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Riparteilfuturo sull’agente provocatore anticorruzione nel patto di governo Lega/Cinquestelle

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Pubblichiamo il  contributo di Riparetilfuturo per il dibattito  su uno dei punti del contratto di Governo Lega/M5S che riguarda l’impiego di una  “figura dell’’agente sotto copertura’ e, in presenza di elementi fondati, dell’’agente provocatore’, per favorire l’emersione dei fenomeni corruttivi nella Pubblica amministrazione”

Offrire una finta tangente può essere un buon metodo per smascherare i disonesti?

L’agente provocatore è uno strumento pericoloso e antidemocratico secondo Raffaele Cantone. Ma c’è chi la pensa diversamente

Foto dell’autore Andrea Spinelli Barrile

Lettura 7 min 

Di recente il presidente dell’Autorità Nazionale anticorruzione (Anac) Raffele Cantone è tornato ancora una volta sul tema dell’agente provocatore, commentando il Contratto di governo Lega-M5s che lo cita nella parte dedicata alla lotta alla corruzione. Il documento, firmato dai rappresentanti dei due partiti e su cui si sarebbe dovuta basare l’azione del prossimo esecutivo (ma gli eventi delle ultime ore hanno rimesso tutto in discussione), cita l’intenzione di introdurre nell’ordinamento la “figura dell’’agente sotto copertura’ e, in presenza di elementi fondati, dell’’agente provocatore’, per favorire l’emersione dei fenomeni corruttivi nella Pubblica amministrazione”. In pratica si parla di una persona impiegata dalla polizia o altro soggetto incaricato di tentare o provocare qualcuno a commettere atti illegali, agendo sotto copertura.

Cantone ha spiegato che “se la figura dell’agente provocatore venisse inserita dal nuovo governo, la Corte Europea la boccerebbe subito” perché pericolosa per la nostra democrazia. Il capo dell’Anac ha commentato anche la figura dell’agente infiltrato, spiegando: “Qui, a differenza dell’agente provocatore, non si tratterebbe di creare la corruzione. […] In ogni caso anche questa figura andrebbe studiata bene e usata con parsimonia, soprattutto sotto lo stretto controllo della magistratura. […] Nel contratto M5s-Lega sono previste entrambe le figure a dimostrazione che hanno almeno chiara la differenza, cosa non scontata”. Sull’agente provocatore Cantone non si è detto contrario “ma molto di più” perché “l’agente sotto copertura si infiltra e vede, mentre il provocatore provoca. […] È un arretramento culturale, in quel caso la corruzione verrebbe stimolata e si creerebbe un reato artificiale”.

Attualmente l’agente provocatore non può essere impiegato per reati come la corruzione ma unicamente per combattere il traffico di droga, la ricettazione e il riciclaggio, lo sfruttamento della prostituzione, la pedo-pornografia, il terrorismo internazionale e il turismo sessuale. Da non confondere dunque con l’infiltrato, che opera in base a una specifica disciplina normativa e tanto meno con il whistleblower, ovvero colui che denuncia la corruzione sul proprio posto di lavoro.

La questione è complessa. Il dibattito sull’uso dell’agente provocatore, e quindi sulle tutele che andrebbero o meno previste per colui il quale tenta qualcuno cercando di indurlo a commettere un reato  (“testandone l’etica” per dirla proprio con Cantone), si è riacceso dopo la pubblicazione dell’inchiesta Bloody Money pubblicata da Fanpage, in cui l’ex-boss Nunzio Perrella ha mostrato come funziona la parte più oscura del business di rifiuti e dei migranti infiltrandosi nel giro dei faccendieri che gravitano in questi settori.

Durante il suo intervento, Cantone ha citato il caso del generale Mario Mori, ex comandante di ROS e Sisde condannato in primo grado a 12 anni il 20 aprile scorso nel processo Trattativa Stato-Mafia per concorso esterno in associazione mafiosa, non commentando la sentenza della Corte d’Assise di Palermo ma inquadrando meglio la figura di Mori nel processo: “Non provocatore perché sarebbe andato non per provocare ma per trattare, potrebbe anche essere considerato un eroe: bisogna capire cosa ha fatto, quale è stato il ruolo”. La figura di Mori, molto dibattuta tra colpevolisti e innocentisti, avrebbe fatto da raccordo tra la politica e la mafia negli anni della presunta trattativa, a margine delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

In passato l’agente provocatore è stato utilizzato abbondantemente dallo Stato: durante il terrorismo e le manifestazioni studentesche negli anni di piombo (come negli scontri di Roma in cui morì Giorgiana Masi nel 1977), durante gli anni bui della lotta alla mafia e anche, tornando indietro nel tempo, all’epoca del Codice Rocco, nel ventennio fascista, soprattutto per colpire gli antifascisti. L’agente provocatore, storicamente, nasce durante la Rivoluzione Francese ed è mutuato dall’esperienza investigativa dei paesi anglosassoni: l’FBI americana usa molto questa figura – che in parte si confonde con quella dell’agente sotto copertura – in particolare nelle indagini antiterrorismo.

Il dibattito è acceso anche dentro la magistratura: contrariamente a Cantone, Piercamillo Davigo, ex-procuratore durante Mani Pulite e oggi Presidente della II sezione Penale della Cassazione, sostiene da tempo l’importanza di ampliare la figura dell’agente provocatore ai reati di corruzione. In ambiente giurista ci sono due visioni contrapposte: da un lato c’è chi sottolinea come vada punito chi ha commesso un reato e non chi si mostri propenso a commetterlo, dall’altro chi sostiene che l’agente provocatore possa fornire elementi d’indagine nuovi agli inquirenti.

Tuttavia lo stesso Raffaele Cantone ha cambiato posizione nel corso del tempointervistato dal Corriere della Sera il 18 agosto 2014, infatti, l’ex magistrato proponeva di “ampliare gli istituti dell’agente provocatore validi per la criminalità organizzata” che in una sorta di simulata corruzione “offre […] una grossa somma di denaro per avere un significativo atto a suo favore. […] avverrebbe con le garanzie di legge e sotto il controllo dell’autorità giudiziaria”. Cantone spiega infatti che la funzione dell’agente provocatore nelle indagini sulla corruzione è sì quella di scoprire i reati ma anche quella di rendere estremamente pericolosi i meccanismi corruttivi. Il 21 febbraio scorso, sempre sul Corriere della Sera, Cantone cambia parere: in una lettera firmata con il professore ordinario di Diritto penale dell’Università Statale di Milano Gian Luigi Gatta, il capo dell’Anac solleva dubbi circa i possibili abusi nella pratica investigativa che adotta l’agente provocatore, che “non riflette un concetto di giustizia liberale”: chi deciderebbe chi, come e quando provocare?

Non si tratta di un dialogo tra Cantone e Cantone, o di temi di cui parlare solo dentro la magistratura, ma di una questione che merita uno spazio ben più ampio nel dibattito pubblico. L’agente provocatore nelle indagini sulla corruzione sarebbe un bene o un male per lo stato di diritto in Italia?

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