Riportati in auge dal film di Wim Wenders, la gestione dei gabinetti pubblici (nella capitale appena 70 impianti) è problematica per mancanza d’interlocutori e strategie
Che ci volesse il film Perfect Days di Wim Wenders a suscitare un corale interesse nei confronti dei gabinetti pubblici, ha quasi dell’incredibile. Anche se il problema public toilet coinvolge quotidianamente tutti, al di là di qualunque etnia o cultura e al di là di qualsiasi questione di genere o reddito, alle nostre latitudini si è sempre registrata un’innegabile ritrosia a discuterne apertamente; soprattutto a individuare, per questo “nucleo cardine” del benessere psico-fisico di chi abita lo spazio urbano, un concreto campo di attività progettuale.
Roma, una situazione allarmante
E così si è alzata la voce indignata di tanti esponenti dell’arte, dell’architettura e della cultura italiana per denunciare l’incomprensibile assenza di bagni in molte zone della capitale. Al contrario, il protagonista giapponese di Wenders celebra sullo schermo una singolarissima relazione con i preziosi WC pubblici di Tokyo, intercettando rituali che dall’altra parte del globo si collegano alla tradizione shintoista del kawaya kami e alle tante divinità che proteggono i loro servizi igienici.
Eppure, proprio ad aprile 2023, l’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale (ACoS) aveva dato alle stampe un corposo monitoraggio su 70 impianti, ubicati nell’area centrale della città, definendone la condizione a dir poco “allarmante”. Eppure, proprio in concomitanza di questo dossier, molte testate ne avevano rilanciatoil contenuto con titoli altrettanto eloquenti: Sono pochi, vecchi e sporchi… (“la Repubblica”, 24 aprile); Bagni pubblici a Roma: disastro capitale (“L’opinione”, 15 maggio); Roma: la pipì è una missione impossibile… (“Affaritalini.it”, 21 aprile) solo per citarne alcuni. Eppure, sempre in aprile, nel padiglione del Mattatoio, la mostra “Roma periurbana” aveva affrontato il tema del bagno pubblico, coinvolgendo gli artisti, gli architetti e le organizzazioni della società civile che da circa dieci anni si stanno dedicando al tema.
Purtroppo, in ambito istituzionale non si sono registrate le ripercussioni auspicate. Cosicché, in previsione del prossimo Anno santo, per “potenziare l’offerta di servizi igienici”, la società Giubileo2025 ha riproposto tout court la riqualificazione dei suddetti 70 impianti, per un importo lavori di 3 milioni, senza preoccuparsi minimamente di verificare “sul campo” il reale stato di conservazione di ogni singolo bene. Sì, perché i bagni pubblici sono da sempre annoverati fra i beni del patrimonio capitolino anche se, della prestigiosa tradizione culturale e civile in cui hanno radicato (in età imperiale esistevano ben 4.000 posti a sedere in 144 foricae), non se ne avverte più nemmeno il sentore ma solo vaghi cenni nel frettoloso racconto propinato ai turisti.
Una gestione parcellizzata
Per comprendere la portata reale del problema è necessaria, però, una precisazione. Senza entrare nel merito della loro ubicazione (in taluni casi poco appropriata alle esigenze della città contemporanea), bisogna sapere che la gestione dei 70 bagni in questione è parcellizzata. Ciò significa che: 25 (per lo più localizzati nei parchi e sulle strade) sono in carico al Dipartimento Tutela ambientale; 12 sono assegnati al Dipartimento Grandi eventi, sport, turismo e moda (che, a seguito di gara, li ha affidati a società private); 18 sono attribuiti ad Atac (dentro le stazioni della metropolitana); 13 sono affidati alle AGS che gestiscono i mercati rionali; gli ultimi 2 sono a responsabilità di Astral (dentro le stazioni Euclide e Flaminio).
Mancano tuttavia all’appello molti impianti oggi dismessi; fra questi, i bagni in cemento automatizzati acquistati in occasione del Giubileo del 2000, oltre a quelli esistenti all’interno dei cimiteri Verano e Flaminio, di cui rimangono solo inquietanti vestigia dovute all’incuria della “partecipata” che gestisce i servizi funerari.
Bisogna quindi fare i conti con un panorama desolante, in cui risulta molto arduo rintracciare interlocutori certi ai quali proporre strategie sensate e di lungo periodo. E forse, prima di progettare la public toilet più bella del mondo [nell’immagine a fianco, Rem Koolhaas (con disegni a parete di Erwin Olaf), A Star is Born, bagno pubblico a Groningen, Olanda, 1996 (CC by Gerardus, via Wikimedia Commons)], bisognerebbe ripartire proprio dal microcosmo di un gabinetto pubblico romano e cercare di mitigare gli effetti nefasti delle decisioni economiche dei nostri amministratori, troppo spesso basate su principi avulsi dalla realtà e dalle esigenze concrete dei cittadini.
Immagine di copertina: bagni chimici in via dei Fori Imperiali in occasione della Mezza maratona di Roma del 12 novembre 2023 (foto di Maria Spina)
Maria Spina Architetto. Sino al 2000 è stata editor per i saggi e gli scritti critici di Bruno Zevi e coordinatrice editoriale di collane di storia dell’architettura. Nell’ambito delle discipline collegate con la storia della città e del paesaggio, dal 1989 al 2011, ha insegnato in Mozambico (Università “Eduardo Mondlane” di Maputo e Università “Lúrio” di Nampula). È stata senior adviser di numerosi progetti di cooperazione internazionale ed europei. Dal 2010 segue l’attività dei comitati “PanamaVerbano” e “Salviamo il mercato di via Chiana” e, dal 2013, partecipa al Laboratorio “Carteinregola”.
Per osservazioni e precisazioni:laboratoriocarteinregola@gmail.com