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Le tappe di un migrante richiedente asilo in Italia

A cura di Marina Pescarmona

www.lenius.it migranti

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(da https://www.ilpost.it/2016/05/29/sistema-accoglienza-migranti-italia/)

 

Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia è diviso tra strutture di prima e di seconda accoglienza. La prima accoglienza è gestita dalle prefetture locali che rispondono al ministero dell’Interno, e ne fanno parte gli hotspot e gli hub. La seconda accoglienza è formata dagli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).

Prima accoglienza
Sulla carta i migranti che arrivano “via costa” devono passare per un hotspot. All’interno dell’hotspot ogni persona viene identificata e foto segnalata. In teoria – molto in teoria – i migranti soccorsi in mare che fanno richiesta di protezione internazionale all’interno degli hotspot vengono ricollocati negli hub regionali: si parla sia di quelli che rientrano nel cosiddetto programma di relocation (siriani, iracheni, eritrei, che dovrebbero andare nei paesi dell’UE secondo una serie di quote) sia di tutti gli altri. Quelli che invece non vogliono fare richiesta di asilo dovrebbero finire nei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) e ricevere un decreto di respingimento.

Secondo la road map del ministero, entro la fine del 2016 gli hub regionali dovrebbero arrivare a mettere a disposizione 15.550 posti rispetto ai 12mila del 2015. Qui i richiedenti asilo dovrebbero rimanere tra i 7 e i 30 giorni. Al termine di questo periodo i migranti dovrebbero essere inseriti negli SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che sono invece strutture di seconda accoglienza.

Hot Spot e Centri di Prima accoglienza: https://www.lenius.it/sistema-di-accoglienza-dei-migranti-in-italia/

Seconda accoglienza
La seconda categoria viene gestita dalle associazioni che presentano dei progetti in collaborazione con i comuni nei quali verrà istituita la loro struttura. Qui entrano solo i richiedenti protezione internazionale, in attesa che la commissione territoriale competente – composta da quattro membri, di cui due del ministero degli Interni – valuti la loro domanda e decida se accettarla o meno. Nel 2015 i posti garantiti negli SPRAR erano 22mila, nel 2017 il ministero dell’Interno vorrebbe arrivare a 40mila. Gli SPRAR, a differenza degli hub regionali, dovrebbero garantire percorsi individuali di integrazione: corsi di italiano e altri progetti che favoriscano una qualche formazione professionale. Secondo la road map del ministero dell’Interno, la commissione territoriale dovrebbe decidere la sorte dei richiedenti asilo entro 180 giorni dalla loro richiesta (di solito le associazioni si fanno carico dei ricorsi, in caso di diniego). In realtà i tempi sono molto più lunghi e ci sono richiedenti protezione internazionale che attendono oltre un anno prima di ricevere la risposta dalla Commissione territoriale competente.

Come funziona lo SPRAR: http://www.secondowelfare.it/primo-welfare/inclusione-sociale/il-sistema-di-protezione-per-richiedenti-asilo-e-rifugiati-in-italia.html

https://www.lenius.it/sistema-di-accoglienza-dei-migranti-in-italia/

I problemi
Anche a causa dell’intensificazione dei flussi migratori del 2015, l’intero sistema è ingolfato. Gli SPRAR sono pieni e i richiedenti protezione internazionali rimangono nel sistema di seconda accoglienza per più tempo del previsto, proprio a causa delle lentezze delle commissioni territoriali (che sono aumentate di numero, comunque). A questo si aggiungono le resistenze dei comuni a partecipare a progetti che potrebbero portare all’apertura di nuovi SPRAR, visto il costo politico che una decisione di questo tipo potrebbe comportare. Per questo sono stati aperti i CAS (centri di accoglienza straordinaria), che sono una specie di replica degli hub ma che di fatto ospitano richiedenti protezione internazionale che avrebbero diritto ad accedere al circuito degli SPRAR. Anche i CAS sono gestiti dalle associazioni e cooperative che rispondono a un bando del ministero dell’Interno.

I CAS (Centri accoglienza Straordinaria)

http://www.yanezmagazine.com/cas-rifugiati-italia/

Con la circolare del gennaio 2014 il Ministero dell’Interno, per far fronte al continuo “afflusso di cittadini stranieri a seguito di ulteriori sbarchi sulle coste italiane” e presa in esame “l’avvenuta saturazione di tutti i centri governativi e di quelli garantiti da alcuni enti locali nell’ambito del sistema SPRAR”, incaricava tutte le prefetture di attivare Centri di Accoglienza Straordinari (CAS), una misura messa in atto per soddisfare il numero eccezionale di arrivi, coinvolgendo l’intero territorio nazionale. I CAS a fine 2016 offrivano il 78% dei posti disponibili in Italia e accolgono ancora oggi gran parte dei richiedenti asilo in attesa di una risposta dalle Commissioni Territoriali e dai Tribunali. La parte restante è suddivisa tra SPRAR, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, al 13%, e Centri di prima accoglienza, al 9%, secondo quanto emerge dai dati forniti dal Ministero dell’Interno.

Ogni CAS è diverso e tutto cambia, per il richiedente asilo, in relazione all’associazione, alla cooperativa, all’ONG, alla struttura alberghiera, all’ente, che si aggiudica il bando della Prefettura per la gestione del Centro. Cambia, ad esempio, la tipologia di abitazione, che varia da appartamenti in città per 6/8 persone, a case lontane dai centri abitati per 30/35 migranti, fino anche alle sistemazioni con 150/200 persone. Allo stesso modo, sono differenti la qualità e la costanza delle lezioni di italiano, dell’offerta di assistenza psicologica, delle attività di volontariato e sociali, di formazione e lavorative, dell’assistenza legale e quindi le possibilità di ottenere l’asilo stesso.

Problemi dei CAS

https://www.lenius.it/sistema-di-accoglienza-dei-migranti-in-italia/

Pur avendo quindi nella pratica una funzione praticamente identica allo SPRAR, i CAS sono concepiti e gestiti in modo molto diverso, come se fossero strutture temporanee dove parcheggiare i beneficiari in attesa che facciano il loro ingresso nel bel mondo dello SPRAR. Nei fatti però non lo sono, perché i beneficiari restano spesso nei CAS per tutta la durata della loro pratica di asilo. Questo disallineamento tra teoria e pratica conduce a situazioni problematiche.

I posti vengono assegnati per rispondere a emergenze, la prefettura ha bisogno di strutture in tempi brevi, il che la costringe ad accettare anche soluzioni non ottimali. Trovato però puntualizza: “è vero che arrivano flussi importanti che mettono sotto pressione le prefetture, ma è anche vero che questi flussi erano previsti. Se negli anni precedenti si poteva essere un po’ sorpresi, per il 2017 si potevano pianificare meglio le cose, perché già dal 2016 si prevedeva un flusso di circa 200 mila migranti, invece si continua a lavorare sull’emergenza continua”.

Mancano inoltre linee guida certe e concordate come accade nei progetti dello SPRAR, quindi la qualità dell’accoglienza è molto più disomogenea e lasciata, in ultima analisi, alla responsabilità degli enti gestori. Ci sono enti gestori che svolgono molto seriamente il loro lavoro, garantendo tutti i servizi come se fossero in regime di SPRAR anche a costo di investire risorse proprie, e ce ne sono altri che ne approfittano per allentare la morsa, fornire meno servizi, assumere meno operatori, insomma abbattere i costi per avere margini di guadagno sui 35 euro giornalieri. Ci sono, infine, enti gestori che operano palesemente in malafede, ospitando i migranti in sistemazioni indegne senza assistenza alcuna e lucrando svergognatamente sui servizi che non offrono né ai migranti né al territorio.

Altro problema è che con i CAS viene meno il patto di fiducia tra Ministero e territori, perché la ripartizione è gestita direttamente dal Ministero, tramite le Prefetture, senza coordinarsi con l’ANCI e spesso senza nemmeno avvisare i comuni che gruppi di richiedenti asilo saranno distribuiti sul proprio territorio.

C’è da dire che questa modalità, che tanto suscita le proteste dei comuni e di alcuni cittadini, deriva anche dalla riluttanza di molti comuni ad aderire alla rete SPRAR, situazione che ha di fatto costretto il Ministero ad operare in modo coercitivo senza prendere accordi con enti che probabilmente avrebbero ostacolato l’apertura del CAS sul proprio territorio. È questa la ragione alla base delle polemiche che sono arrivate alla cronaca nazionale in tempi recenti, come ad esempio quella sorta nella zona dei Nebrodi, in provincia di Messina.

 (ultimo aggiornamento 25 giugno 2018)