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La relazione paesaggistica

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       Valerio Romani:   LA RELAZIONE PAESAGGISTICA (DPCM 12. 12. 2005 COME PREVISTA DAL “CODICE DEL PAESAGGIO” (DL.vo n° 42 del 22. 1. 2004)

 

a cura di Maurizio Geusa

(scarica versione stampabile)– RELAZIONE PAESAGGISTICA-1.doc”

Da quando, nel 2000, fu siglata a Firenze la Convenzione Europea sul Paesaggio (ratificata dallo Stato Italiano con la L.14/2006)[1], questo vasto e fondamentale campo di studi e di applicazioni, così carico di problemi e ancora così poco esperito, non poteva restare immutato.

Infatti, nel Gennaio 2004, nasce il Decreto Legislativo intitolato “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, il quale, oltre a raccogliere e ordinare tutte le leggi e i decreti sparsi che riguardavano tali argomenti, introduce, spesso derivandole proprio dalla Convenzione Europea, importanti novità teoriche e pratiche, una nuova disciplina delle procedure di intervento e di autorizzazione, nonché diversi spunti di riflessione e di interpretazione.

Non si tratta certo di un testo definitivo ed esauriente; occorreranno tempo, studi ed esperienze per perfezionarlo, ma è sicuramente il più importante passo avanti in questa materia, maggiore anche della Legge Galasso del 1985 che aveva introdotto l’obbligo dei Piani Paesaggistici senza fornire metodi e criteri, e risvegliando così, all’improvviso, la cultura italiana della pianificazione paesaggistica da un multidecennale letargo.

Il Codice prevede, fra le altre cose, che, per qualunque intervento, si debba allegare al progetto una Relazione paesaggistica della quale, nel susseguente Dpcm, vengono forniti ampi dettagli per la sua redazione. Parlare di questa Relazione, ormai obbligatoria, anche solo per introdurla e sommariamente illustrarla, significa quindi parlare anche del Codice e dei principi cha l’hanno generata.

Cercheremo qui di tratteggiare lo spirito della legge e della Relazione a livello generale, complessivo, attraverso i loro caratteri e i loro significati salienti, senza entrare nei dettagli, ma fornendo anche qualche spunto critico.

  1. La nuova accezione del Paesaggio assunta dal Codice

Il Codice non riformula interamente il concetto di Paesaggio, nel senso della sua definizione, anzi, riprende tale definizione da quella assunta nella Convenzione Europea, eliminando però (si noti) il concetto di oggetto “percepito dalle popolazioni”, e quindi considerando solo il cosiddetto “paesaggio reale o oggettivo”, senza accenni alla percezione. Questa differenza, pienamente giustificata dall’espressione “….ai fini del presente Codice…”(Art. 131, c.1), e cioè relativamente all’aspetto applicativo del termine Paesaggio, mostra come la legge non possa riferirsi ad accezioni percettive e quindi soggettive, spesso impossibili da normare. Tale differenza, le sue ragioni e le sue conseguenze, e soprattutto la definizione di Paesaggio formulata nella Convenzione Europea, essendo di fondamentale importanza per tutta la cultura e la prassi paesaggistica, necessitano di una specifica trattazione. Non potremo perciò affrontarle in questa sede. (1)

E’ invece importante notare come viene “qualificato” il Paesaggio, e quindi quali valori e quali ruoli gli si attribuiscono rispetto alle comunità umane che lo vivono. Questa accezione avrà infatti notevole influenza sulle norme che regolano ogni intervento sul paesaggio e che costituiscono, di fatto, il fondamento del Codice.

Il Paesaggio è dunque considerato patrimonio culturale, globale e collettivo, alla cui fruizione tutti hanno diritto, poiché esso è uno degli elementi fondamentali che concorrono a definire la qualità della vita e quindi il benessere delle popolazioni e dei singoli.   Appare pertanto imprescindibile perseguire la sua tutela e la sua valorizzazione, sia nel caso di opere che mirano alla conservazione o al restauro della sua “identità” (e quindi della possibilità di una sua “identificazione” da parte delle popolazioni), sia nel caso di interventi che provochino alterazioni e che, quindi, dovranno essere implicitamente qualificanti, o comunque mai lesivi della qualità del Paesaggio stesso.

Dunque, una concezione ampia ed esaltatrice del Paesaggio, il quale assurge al rango di patrimonio globale e collettivo primario, esteso a tutto il territorio senza distinzioni di qualità, e alla cui tutela e valorizzazione deve essere subordinata ogni azione di modifica o di nuovo inserimento. (2)

Possiamo ora aggiungere altri elementi importanti e innovativi che si pongono a corollario di questa nuova accezione del Paesaggio.

  • Il Paesaggio, la sua tutela e valorizzazione, sono una risorsa di base per lo sviluppo sostenibile delle popolazioni.
  • Il Paesaggio coincide con la totalità del territorio, anche nelle sue parti più degradate e sottoposte a gravi alterazioni negative, sia naturali che seminaturali (agricole), o artificiali (paesaggio urbano e periurbano).
  • Si introduce il concetto di “qualità” del Paesaggio alla cui definizione si accenna con alcuni parametri e criteri, ma in modo necessariamente parziale. E’ prevista l’istituzione di un Ente che elaborerà tali parametri a seconda dei contesti e della natura stessa del Paesaggio che è oggetto di alterazione.
  • Le relazioni, e le interazioni, fra elementi del contesto vengono sommariamente elencate per tipi, distinguendo relazioni ecologiche (in particolare vegetazionali), storiche, simboliche, sociali, economiche, culturali, tradizionali, nonché esteticopercettive e formali. Tali relazioni possono essere funzionali e/o strutturali. (3)
  1. Le linee d’azione del Codice del Paesaggio

Sulla spinta di un rinnovato interesse per il Paesaggio le cui radici recenti possono ricercarsi nella Legge Galasso, nella Convenzione Europea, nella constatazione di quanto si sia operato male negli ultimi anni distruggendo patrimoni paesaggistici immensi e abbandonando preziosi beni culturali, nonché nell’osservazione di come l’architettura e l’urbanistica siano rimaste troppo spesso ignare del contesto in cui vengono applicate – si perviene alla convinzione che è ormai indispensabile:

  1. 1. ridefinire funzionalmente il Paesaggio, esaltandone l’importanza e il carattere di contesto e di sistema nel quale un intervento deve inserirsi.
  2. 2. far sì che i tecnici considerino tale contesto come base progettuale e come riferimento prioritario e continuativo nella progettazione di un intervento; essi dovranno prendere coscienza dei nuovi valori e metodi di progettazione compatibile (= coerente, adeguata, integrata, etc.) con il contesto.
  3. 3. fissare alcuni principi fondamentali della nuova metodologia di progettazione:
  4. Il fondamento della progettazione è la conoscenza dei caratteri (latu sensu) dei luoghi e del loro contesto,
  5. Ogni intervento (o opera) deve mirare ad incrementare la qualità del   paesaggio e non l’inverso, o almeno a non diminuirla,

iii. L’iter progettuale deve prevedere una continua valutazione degli effetti dell’opera sul contesto, e quindi l’adeguamento delle sue caratteristiche al sistema-paesaggio in cui essa verrà inserita,

  1. I risultati del continuo confronto-valutazione con il contesto debbono mirare a stabilire una piena compatibilità dell’opera con la condizione precedente (ante operam), salvo, ma non sempre, quei progetti che hanno come finalità intrinseca il miglioramento (restauri architettonici, urbani, ecologico-naturalistici, etc.).

(Tutto ciò non era avvenuto con la legge Galasso, per cui i Piani paesaggistici risultarono spesso il frutto delle più diverse teorie, delle più contraddittorie interpretazioni e delle più variegate contraddizioni metodologiche.)

  1. 4. introdurre criteri e principi che definiscano, seppur nelle grandi linee, il concetto di identità, di qualità (del paesaggio e dell’intervento), di compatibilità e di congruenza fra l’opera progettata e la struttura e le funzioni del contesto;
  2. 5. formulare una Valutazione sulla compatibilità fra intervento e sistema   paesaggistico (o contesto) in cui esso verrà realizzato, prima di autorizzarne l’esecuzione;
  3. 6. istituire una certificazione che l’intervento proposto possiede tale carattere di compatibilità, la quale deve avere il valore di una autorizzazione ad eseguire l’intervento, con carattere di prevalenza su qualsiasi altro permesso;
  4. 7. istituire un Ente tecnico-giuridico che formuli la Valutazione e rilasci l’ Autorizzazione, e far sì che tale Ente sia informato in modo completo sui i caratteri e i valori dei luoghi e dei beni coinvolti nell’intervento o interessati da esso, onde poter valutare consapevolmente; (4)
  5. 8. considerare i Piani paesaggistici (esistenti, da aggiornare e da redigere, oltre ai vari Vincoli vigenti) come riferimento primario per valutare e stabilire norme e criteri. Lo scopo è quello di trasferire i principi di tutela e di qualificazione del Paesaggio all’interno della metodologia di progettazione.
  1. Dalle nuove concezioni alla Relazione Paesaggistica

Appare dunque indispensabile abbandonare la progettazione che ignora il contesto in cui si inserirà l’intervento (o l’opera), per adottare sempre una metodologia che parte proprio dallo studio del contesto, dei luoghi circostanti e da quelli limitrofi, sino a quelli più lontani, se significativi. La conoscenza approfondita del contesto e delle molteplici e diverse relazioni che intercorrono fra i vari elementi del paesaggio, e quelle, soprattutto, che si stabiliranno con la nuova opera, diviene allora spunto e matrice primaria di progettazione. Progettare dunque sempre nel sistema ed inserirsi in esso, traendone metodi e contenuti progettuali. Anche le relazioni e le interazioni opera-contesto non sono, evidentemente, esplicitate e descritte in modo esaustivo nel Decreto. Solo l’esperienza e la pratica progettuale svolta in seno ai sistemi complessi (qual è il Paesaggio) ne permetterà in futuro una comprensione dettagliata. Ma già da queste prime indicazioni del Decreto si può giungere ad un livello sufficiente di individuazione e definizione.

Altrettanto necessario è valutare la compatibilità fra nuova opera e contesto (= il giusto inserimento, la appropriatezza, la continuità, la coerenza, la salvaguardia degli elementi e delle loro interazioni funzionali e formali, etc.), seguendo le indicazioni dei Piani e, se presenti, dei vincoli.

Occorre però un giudizio esterno ed autorevole per stabilire se tale compatibilità sia stata raggiunta. Da tale giudizio deriverà il permesso di realizzare l’intervento progettato, permesso che dovrà essere prevalente su ogni altro previsto dalle leggi vigenti. Ecco dunque la necessità di istituire un Ente atto a rilasciarlo.

Nasce così la Commissione paesaggistica, istituita dalla Regione e composta da persone di “particolare e qualificata” competenza in materia. Essa formula una Valutazione di compatibilità e, se il suo giudizio risulta positivo, rilascia l’Autorizzazione paesaggistica, documento indispensabile per realizzare l’opera.

Il percorso si conclude qui: partito da nuovi principi progettuali, è giunto ad un nuovo tipo di procedura autorizzativa. (5)

 

Ma come può la Commissione valutare se non è esaurientemente edotta sui termini del problema, e cioè sui caratteri e sui valori del paesaggio e sugli effetti che avrà il nuovo intervento? Ed ecco la nuova prassi: è il progettista che dovrà allegare al progetto gli studi e le elaborazioni eseguiti allo scopo di informare la Commissione.

Infatti:

  1. Il progettista effettuerà studi accurati sul contesto, delimitandolo  opportunamente e fornendone una rappresentazione completa dei caratteri, del tipo, dei valori, delle relazioni intercorrenti fra elementi (sia reali che percettive), nonché delle prescrizioni di Piani e Vincoli presenti sull’area.

In pratica la descrizione dei luoghi e del paesaggio ante operam.           

  1. Dovrà inoltre fornire una esauriente simulazione del risultato dell’intervento, in modo da mostrare gli effetti dell’alterazione prodotta.

In pratica la descrizione dei luoghi e del paesaggio post operam.

  1. Tutto ciò dovrà essere spiegato, commentato e arricchito con tutti i dati necessari affinché la Commissione possa valutare consapevolmente e quindi

accordare o negare l’Autorizzazione. (6)

Tutti i contenuti dei punti a., b., c., scritti, grafici, fotografie, etc. saranno raccolti in un unico documento allegato al progetto, che prende il nome di:

RELAZIONE PAESAGGISTICA.

     Si delinea così il contenuto di questa Relazione (che è, in fondo, un’istanza di autorizzazione): essa deve descrivere il Paesaggio prima dell’intervento, quindi il progetto dell’intervento e infine la situazione simulata del paesaggio dopo l’intervento. In questo modo la progettazione rimane sempre strettamente legata e rapportata al contesto nel quale è inserita, nonché alle relazioni da cui gli elementi del Paesaggio sono connessi, mostrando alla fine il nuovo assetto del Paesaggio e i nuovi rapporti che si stabiliscono una volta realizzata l’opera.

Questa doppia lettura (ante e post operam) permette al progettista di “legare” o di “inserire armonicamente” l’opera nel contesto-paesaggio, evitando di generare discontinuità, interruzioni, incoerenze e, in ultimi termini, alterazioni negative e impatti che possono prodursi se si progetta un intervento senza considerare i suoi legami con tutti gli elementi che lo circondano. Tale modo di procedere implica già che il progettista lavori con l’intendimento di realizzare un’opera compatibile.

La Relazione appare dunque anche come uno strumento di valutazione e controllo delle trasformazioni del Paesaggio.

Appaiono chiare, inoltre, le finalità della Relazione:

–  da un lato indurre il progettista ad operare con i nuovi metodi, principi, criteri e valori, indicando i modi di “leggere” e interpretare la complessa realtà sistemica del Paesaggio e fornendo i criteri per progettare nel e con il contesto

– dall’altro fornire alla Commissione tutti gli elementi necessari a formulare la Valutazione di Compatibilità. Ciò si traduce in una attività di controllo delle trasformazioni del paesaggio tramite le valutazioni della Commissione.

La Relazione paesaggistica acquisisce quindi un valore formativo e culturalmente qualificante nei confronti sia del progettista che dei pubblici amministratori.

Da tutto ciò deriva un cambiamento radicale della natura della normativa: non più norme prescrittive rigide e inapplicabili alle molteplici situazioni paesaggistiche, bensì valori, indirizzi, criteri, principi e metodi di verifica.

L’insieme di questi elementi e della stessa procedura costituisce realmente un’importante svolta positiva nella progettazione, nella prassi amministrativa e, complessivamente, nella gestione integrata e sostenibile del territorio. (7)

  1. Il ruolo delle Regioni

Il Codice è legge nazionale, ma prevede che ogni Regione, nell’accoglierlo, ne modifichi, ne integri e ne specifichi alcune parti per adattarlo alle peculiarità dei propri territori. Inoltre esse hanno il compito di istituire la/le Commissioni paesaggistiche, con la possibilità di delegare altri Enti (i più probabili sono le Province, ma non è escluso che anche i Comuni di grandi città possano avere una Commissione propria). Le Regioni avranno anche la possibilità di semplificare la procedura per quei casi, o per quei luoghi, per i quali certi tipi di intervento appaiono palesemente ininfluenti o quasi.

Peraltro esse dovrebbero aggiornare entro il 2008 i loro Piani paesaggistici e relative norme, che spesso datano gli anni ’80 e/o non sono adatti alla nuova funzione di valutazione di compatibilità, perché carenti sotto diversi aspetti.

  1. Considerazioni sulla Pianificazione paesaggistica

Da quanto sin qui esposto, dai continui riferimenti che il Codice e il Decreto che istituisce la Relazione paesaggistica fanno ai Piani paesaggistici (preesistenti, da aggiornare o da redigere), dagli stretti legami normativi che i due dispositivi stabiliscono fra Piani e disciplina degli interventi, valorizzazione e tutela paesaggistica, ma soprattutto dalla chiara posizione di priorità che viene conferita alla pianificazione paesaggistica, si evince che quest’ultima acquisisce un’importanza prevalente, poiché diviene il fulcro, lo strumento e il documento primario sulla base del quale, e in via subordinata, si possono comporre i piani urbanistici, economico-sociali, infrastrutturali, edilizi, etc.

Dal Piano del Paesaggio e dalle sue prescrizioni, linee guida, finalità, etc. deriveranno tutti gli altri piani, poiché, sia in senso positivo che negativo, questi ultimi sono comunque strumenti che prevedono alterazioni del Paesaggio. E’ questo il significato ultimo della priorità e della prevalenza della Pianificazione paesaggistica sulle altre pianificazioni e programmazioni (vedi figura).

Peraltro, oltre alle norme esplicitate dal Codice e dalle indicazioni su come formulare la Relazione paesaggistica, i criteri ed i parametri per il giudizio di compatibilità si debbono ricercare nelle norme dei Piani paesaggistici, che costituiscono il principale riferimento assieme agli eventuali Vincoli di altra derivazione. La pianificazione del Paesaggio diviene così l’atto pianificativo primario e prevalente per l’uso e la tutela del territorio e dei suoi beni.

Potremo allora affermare che la pianificazione del Paesaggio è un controllo del processo evolutivo del Paesaggio stesso, nel senso della sua continua tutela, qualificazione e valorizzazione.

 

  1. Sintesi

Riassumendo, il Codice del Paesaggio fissa due punti fondamentali.

Il primo dichiara che il Paesaggio è un bene primario, collettivo ed essenziale alla vita, un patrimonio da difendere e valorizzare cui tutti hanno diritto. Il Paesaggio, inoltre, è un continuum globale di elementi e di interazioni, e cioè un sistema complesso, e che come tale deve essere considerato se lo si vuole alterare in qualsiasi modo, con opere e iniziative sia positive che negative (e cioè sia valorizzative che distruttive), avendone inoltre una consistente e fondata conoscenza dei diversi elementi, aspetti e valori, nonché delle prescrizioni stabilite per esso dai Piani paesaggistici e da altri vincoli vigenti.

Il secondo fissa l’obbligo, per chi vuole intervenire in qualsiasi modo su di esso, di ottenere una Autorizzazione, rilasciata da un’apposita Commissione, il cui compito è di verificare la compatibilità fra opera proposta e contesto, e quindi l’ammissibilità di tale opera alla luce di una tutela dell’integrità strutturale e funzionale del paesaggio circostante, nonché della conservazione della sua peculiarità e identità. (Appare evidente l’influenza dei principi di conservazione ecologica, il che del resto è più che naturale). Affinché tale autorizzazione sia rilasciata è necessario che al progetto d’intervento sia allegata una specifica Relazione paesaggistica, i cui contenuti sono indicati nel Decreto e specificati dalla Commissione paesaggistica competente sul territorio.

Le Regioni fanno proprio il Codice e le disposizioni sulla Relazione, apportando le modifiche imposte dalla specificità dei loro beni territoriali, dei vari Vincoli e Piani paesaggistici, nonché di quei Piani Urbanistici che contengono norme sul Paesaggio.

Esse istituiscono le Commissioni paesaggistiche presso di sé o delegando altri Enti pubblici. Le Commissioni (che dovranno essere composte, da persone di provata competenza ed esperienza in tema di beni culturali e di paesaggio), di concerto con le Regioni, formulano i caratteri dell’Identità e della Qualità del paesaggio, i principi per determinare la Compatibilità opera-paesaggio, nonché i criteri di Valutazione e di rilascio dell’Autorizzazione paesaggistica.

Quanto ai progettisti, essi sono tenuti a redigere il progetto dell’intervento applicando prioritariamente due criteri di base:

  1. La progettazione deve essere condotta tenendo presente il contesto nel quale verrà realizzato l’intervento e conformando questo ai caratteri di quello.
  2. L’intervento progettato dovrà tendere ad un incremento della qualità del paesaggio, o quantomeno a mantenerne il livello.

Inoltre, assieme al progetto, dovranno fornire tutto il materiale informativo su:

  • lo stato del paesaggio ante operam,
  • la simulazione dello stato del paesaggio post operam,
  • una prima valutazione che evidenzi le eventuali alterazioni negative (o addirittura i fenomeni di impatto), corredata dalla descrizione delle misure di compensazione e mitigazione che si prevede di adottare,
  • tutti i dati necessari affinché la Commissione possa effettuare la Valutazione di Compatibilità opera – contesto.

Schematicamente, la Relazione paesaggistica sarà dunque costituita da:

  1. Documentazione tecnica

A1. Elaborati che illustrano lo stato del contesto ante operam:

  • Caratteri del Paesaggio (8)
  • Indicazione dei vari livelli di tutela esistenti sull’area
  • Documentazione scritta e per immagini

A2. Elaborati di progetto:

  • Inquadramento dell’area nel contesto
  • Progetto e relazione tecnica che motiva le scelte effettuate

 

  1. Elementi per la Valutazione di Compatibilità

B1. Simulazione dello stato dei luoghi post operam

B2.   Previsione degli effetti dell’intervento: alterazioni e impatti (9)

B3. Opere di compensazione e/o mitigazione previste

I criteri e gli argomenti fondamentali in base ai quali redigere la Relazione paesaggistica consistono dunque nello studio e nella descrizione di:

–  Lo stato ante operam del bene paesaggistico (o del luogo) interessato.

–    Gli elementi di valore storico-culturale e/o paesaggistico in esso contenuti.

  • Il progetto e la sua relazione tecnica.

–    Lo stato post operam del paesaggio interessato (simulazioni e commento)

–    Le eventuali alterazioni negative e/o gli impatti prodotti dalla realizzazione dell’opera.

  • Le eventuali opere di mitigazione o di compensazione dei danni provocati. ( Le opere di compensazione si effettuano prevalentemente quando le alterazioni negative o gli impatti si dimostrano irreversibili e quindi non mitigabili).

–  Tutti i dati necessari alla Valutazione di compatibilità, e cioè, in sintesi:

  1. a.   Compatibilità con i valori indicati nei Piani e nei Vincoli,
  2. b.   Congruità fra i criteri di gestione del contesto e quelli di gestione dell’opera,
  3.       c. Coerenza degli obiettivi di qualità dell’opera con gli obiettivi fissati per conseguire la qualità del Paesaggio.

Se la Relazione paesaggistica è oggi richiesta solo per territori sottoposti a normative specifiche – dovute a: Piani paesaggistici, Legge Galasso, Vincoli vari, Parchi naturali, etc. – il Codice, tuttavia, richiede (Art. 135, c.1, in sintonia con l’Art. 2, c.1 della Convenzione Europea) che i Piani paesaggistici vengano estesi a tutto il territorio Regionale. Da ciò appare legittimo dedurre l’intendimento, coerente con le premesse, che in futuro la procedura illustrata si dovrà applicare dappertutto, comprese le aree libere da prescrizioni, quelle degradate o interessate da pesanti alterazioni.

Al presente, allora, non sarebbe inopportuno cominciare ad applicare la Procedura, e quindi a richiedere la Relazione e la Valutazione, anche per ambiti oggi ancora privi di vincoli o prescrizioni.

Ciò per evitare un incremento selvaggio delle trasformazioni (cave, edilizia speculativa, etc.) nei territori ancora non protetti, e in secondo luogo per iniziare la pratica della nuova disciplina degli interventi sul Paesaggio senza privilegiare o discriminare alcuna località, rendendola così una procedura generalizzata e non eccezionale. Se ne ricaverebbe anche un vantaggio culturale per i progettisti e per le Amministrazioni pubbliche.

Ma questo, certamente, è e resterà soltanto un’apprezzabile suggerimento.

  1. Conclusioni

Abbiamo visto come il Decreto che istituisce la Relazione paesaggistica e ne illustra contenuti, caratteri, finalità, etc., non sia definitivo e soprattutto non sia esauriente nei dettagli. E’ giusto così. Un provvedimento nazionale che per la prima volta apre la via ad un nuovo modo di progettare, di valutare la “bontà” di un intervento e di preservare ogni tipo di paesaggio, può esprimere solo indirizzi, linee guida, criteri, principi, elenchi di argomenti e temi da sviluppare, e così via. Per quanto riguarda i contenuti di dettaglio esso non può che demandare il compito alle legislazioni regionali e al lavoro delle Commissioni di Valutazione.

Nonostante ciò il Decreto entra, seppur moderatamente, in alcune descrizioni di primo dettaglio, peraltro modificabili dalle Regioni, che appaiono sufficienti a redigere già da ora la Relazione e ad iniziare le nuove procedure di progettazione, valutazione, autorizzazione e gestione del bene paesaggistico, a patto che siano interpretate e sviluppate da persone di adeguata esperienza teorica e pratica in materia.

Il Codice del paesaggio e la Relazione paesaggistica che ne deriva inaugurano così una nuova stagione nella gestione del Paesaggio italico e, conseguentemente della cultura amministrativa e di quella progettuale. Saranno il confronto e la discussione interdisciplinare, nonché la pratica di alcuni anni su questi temi a permettere uno sviluppo omogeneo ed esaustivo dei vari dettagli operativi.

Non si può che accogliere favorevolmente gli intendimenti, lo spirito e l’articolazione di questo Decreto, e del Codice, per aver finalmente esplicitato (seppur nei limiti descritti) il ruolo, l’importanza e i valori del Paesaggio, per aver posto le basi di una nuova ed operativa approssimazione al problema del Paesaggio, ed al Paesaggio in quanto problema, per aver elevato la pianificazione paesaggistica al rango che le compete, e infine per aver istituito le Commissioni paesaggistiche ri-centralizzando e rafforzando il giudizio di compatibilità, e conferendo all’ Autorizzazione paesaggistica un ruolo autonomo e prevalente.

Con questa procedura, che obbliga il progettista ad informare la Commissione sullo stato del Paesaggio ante e post operam, il Decreto impone una diversa, e assai più colta, metodologia di progettazione e una professionalità più consapevole da parte dei tecnici che operano in questo campo.

Di essa tutti i nostri paesaggi mostrano di avere estremo bisogno.

Sorgono però alcuni dubbi di carattere pratico.

  • sulla effettiva capacità dei progettisti (non necessariamente Architetti) di assimilare questa nuova mentalità e le competenze (oggettivamente numerose e complesse) che essa palesemente implica. Né ci si può illudere di risolvere tale problema con brevi corsi di aggiornamento;
  • sulla scelta di criteri, principi, metodi e riferimenti di dettaglio (quelli che, appunto, il Decreto non può specificare) da parte delle Regioni e delle Commissioni paesaggistiche istituite;
  • sull’impostazione culturale di tali Commissioni nelle diverse Regioni (che dovrebbero, almeno all’inizio, avere la possibilità di coordinarsi, quanto basta per non dar luogo ad un ventaglio troppo variegato di interpretazioni e di impostazioni culturali). Il dubbio nasce, per l’appunto, dalla constatazione di come siano diverse le approssimazioni al concetto di Paesaggio, specie nel suo versante operativo. Si rammenti, a questo proposito, l’estrema variabilità di giudizio che la Commissione ministeriale per la V.I.A. esprime per opere varie, a seconda dell’orientamento dei suoi membri componenti.

Tali dubbi nascono anche dalla convinzione, radicata in molti studiosi, che il Paesaggio sia solo percezione, immagine mentale, giudizio estetico-formale (come purtroppo è confermato dalla Convenzione Europea all’Art. 1), e che la realtà sia altro. Eppure il Codice è molto chiaro quando esclude parzialmente tale ipotesi, dovendo normare azioni reali su elementi reali e non su percezioni.

Esso definisce infatti il Paesaggio come una parte determinata di territorio, precisando di fare ciò….. “(solo) ai fini del presente Codice ”.

– sul funzionamento generale di questo impianto, che impone mutamenti e approfondimenti culturali da parte dei progettisti, grande obiettività e grande impegno da parte delle Commissioni che, non potendo essere molte, potrebbero in certi casi avere difficoltà a smaltire il lavoro, e così via. Questo genere di difficoltà, e altre qui non citate, si teme possano condurre ad una banalizzazione dell’intera procedura, riducendola ad una routine e quindi svuotandola dei contenuti fondamentali ma indubbiamente ambiziosi del Codice.

Un sano ottimismo deve però prevalere. La situazione, quando fu varata la legge Galasso e, in seguito, la procedura della V.I.A., era assai peggiore, ma in tempi relativamente brevi si ebbero risultati positivi e si consolidarono procedure sempre più affinate e consapevoli. E’ allora legittimo ipotizzare che anche nel caso presente ciò potrà avvenire, anche perché le finalità del Codice sono giuste e la diffusione di una più profonda cultura del Paesaggio è ormai divenuta indilazionabile.

Valerio Romani                                                           Genova 12. 4. 2007

Nota 1. Possiamo notare, comunque, come nella definizione di Paesaggio che il Codice assume, compaia inspiegabilmente un termine del tutto inadeguato (Art. 131, c.1): “… si intende per Paesaggio … una parte omogenea del territorio”.

Omogenea rispetto a che? Alla forma, alla vegetazione, alle colture, agli insediamenti….? Il termine è, oltre che inutile e erroneo, anche fuorviante. Simili cedimenti a specificazioni senza senso mostrano una conoscenza confusionale in tema di definizione, che deriva dalle troppe diatribe soggettive che hanno sempre caratterizzato la definizione del paesaggio negli ultimi decenni. Ma, come già detto, l’argomento non può essere sviluppato in questa sede.

Nota 2. Il Codice non esplicita chiaramente la natura dinamica ed evolvente del Paesaggio e pertanto sembra riferirsi ad un insieme statico e mai ad un processo, ad una realtà in continua mutazione e quindi ad un oggetto dinamico. Da questa fondamentale carenza discendono molte imprecisioni, fra cui ciò che deriva dal prezioso concetto di “identità” e dalle molte caratteristiche che la definiscono. Le mutazioni del Paesaggio, sia per cause naturali che per interventi umani, possono avvenire in pochi secondi o in migliaia di anni ed ogni generazione nasce e si identifica con un paesaggio diverso. La mutevolezza del Paesaggio (che dovrebbe essere considerata anche nella valutazione di compatibilità) deve far prevedere i successivi aspetti del contesto di un’opera. Andrebbero pertanto considerate le mutazioni future, che definiranno future “identità” e future “identificazioni” da parte delle prossime generazioni; esse dovranno comunque garantire presenze e testimonianze delle identità precedenti, come elementi della storia vivente del paesaggio (continuità dell’identità dinamica).

Nota 3. Assai importante appare l’introduzione del concetto di “relazione”. I vari elementi del Paesaggio sono tutti interconnessi da una fitta e diversificata serie di relazioni naturali e umane di ogni tipo. Alterando una di esse si possono produrre mutamenti spesso imprevedibilmente vasti, positivi o negativi. Ciò significa riconoscere implicitamente che il Paesaggio è un sistema dinamico e, come immediata conseguenza pratica, non è possibile immaginare un intervento senza considerare la possibilità di alterazioni negative (o positive) che l’intervento stesso potrà provocare, nell’immediato o nel tempo, così come nelle vicinanze o chissà dove. Occorre quindi considerare e valutare quindi non solo l’immediato post operam, ma anche il processo evolutivo più probabile degli elementi e delle relazioni dell’intero contesto. Ma il compito di valutare in modo definitivo è esclusivo appannaggio della Commissione. Al progettista resta l’onere di fornire tutti i dati e le informazioni necessarie.

Nota 4. Questa procedura dovrebbe eliminare (ma il Decreto non ne parla) le tristi e spesso perniciose figure degli “esperti ambientali” presenti nelle Commissioni edilizie comunali. Il che costituirebbe già un miglioramento non trascurabile nella gestione del paesaggio e nella qualità delle architetture. Il potere di autorizzare o no la realizzazione di un’opera passa dunque dai Comuni alla Commissione.

Occorre riflettere sempre sulle conseguenze di uno spostamento di poteri, specie quando coinvolge consistenti interessi economici.

Nota 5. Come già accennato la “compatibilità” non è definita dal Decreto in modo compiuto (il che è naturale), seppur molte delle sue caratteristiche fondamentali siano elencate, ma i suoi parametri definitivi (per quanto possibile, dato il tasso di soggettività che questo concetto possiede) dovranno essere fissati dalle Regioni di concerto con le Commissioni paesaggistiche, e in relazione sia ai vari paesaggi interessati che al tipo di intervento previsto su di essi. Resterà comunque un ampio margine di discrezionalità e di interpretazione soggettiva, in particolare per le valutazioni di ordine estetico-percettivo-formale e architettonico in senso stretto, che, per loro natura, sono soggettive e quindi indefinibili. L’importante, però, è che si tenti comunque di conseguire uno stato di compatibilità il più possibile attendibile ed accettabile, e cioè che si progetti con questo fine e non ignorandolo.

La soggettività della valutazione è comunque palesemente inevitabile. Ma lo è quanto più i dati su cui si fonda appartengono alla sfera percettiva ed estetico-formale. Si tratterebbe allora, mediante i dati oggettivi provenienti dall’analisi del paesaggio reale, di ridurre l’influenza della soggettività sul giudizio di compatibilità.

Peraltro, in tema di valutazioni estetico-percettivo-formali, occorre dire che esistono, seppur incompleti, dei metodi oggettivi di progettazione e valutazione, sperimentati da vari autori e facenti capo, principalmente, alla psicologia della forma, alla psicologia ambientale, alla teoria dell’arte di Arnheim, alle teorie percettive di Lynch, ai metodi statatistico-geometrici americani, etc.

Nota 6. Va segnalato che il problema di richiedere un’autorizzazione per le zone sottoposte a vincoli e limitazioni d’intervento era nato già nel 1939 con la L. 1497.

Nota 7. Pur mantenendo le prescrizioni che obbligano il progettista alle forme, alle dimensioni, ai caratteri morfologici, stilistici, materici e cromatici che caratterizzano le opere preesistenti e connotano il tipo di paesaggio costruito o naturale, il Codice ammette esplicitamente per la prima volta che si possano realizzare opere di architettura contemporanea, seppur nell’ambito delle prescrizioni citate, ma interpretate più elasticamente.

Questa annotazione appare importante, perché in molte località la compatibilità paesaggistica in edilizia viene interpretata nel modo più restrittivo e banalizzante, dando luogo al divieto di eseguire opere contemporanee o di impiegare materiali e tecnologie tipiche dei giorni presenti e obbligando così i progettisti a ripetere acriticamente forme tradizionali, sino alla riproposizione di architetture falso-antiche o smaccatamente vernacolari.

Ricordiamo, però, che in molti casi sono proprio le norme edilizie dei Piani urbanistici (su forme, dimensioni, altezze, materiali, etc.) a condizionare i progetti architettonici e persino gli interventi di arredo e di verde urbano, sino alle mutazioni agricole e forestali.

Nota 8. Il Dpcm che istituisce la Relazione paesaggistica propone diversi elenchi di criteri, caratteri, tipologie, etc. Nell’elenco dei Caratteri del Paesaggio compare la morfologia. Questo carattere, applicato in particolare al paesaggio naturale, è di fondamentale importanza e va evidenziata la disciplina che lo studia (la geomorfologia). La forma del territorio, infatti, condiziona la quasi totalità delle caratteristiche e degli aspetti del paesaggio, persino di quello urbano e sommamente di quello agricolo, a cominciare dal clima, dalla vegetazione, dai coltivi, sino alle reti connettive e alla stessa configurazione dell’intero sistema insediativo umano.

Nota 9. Nel Codice e nelle norme per la Relazione compare spesso il termine “impatto” riferito all’effetto provocato dall’inserimento di un’opera nel Paesaggio, poiché qualsiasi alterazione è erroneamente considerata un “impatto”, e infatti si prescrive sempre lo studio di opere di mitigazione e/o compensazione. L’impatto, invece, (a differenza dell’inglese “impact”) è il risultato di un’azione distruttiva, grave, raramente reversibile. Peraltro, non tutti gli interventi e le alterazioni costituiscono degli impatti. Si può allora formulare una scala di gravità delle alterazioni, così concepita in prima approssimazione:

  • Alterazioni positive o migliorative,

                     –   Alterazioni ininfluenti o trascurabili,

–   Alterazioni dannose, ma rimediabili,

–   Alterazioni gravi ma non distruttive,

     –   Alterazioni parzialmente distruttive o impatti parziali,

                     –   Alterazioni distruttive o impatti totali.

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[1] http://www.beap.beniculturali.it/opencms/multimedia/BASAE/documents/2009/10/07/1254924365183_L_9gennaio2006_n14.pdf