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A proposito degli affitti brevi

foto ambm (murale del Trullo)

di Giancarlo Storto

Sono  finalmente al centro del dibattito pubblico il problema abitativo e le profonde disuguaglianze che si consumano per le conseguenze del libero mercato della casa, a partire dalle  giuste richieste degli studenti universitari, che riguardano un paradosso di tante città, soprattutto della Capitale: una perenne emergenza abitativa in presenza di un sovrabbondante stock edilizio potenzialmente in grado di soddisfare la domanda, che però viene messo a reddito per turismo o riservato alle fasce più benestanti della popolazione.

Alessandro De Nicola è un noto economista, ospitato come commentatore politico in programmi televisivi e collaboratore di diverse testate. Come molti economisti (consuetudine per la verità non solo degli economisti), ci intrattiene su varie questioni e di recente ha pubblicato un articolo (Repubblica del 5 maggio*) sugli affitti brevi. Quale la sua posizione? È presto detto: gli affitti brevi non vanno assolutamente regolamentati. Qualora lo fossero – è questo il suo cruccio – si otterrebbe un restringimento dell’offerta come conseguenza di decisioni politiche che, per gli affitti brevi, potrebbero considerare l’imposizione di un prezzo massimo tipo equo canone (ma cita persino l’Edictum de pretiis di Diocleziano del 301 d.C. che poneva limiti sui prezzi per tutti i prodotti commerciabili nell’Impero) o l’individuazione di criteri per razionalizzare il mercato. In questi casi – avverte De Nicola – “i produttori non riterranno più conveniente venderli o affittarli e nel contempo fiorirà il mercato nero a prezzi più alti” e, presagendo scenari apodittici, sarà inevitabile “l’incuria degli immobili sfitti”.

Un punto di vista ma anche un’opinione diffusa, fatta propria e sottoscritta dai fautori del libero mercato che considerano la casa al pari di altre merci di consumo. Una replica è quindi dovuta, in giornate in cui, sulla spinta delle sacrosante rivendicazioni degli studenti universitari per canoni accessibili in relazione alla loro permanenza nelle città sedi universitarie, sembra esserci un sussulto di interesse sul problema abitativo.

Gli alloggi trasformati in B&B o in case vacanze non sono un fattore distorsivo marginale, soprattutto nelle città a forte vocazione turistica. A Roma alla piattaforma Airbnb afferiscono (dati non aggiornati) più di 30mila postazioni per oltre 10mila abitazioni, concentrate per la gran parte nel centro storico o nelle immediate vicinanze, con un tasso costante di crescita valutato all’8 per cento. Le conseguenze sul mercato immobiliare sono tangibili: perdita di residenzialità in particolare nelle aree centrali, incremento dei canoni imposti alle locazioni ordinarie per la restrizione dell’offerta, desertificazione delle relazioni di vicinato e decisa prevalenza della ristorazione nei servizi offerti dove la loro presenza ha maggiore densità. Quest’ultimo aspetto non va sottovalutato: i centri storici sono oggi terreno privilegiato dell’investimento immobiliare il cui obiettivo (dove le compiacenti norme dei piani urbanistici lo consentono) è di rinnovare l’edilizia abitativa esistente per residenze prestigiose e di incrementare gli spazi commerciali in funzione del turismo: un’aggressione sui caratteri urbanistici che con la diffusione dei B&B si viene ad aggiungere ai mutamento del tessuto sociale. Da qui le richieste dei sindaci al governo per una regolamentazione del settore, già vigente in altre città europee, con l’obiettivo di assegnare ai gestori un numero massimo di giorni su base annua o di prevedere una percentuale rapportata all’offerta tradizionale di stanze o alloggi come limite da non superare.

Ma la problematica degli affitti brevi spinge a considerazioni più generali riguardo le politiche abitative. La cultura degli economisti liberali, che demonizzano l’introduzione di qualsivoglia controllo pubblico sul mercato edilizio, ha portato al paradosso di una conclamata emergenza abitativa, costantemente presente non da ora, pur in presenza di un sovrabbondante stock edilizio potenzialmente in grado di soddisfare la domanda. È questo il risultato dei sostenitori della teoria quantitativa, da sempre dominante nel nostro Paese, in base alla quale, favorendo la costruzione (o il recupero) di nuovi alloggi, il mercato sarebbe in grado, per aggiustamenti virtuosi, di soddisfare la domanda nelle sue articolazioni. I dati reali dimostrano quanto poco efficace sia tale teoria che, all’atto pratico, ha finito soltanto per incrementare lo spreco edilizio. Per ridurre l’emergenza esiste solo una soluzione possibile: assumere la questione abitativa come componente privilegiata nella redazione degli strumenti urbanistici. In quella sede, sarà compito del piano, tramite un sistema di agevolazioni o di disincentivi, indirizzare le costruzioni residenziali in modo che non siano realizzate per soddisfare una richiesta generica, ma per favorire l’accesso al bene casa ai  diversi segmenti che compongono la domanda.

Un cambiamento quindi di visione: alle condizioni attuali l’offerta è indifferenziata rispetto all’utenza potenziale e la produzione edilizia spunta prezzi di vendita e canoni di locazione diversificati solo in base all’incidenza della rendita differenziale e della rendita edilizia, rispettivamente acquisita dall’operatore per la posizione dell’area nel contesto urbano e per la tipologia e i requisiti della costruzione.

Giancarlo Storto, vice presidente di Carteinregola

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

19 maggio 2023

(*) La Repubblica 5 maggio 2023 Affitti brevi, un editto miope di Alessandro De Nicola La ministra al Turismo Santanchè annuncia una riforma del settore dopo l’incontro con dodici sindaci. La visione governativa dell’economia può essere riassunta così: se qualcosa si muove, tassala; se continua a muoversi, regolala; e se si ferma, sussidiala”. Questa battuta è una tra le più celebri di Ronald Reagan e il nostro governo, autoconvintosi di essere l’erede del conservatorismo anglo-americano, si sta dando da fare per applicare alla lettera l’analisi di Ronnie. Evidentemente sfugge loro che si trattava di una facezia, ma tant’è. (> l’articolo è disponibile solo per abbonati)

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