DDL Paesaggio, l’audizione di Tomaso Montanari in Commissione
Autore : Redazione
Si è svolta l’8 aprile l’audizione di Tomaso Montanari, storico dell’arte e saggista italiano, rettore dell’Università per stranieri di Siena, presso le Commissioni 7ª (Cultura, istruzione) e 8ª (Ambiente, lavori pubblici) del Senato riguardante il DISEGNO DI LEGGE n. N. 1372 Delega al Governo per la revisione del codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di procedure di autorizzazione paesaggistica d’iniziativa dei senatori della Lega. (> vai a Tutela del Paesaggio – proposte di legge 2022- 2025 cronologia e materiali ) Vai alla registrazione dell‘Audizione
Il ddl 1372 appare incompatibile con il quadro costituzionale di tutela del paesaggio e dell’ambiente della nazione.
Un primo profilo critico riguarda l’introduzione dell’istituto del cosiddetto silenzio-assenso anche in materia di patrimonio culturale, laddove i proprietari, possessori o detentori di beni immobili inseriti a qualsiasi titolo in aree paesaggistiche vogliano effettuare interventi sui suddetti beni o introdurvi modificazioni che possono recare pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.
Nell’introduzione che precede l’articolato, si afferma che la legge rappresenterebbe «un passo importante verso una gestione più efficiente e moderna delle autorizzazioni paesaggistiche. La tutela del patrimonio culturale e ambientale deve rimanere un obiettivo primario, ma è necessario bilanciarla con l’esigenza di non paralizzare l’attività edilizia e urbanistica con procedure eccessivamente lente e complesse».
Ebbene, se questa affermazione è sincera bisogna concludere che il silenzio-assenso non è utile allo scopo, perché sbilancerebbe inevitabilmente la decisione a favore dell’attività edilizia, negando la tutela di quel paesaggio che è un bene identitario della nazione italiana.
Come ha ben spiegato il giurista Silvio Martuccelli: «la massima secondo la quale “chi tace acconsente” non trova cittadinanza nel sistema giuridico italiano. Nel mondo del diritto non vi sono fatti che di per sé abbiano la caratteristica della giuridicità. Un fatto non è giuridico per sua natura, ma in quanto un legislatore decida di regolarlo. Il silenzio è, dunque, di per sé preso, neutro, adiaforo, indifferente, non significa nulla. Esso non ha alcun significato giuridico. È la legge che dà al silenzio, come fatto, uno specifico significato. È il legislatore che di volta in volta sceglie se e quale significato attribuire al silenzio; e, nel caso di silenzio cosiddetto “significativo”, può scegliere tra significati tra loro diversi, anzi diametralmente opposti: tra un significato positivo (c.d. silenzio-assenso) e un significato negativo (c.d. silenzio-diniego o rigetto). Ma la scelta fra differenti, anzi opposte, formulazioni della norma è legata a una differente valutazione degli interessi in conflitto: la norma risolve un conflitto di interessi, ritenendo in astratto, tra gli interessi in conflitto, uno più meritevole di tutela dell’altro. È chiaro dunque che nel primo caso (quello del silenzio-assenso) il legislatore, dinanzi al silenzio della pubblica amministrazione, ritiene più meritevole di tutela l’interesse ad una risposta positiva, mentre nel secondo caso (quello del silenzio-rigetto) ritiene più importanti le ragioni del diniego (id est, l’interesse a conservare il bene culturale)».
Dunque è evidente che se davvero lo scopo è anche tutelare il patrimonio della nazione, il silenzio assenso va rigettato. Infatti, la Corte Costituzionale, tornando ripetutamente sul tema in almeno cinque sentenze: in materia di beni culturali e di paesaggio «il silenzio dell’Amministrazione preposta non può avere valore di assenso» (sentenze nrr. 26/1996 e 404 del 1997, poi ulteriormente richiamate e ribadite).
Ricordo che nell’ottobre 2003 in fase di redazione del Codice dei Beni Culturali, il ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani, governo Berlusconi, giudicò l’idea di introdurre il silenzio-assenso «controproducente e goffa, un autentico autogoal per la maggioranza», e riuscì a farla cadere.
Non è dunque un problema di destra o sinistra, ma di tutela dell’interesse generale.
Un altro dei vari profili problematici riguarda la modifica dell’articolo 152 del Codice dei Beni culturali, che prevede che «nel caso di aperture di strade e di cave, di posa di condotte per impianti industriali e civili e di palificazioni nell’ambito e in vista» di «cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali», «complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici» o di «bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze», la soprintendenza debba esprimere un parere vincolante. Cioè se voglio piazzare una pala eolica accanto a una cattedrale (non è un exemplum fictum) oggi devo passare per il parere di chi tutela i beni di tutti noi. Ma se passa questa legge così com’è, il parere sarà sì obbligatorio, ma non più vincolante: ergo i privati tireranno diritto, in un nuovo sacco d’Italia.
Permettetemi di chiudere con una citazione: «un soprintendente è tenuto a compiere sopralluoghi, controllare perizie, dirigere i lavori, pubblicare studi, redigere piani paesistici, ma soprattutto a resistere ai privati che vorrebbero distruggere tutto per rifarlo in vetrocemento, quasi sempre con l’assenso e l’appoggio delle autorità». Resistere
ai privati: sono parole non di un pericoloso comunista, o di un ambientalista hippy, ma di un intellettuale di destra: Indro Montanelli.
Montanelli sarebbe oggi inorridito da questa legge: perché mette l’interesse di pochi privati davanti all’interesse della nazione, e delle generazioni future. Spero che possiate modificarla sostanzialmente.
12 aprile 2025
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
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