comunque accessorie nell’ambito del programma di azioni e interventi previsti dal patto, finalizzate all’autofinanziamento.

[15] Art. 9 comma 5. La sottoscrizione di patti di collaborazione complessi non esclude la necessità di prevedere che i soggetti firmatari garantiscano organizzazione e capacità tecnico-finanziaria idonee per il rispetto delle normative vigenti. L’assolvimento di tali obblighi può essere soddisfatto anche dal coinvolgimento nell’accordo di soggetti che presentino le garanzie richieste a supporto dei cittadini attivi.

[16] Articolo 9 comma 2. I cittadini attivi non possono in alcun modo realizzare attività o interventi che contrastino con la fruizione collettiva di cui al comma 1, pena l’annullamento del patto di collaborazione da parte del Comune.

[17] Art. 7 comma 4. I cittadini che intendono stipulare patti di collaborazione complessi presentano la propria proposta di collaborazione, anche per via telematica, all’Ufficio che pubblica sul portale del Comune l’avviso per la presentazione di eventuali ulteriori proposte di collaborazione da parte della cittadinanza e individua il Dirigente delegato alla sottoscrizione del patto di collaborazione, che svolge entro 30 giorni dalla presentazione della proposta l’attività istruttoria. Le ulteriori proposte di collaborazione devono essere presentate nel termine di 20 giorni dall’avvenuta pubblicazione dell’avviso e sospendono i termini della procedura di istruttoria. Scaduti i 20 giorni riprende la decorrenza del procedimento principale

[18] Art.7 comma 7. Laddove per i medesimi spazi o beni comuni siano presentate più proposte per patti di collaborazione complessi l’Ufficio può avviare un confronto tra i diversi proponenti per facilitare la formulazione di una proposta condivisa

[19] Art. 9 comma 4. Il patto di collaborazione può prevedere che i cittadini attivi assumano in via diretta la manutenzione, il restauro e la riqualificazione di beni immobili

[20] Articolo 10 – Attribuzione di vantaggi economici e altre forme di sostegno

  1. Il Comune può assumere direttamente, nei limiti delle risorse disponibili, oneri per la realizzazione di azioni e interventi nell’ambito di patti di collaborazione ordinari e complessi.

[21] Art.12 comma 2. Il patto di collaborazione può prevedere la possibilità per il comodatario di cui al comma precedente di mettere temporaneamente i beni a disposizione di altri cittadini e formazioni sociali al fine di svolgere attività analoghe.

[22] Art.6 comma 2. Al fine di semplificare la relazione con i cittadini si individua un’unità organizzativa per il presidio del procedimento di realizzazione dell’amministrazione condivisa. Tale unità organizzativa, denominata Ufficio per l’amministrazione condivisa (d’ora innanzi Ufficio):

  1. a) attiva e supporta gli altri uffici comunali nella relazione con i cittadini, nell’individuazione di strumenti di sponsorizzazione e di raccolta fondi, nella definizione dei contenuti dei singoli patti di collaborazione, nella promozione e rendicontazione sociale dei risultati dei patti;
  2. b) raccoglie le proposte di collaborazione avanzate dai cittadini attivi, ne verifica e valuta il contenuto, individua il dirigente o funzionario responsabile del confronto con il soggetto proponente e della elaborazione condivisa con i cittadini del patto di collaborazione, coordina i diversi uffici in caso di competenze sovrapposte e comunica al soggetto proponente il nome del dirigente o funzionario responsabile del procedimento di amministrazione condivisa;
  3. c) monitora le fasi del processo di formazione ed esecuzione condivisa dei patti di collaborazione;
  4. d) raccoglie i dati necessari per l’elaborazione degli indicatori di processo e di impatto

[23] Art. 7 comma 4

[24] Art. 7 comma 6. Al fine di dare maggiore pubblicità alle proposte di collaborazione di cui al comma 3 e per conoscere istanze e bisogni della comunità di riferimento, l’Ufficio o il dirigente delegato competente può ricorrere alle procedure della democrazia partecipativa, convocando entro 15 giorni dalla pubblicazione dell’avviso un’assemblea dei beni comuni

[25] Art.9 comma 7 I patti di collaborazione aventi ad oggetto la gestione condivisa o la rigenerazione di immobili, prevedono l’uso dell’immobile a titolo gratuito e con permanente vincolo di destinazione, puntualmente disciplinato nei patti stessi.

La durata dei patti di collaborazione complessi non supera normalmente i nove anni. Periodi più lunghi possono eccezionalmente essere pattuiti in considerazione del particolare impegno richiesto per opere di recupero edilizio del bene immobile.

[26] Articolo 9 – Azioni e interventi di cura, rigenerazione e gestione condivisa di immobili e spazi pubblici comma 7. I patti di collaborazione aventi ad oggetto la gestione condivisa o la rigenerazione di immobili prevedono l’uso dell’immobile a titolo gratuito e con permanente vincolo di destinazione, puntualmente disciplinato nei patti stessi.

[27] Articolo 10 – Attribuzione di vantaggi economici e altre forme di sostegno

  1. Il Comune può assumere direttamente, nei limiti delle risorse disponibili, oneri per la realizzazione di azioni e interventi nell’ambito di patti di collaborazione ordinari e complessi.

[28] Articolo 6 – Disposizioni generali

Comma 1 a) attiva e supporta gli altri uffici comunali nella relazione con i cittadini, nell’individuazione di strumenti di sponsorizzazione e di raccolta fondi, nella definizione dei contenuti dei singoli patti di collaborazione, nella promozione e rendicontazione sociale dei risultati dei patti;

[29] Articolo 10 – Attribuzione di vantaggi economici e altre forme di sostegno

  1. Qualora il patto di collaborazione abbia ad oggetto azioni e interventi di cura, di gestione condivisa o di rigenerazione di beni comuni che il Comune ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi sono in grado di mobilitare appaiano adeguate, il patto di collaborazione può prevedere l’attribuzione di vantaggi economici a favore dei cittadini attivi, quali, a mero titolo esemplificativo:

a) l’uso a titolo gratuito di immobili di proprietà comunale;

  1. b) l’attribuzione all’amministrazione delle spese relative alle utenze;
  2. c) l’attribuzione all’amministrazione delle spese relative alle manutenzioni;
  3. d) la disponibilità a titolo gratuito di beni strumentali e materiali di consumo necessari alla realizzazione delle attività previste.

[30] Art.10 d) la disponibilità a titolo gratuito di beni strumentali e materiali di consumo necessari alla realizzazione delle attività previste.

Art.10 6. Qualora il patto di collaborazione abbia ad oggetto azioni e interventi di cura, di gestione condivisa o di rigenerazione di beni comuni che il Comune ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi sono in grado di mobilitare appaiano adeguate, il patto di collaborazione può prevedere l’affiancamento di dipendenti comunali ai cittadini attivi

[31] Articolo 10 6. Qualora il patto di collaborazione abbia ad oggetto azioni e interventi di cura, di gestione condivisa o di rigenerazione di beni comuni che il Comune ritenga di particolare interesse pubblico e le risorse che i cittadini attivi sono in grado di mobilitare appaiano adeguate, il patto di collaborazione può prevedere

[32] Articolo 11 – Esenzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali

  1. Il Comune può disporre esenzioni di specifici tributi per attività poste in essere nell’ambito dei patti di collaborazione.
  2. Le attività svolte nell’ambito dei patti di collaborazione che richiedono l’occupazione di suolo pubblico sono escluse dall’applicazione del canone del Regolamento C.O.S.A.P. (Canone Occupazione Spazi e Aree Pubbliche), in quanto attività assimilabili a quelle svolte dal Comune per attività di pubblico interesse.
  3. Non costituiscono esercizio di attività commerciale, agli effetti delle esenzioni ed agevolazioni previste dal Regolamento C.O.S.A.P. e per l’applicazione del relativo canone, le raccolte pubbliche di fondi svolte per la realizzazione dei patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento, qualora ricorrano tutte le seguenti condizioni:
  4. a) si tratti di iniziative occasionali;

b)la raccolta avvenga in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;

  1. c) i beni ceduti per la raccolta siano di modico valore.
  2. Il Comune, nell’esercizio della potestà regolamentare prevista dall’articolo 52 del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, potrà disporre ulteriori esenzioni ed agevolazioni, in materia di entrate e tributi, a favore delle formazioni sociali che svolgono attività nell’ambito dei patti di collaborazione di cui all’articolo 5 del presente regolamento.

[33] Articolo 15 – Autofinanziamento

  1. Il Comune agevola le iniziative dei cittadini volte a reperire fondi per le azioni di cura, gestione condivisa o rigenerazione dei beni comuni a condizione che sia garantita la massima trasparenza sulla destinazione delle risorse raccolte e sul loro puntuale utilizzo.
  2. Nel rispetto di quanto previsto al precedente comma 1, il patto di collaborazione può prevedere la realizzazione di attività economiche, di carattere temporaneo, comunque accessorie nell’ambito del programma di azioni e interventi previsti dal patto, finalizzate all’autofinanziamento

 

[34] nell’avviso era specificato: gli immobili versano in situazione di grave degrado e richiedono interventi di restauro e manutenzione straordinaria che l’Amministrazione non è in grado di attuare” > vai al post con le informazioni http://www.carteinregola.it/index.php/il-municipio-ii-lancia-una-manifestazione-di-interesse-per-forte-antenne-e-villa-leopardi/

[35] Articolo 21 – Clausole interpretative

  1. Allo scopo di agevolare la collaborazione tra Amministrazione e cittadini, le disposizioni del presente regolamento devono essere interpretate ed applicate nel senso più favorevole alla possibilità per i cittadini di concorrere alla cura, alla gestione condivisa ed alla rigenerazione dei beni comuni urbani.
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