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Il Concordato preventivo e il caso ATAC

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A cura di Guido M. Marinelli

Il concordato preventivo è uno strumento che la legge mette a disposizione dell’imprenditore, in crisi o in stato di insolvenza, per evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale dei creditori.

Lo scopo del concordato preventivo non è solo quello di tutelare l’impresa in difficoltà, ma anche i creditori. Infatti, se da un lato il debitore con l’accesso alla procedura può paralizzare ogni possibile azione esecutiva nei suoi confronti e mantenere l’amministrazione dell’impresa, sia pure con determinati limiti, i creditori, dal canto loro, possono evitate l’attesa dei tempi lunghi necessari per portare avanti la più complessa procedura fallimentare e conseguire, così, in tempi relativamente brevi il soddisfacimento quantomeno parziale del proprio credito.

Il concordato con “continuità aziendale” (caso ATAC) non è uno strumento essenzialmente liquidatorio dell’attività (come sarebbe un concordato senza continuità) in quanto prevede modalità di risanamento. In questo caso i creditori sono soddisfatti non attraverso i proventi della vendita dei cespiti aziendali, bensì attraverso i movimenti finanziari derivanti dalla continuità aziendale.

Il concordato con continuità aziendale è definito come la procedura che preveda la ” prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento della stessa in una o più società, anche se di nuova costituzione.

L’art. 186 bis della Legge Fallimentare impone che il piano  di rientro (piano concordatario) e la relazione attestatrice abbiano dei requisiti ulteriori rispetto alle altre ipotesi. In particolare il piano non può prescindere dalla verifica del risanamento dell’impresa sia in termini di ripristino di una situazione di equilibrio finanziario che di esclusione che si prospetti una nuova situazione di insolvenza.

Il piano deve essere approvato dalla maggioranza dei creditori.

Il piano può prevedere la liquidazione di asset (proprietà) non funzionali alla prosecuzione dell’attività.

L’ammissione al concordato può essere revocata qualora mutino le condizioni di fattibilità del piano, in modo tale da risultare l’esercizio dell’attività “manifestamente dannoso per i creditori”.

 I creditori:

I creditori si suddividono in:

  • Creditori privilegiati
  • Creditori chirografari
  • Creditori postergati: la postergazione prevede che il creditore viene soddisfatto successivamente ad altri creditori (art. 2467 c.c.)[1]

I soci di una società a responsabilità limitata sono postergati (posticipati; detto di operazione registrata con valuta posteriore a quella relativa alla data in cui l’operazione è stata effettuata) .rispetto agli altri creditori sociali per le pretese vantate nei confronti della società sulla base di finanziamenti in qualsiasi forma effettuati,

cioè in forma di prestiti (con pretesa al rimborso) o di fideiussione (con pretesa al regresso), in tutti i casi in cui il finanziamento abbia causato un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure sia stato effettuato in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato più ragionevole un conferimento.

Per ”finanziamento” si intende qualsiasi operazione volta a trasferire alla società una somma di danaro, ovvero concedergliene la disponibilità, con obbligo di rimborso. Oltre ai contratti tipicamente creditizi (mutuo, apertura di credito, anticipazione bancaria, sconto, ecc.), devono

dunque essere inclusi nell’area di applicazione della disciplina anche operazioni che, a prescindere dalla forma tecnica con la quale è stato concesso il credito.

Il caso del Concordato preventivo e i creditori postergati (come è il Comune rispetto ad ATAC)

Bisogna premettere che, in materia, vi sono ancora molti orientamenti contrastanti per quanto concerne gli effetti che la disciplina sul finanziamento dei soci produce sulla procedura in esame.

La prima questione da analizzare, che ha peraltro portata assorbente rispetto alle altre, riguarda la possibilità di creare una classe composta da soci finanziatori; solo dando una risposta positiva a tale quesito ha senso procedere nell’analisi, chiedendosi se tale classe possa essere in qualche modo

soddisfatta a scapito delle altre e se i suoi appartenenti abbiano il diritto di votare per l’approvazione del piano.

La questione da affrontare, come già accennato, riguarda se è possibile considerare i soci finanziatori postergati destinatari della proposta concordataria, così da analizzare poi quale possa essere il loro ruolo e, eventualmente, in che misura possano essere soddisfatti.

È evidente che, in base a quanto disposto dalle norme codicistiche introdotte nel 2003, in caso di assenza di classi, i soci finanziatori possono essere pagati solo dopo il soddisfacimento integrale dei creditori antergati; il problema è dunque capire come questi possano essere trattati in presenza di una soluzione concordata della crisi, quale il concordato preventivo, che preveda invece la suddivisione in classi.

I creditori postergati ex lege, ammesso che possano essere destinatari della proposta concordataria, non possono assolutamente essere inseriti in una classe che contenga anche dei creditori chirografari o privilegiati [2]. La Corte di cassazione ha infatti avuto modo di specificare che “deve escludersi che i soci finanziatori possano essere inseriti nel piano di cui facciano parte anche altri creditori chirografari non solo per la loro diversa posizione nei confronti della società rispetto ai terzi ma soprattutto per la previsione di cui all’art. 2467 c.c., comma 1.

Ad esempio anche il tribunale di Bologna, ha fissato, proprio nel contesto di un concordato preventivo, il seguente ordine:

  1. a) crediti privilegiati,
  2. b) crediti chirografari del ceto bancario,
  3. c) crediti chirografari per titoli diversi dalla categoria precedente,
  4. d) crediti chirografari dei soci per finanziamenti alla società[3].

La Corte di Cassazione ha spiegato che tale preclusione deriva dal fatto che: “la libertà lasciata al debitore nella suddivisione dei creditori in classi nell’ambito della formazione del piano per l’ammissione al concordato preventivo prevista dalla Legge Fall., art. 160 (…) trova un primo limite nella stessa Legge Fall., art. 160, comma 1, lett. c), la quale prevede la necessità che detta suddivisione avvenga secondo posizioni giuridiche e interessi economici omogenei”. Dopo aver chiarito che il tema della “natura dei crediti” non rileva nell’ambito della distinzione fra crediti chirografari e legalmente postergati, la Suprema Corte spiega che un ruolo centrale è invece svolto dall’omogeneità degli interessi economici perché, “in tale contesto normativo non è consentito ritenere che siano portatori di “interessi economici omogenei” i soci finanziatori (NDR: Comune di Roma nel caso ATAC) ed i terzi creditori e non può considerarsi quindi rispondente alla previsione di legge il loro inserimento nel piano[4].

Il caso ATAC

Pare quindi evidente che il credito vantato dal Comune di Roma (socio unico) nei confronti di ATAC per il mutuo di 429 milioni di euro concesso a ottobre 2016 dal Comune ad ATAC e che la stessa dovrebbe restituire in 240 rate mensili a partire dal 1 gennaio 2019, rientri nella disciplina sopra ricordata e sia da considerare quindi “postergato”. Il che vuol dire che sarà possibile la sua eventuale restituzione solo dopo che siano soddisfatti i creditori inquadrati nella diverse classi omogenee definite nel piano del concordato preventivo (si veda l’esempio delle classi previste dal tribunale di Bologna riportato nel paragrafo precedente). Senza contare che la cifra potrebbe aumentare considerando le garanzie prestate dal Comune in favore di ATAC in merito ai finanziamenti concessi dalle banche.

Non a caso nel piano concordatario di ATAC è prevista la “postergazione per l’importo di euro 484.748.000,00: tale previsione comporta la conseguente eliminazione di residui attivi”  (si veda la Deliberazione dell’ Assemblea Capitolina, del 23 gennaio 2018)[5]. In concreto, fatta salva la previsione di poter re-inserire tale importo tra gli attivi nel 2056, si tratta di un passivo da portare a bilancio del Comune di quasi 500 milioni di euro. Ciò vuol dire che il Comune di Roma sarà costretto a iscrivere a bilancio l’importo di tali crediti “perduti” (quasi 500 milioni come visto) come perdita. E il ripianamento della perdita può avvenire in 2 modi: o con un conferimento di risorse da parte di un ente superiore (Stato, Regione) come peraltro richiesto dalla sindaca Raggi al Ministro Del Rio, oppure prevedendo che siano i cittadini a pagare. Come già fatto dal nuovo assessore al Bilancio Lemmetti a Livorno per l’ Aamps, la società dei rifiuti di proprietà del Comune di Livorno per cui è stato avviato il Concordato preventivo (come per ATAC a Roma).

A Livorno sono state aumentate molte tasse. La tassa sui rifiuti, la Tari, ad esempio nel 2015 è aumentata mediamente del 14% facendo di Livorno la città della Toscana con il maggiore aumento della tassa (la sesta su base nazionale). Certo, non si è trattato del primo aumento della Tari a carico dei livornesi, ma probabilmente non era questo il genere di cambiamento a cui pensavano gli elettori che hanno dato la vittoria al M5S. Per far quadrare i conti il Comune di Livorno ha poi deciso di portare l’addizionale IRPEF allo 0,8% per tutti gli scaglioni di reddito (ovvero per chi guadagna meno di 15.000 euro a chi ne guadagna più di 75.000) e c’era anche l’intenzione di portare la TASI al 3,5 per mille (che avrebbe comportato nel 2015 un gettito pari a 6,7 milioni di euro) ma a bloccare questo proposito intervenne il tetto al 2,5 per mille stabilito dal governo.

Ciò nonostante lo stato del Concordato a oggi non appare rassicurante nemmeno per le altre tipologie di creditori. Il tribunale fallimentare, con decreto del 20 marzo 2018, ha fortemente criticato il piano presentato dall’ATAC ritenendolo assolutamente inadeguato e dando tempo fino al 30 maggio per presentare un nuovo piano. In particolare le critiche del tribunale si sono concentrate sui seguenti aspetti:

  • il fatto che una parte del credito chirografario, il 39%, sarebbe riconosciuto ai creditori “di pari passo con il credito del Comune” consentendo che “il postergato (NDR: il credito del Comune di Roma) venga rimborsato insieme al credito chirografario, e non dopo di esso”. Il tribunale ritiene che tale aspetto sia “strumento elusivo delle norme in tema di trattamento dei crediti postergati”. In sostanza il Comune, che in qualità di socio dovrebbe essere l’ultimo a vedere riconosciuti i suoi crediti (NDR: i quasi 500 milioni di euro sopra citati), avrebbe un indebito vantaggio  rispetto agli altri creditori mettendosi allo stesso loro livello e non dopo.
  • il piano concordatario “per alcuni aspetti è delineato solo nei contorni senza alcun concreto riferimento alle effettive modalità del suo compimento”
  • non è chiaro come la società possa far fronte, con proprie risorse, al pagamento di 89 milioni per il parziale rinnovamento del parco mezzi nel 2020
  • non è in alcun modo esplicitato quale e in cosa dovrebbe consistere il “nuovo modello manutentivo”
  • non appare ragionevole ritenere che la semplificazione dell’acquisto dei biglietti comporti di per sé un aumento delle vendite
  • l’incremento dei ricavi pubblicitari non è supportato da alcun elemento concreto che possa avvalorarne l’effettivo realizzo
  • le Perizie degli immobili non strumentali che potrebbero essere venduti sono insufficienti

In buona sostanza i giudici del Tribunale fallimentare Antonino La Malfa, Lucia Odello e Luigi Argan prescrivono ad ATAC una serie di correzioni per poter essere ammessa al concordato, sottolineando che, così com’è, il piano presenta «profili di inammissibilità».  Correzioni, non affatto banali, da presentare entro il 30 maggio 2018.

Da aggiungere la previsione di pagamento, da parte di ATAC, dei professionisti e consulenti nella procedura per un importo di circa 13 milioni.

A questo scenario già preoccupante si è recentemente aggiunta a notizia riportata dal quotidiano Repubblica relativa alla possibilità di perdere 348 milioni di euro di crediti verso Cotral ora riportati a bilancio ATAC[6].  La notizia si basa sulla sentenza emessa il 3 maggio 2018 dal tribunale ordinario di Roma-seconda sezione civile. Se questa notizia fosse confermata il debito complessivo di ATAC  salirebbe di circa altri 350 milioni arrivando a toccare quota 1700 milioni. E rendendo chiaramente ancora più difficile definire un piano concordatario credibile e fattibile.

È da ricordare che anche in un concordato in continuità, come quello richiesto da ATAC, è possibile la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento della stessa in una o più società, anche se di nuova costituzione e che potrebbe altresì diventare necessario iniziare una fase liquidatoria. Sussiste quindi il rischio che l’azienda con tutti i suoi asset, attivi e passivi, passi nelle mani di un acquirente, anche privato.

Considerando l’aspetto sopra richiamato e ricordando che il referendum sulla “privatizzazione” dell’ATAC è puramente consultivo appare evidente che qualsiasi risultato il referendum abbia si deve considerare come una mera espressione di un desiderio da parte dei cittadini, desiderio che la classe politica e amministrativa dovranno poi cercare, se lo vorranno, di trasformare in realtà. Non è quindi assolutamente certo, e forse nemmeno probabile, che il destino finale dell’ATAC rispecchi la volontà espressa dai cittadini romani nel referendum che si dovrebbe tenere nell’autunno 2018.

Crediamo che questa vicenda sia un caso esemplare che dimostri come i cittadini dovranno esercitare tutte le possibilità di controllo, anche e soprattutto dopo il referendum, in tutte le diverse fasi del processo, che sarà alquanto lungo.

Roma, 9 maggio 2018

Note

[1] L’art. 2467 c.c., come novellato dalla riforma del diritto societario,1 detta una disciplina speciale

per i finanziamenti effettuati dai soci di società a responsabilità limitata a favore della società

quando, «anche in considerazione del tipo di attività esercitata, risulta un eccessivo squilibrio

dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto» o «una situazione finanziaria della società nella

quale sarebbe stato ragionevole un conferimento».

La norma stabilisce che, al ricorrere delle predette situazioni di squilibrio economico-finanziario

dell’impresa, il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla

soddisfazione degli altri creditori sociali e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di

fallimento della società, deve essere restituito

[2]  Cass. civ., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706, in Fall., 2009

[3]  Trib. Bologna, 26 gennaio 2006 (decr.), in Fall., 2006, pagg. 676 ss.

[4] Cass. Civ., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706, in Fall., 2009, II, pag. 792

[5] Determinazioni di Roma Capitale in merito agli argomenti iscritti all’Ordine del Giorno dell’Assemblea Ordinaria e Straordinaria dei Soci di ATAC S.p.A. Approvazione Regolamento Strumenti finanziari partecipativi di ATAC S.p.A. – Deliberazione dell’ Assemblea Capitolina, del 23 gennaio 2018. (https://www.comune.roma.it/DeliberazioniAttiWeb/filtroDati.do)

[6] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/05/06/atac-batosta-da-350-milioni-crediti-da-cotral-inesistentiRoma02.html

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