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Perchè NO Alfabeto dell’autonomia differenziata: Raffaele Brancati

Perchè NO Alfabeto dell’autonomia differenziata: Raffaele Brancati, economista, autonomia differenziata e ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi 25 marzo 2024

Anna Maria Bianchi Buonasera questa sera parliamo di Autonomia regionale differenziata e di ricerca scientifica e tecnologica con Raffaele Brancati economista.

Pietro Spirito Una delle ventitré materie oggetto di potenziale competenza esclusiva delle regioni è la ricerca scientifica e tecnologica. Ora, l’Italia ha un grave deficit perché investe meno degli altri paesi industrializzati in ricerca: non sembrerebbe di primo istinto molto intelligente, a spesa pubblica invariata, perché così dice il decreto Calderoli, frammentare le politiche e le spese per la ricerca in ventuno regioni. Mi sembra   una delle modalità per peggiorare la competitività del Paese. Qual è la tua impressione?

 Raffaele Brancati purtroppo la partita politica della distribuzione dei ruoli dello Stato, viene discussa e viene presentata esclusivamente come un grande gioco di potere; il potere stesso dipende da quante risorse finanziarie vengono messe a disposizione di ciascuno e quindi ci si batte per ottenerle reclamando più funzioni e più soldi. Se aumento i soldi disponibili in Veneto o in qualsiasi altra regione questo fa sì che il governatore del Veneto o il governatore della Lombardia o del Lazio o anche di altre regioni meridionali, abbia più o meno potere da amministrare.

Ma i servizi e la loro qualità non dipendono solo, vorrei dire non dipendono tanto, dalla divisione territoriale dei poteri.

Non possiamo prescindere dal fatto che in tantissimi ambiti le Amministrazioni dello Stato centrale hanno fallito ampiamente, così come le Regioni, soprattutto alcune Regioni, siano state amministrate pessimamente. La vicinanza con i problemi, il cardine del federalismo, non è sufficiente per portare a una buona amministrazione, così come un governo centralizzato non basta per una omogeneità di servizi sul territorio e per un adeguato coordinamento dell’attività dello Stato.

La questione, per come la vedo io, è una questione viceversa di tipo funzionale. Cioè, che cosa fare, come farlo e con quali modelli organizzativi.

Veniamo all’oggetto della nostra conversazione, l’intervento nel campo della Ricerca.

Una piccola parentesi: è vero che l’Italia spende meno degli altri paesi in questo campo, ma questo divario è prevalentemente legato al livello della spesa privata ,che è molto inferiore a quella di altri Paesi; al contrario la spesa pubblica in ricerca (con tutti i limiti delle misurazioni in materia) non è certo brillantissima, ma non si discosta troppo dai partner europei.

La materia dell’intervento in ricerca è in un ambito amministrativo confuso da tempo. Sono problemi che ci portiamo dietro dalla fine degli anni novanta, quando i rapporti tra governo centrale e governo regionale erano divisi tra materie di competenza nazionale, materie di competenza regionale e materie concorrenti, in cui quindi le competenze erano abbastanza confuse;  una di queste era proprio la ricerca. Qual è stato il risultato? Che non hanno funzionato bene né le istituzioni nazionali, né le istituzioni regionali in cui, al massimo, occorreva dividersi una quota di finanziamento senza occuparsi quasi mai del coordinamento per rendere ciascuna spesa più produttiva.

Peraltro alcuni argomenti della ricerca non sono neppure catalogabili come di ambito nazionale, ma piuttosto fanno riferimento a scale sovranazionali o globali: si pensi alle ricerche in campo fisico, biochimico, a quelle nel campo sanitario, dove il ruolo sovranazionale sarebbe da potenziare e molto altro ancora.

Insomma, la ricerca non può essere ingabbiata in paletti troppo stretti e predefiniti e i programmi si devono basare sui progetti dei grandi centri di produzione della ricerca (quasi mai definiti a scala regionale). Altra storia è la ricaduta produttiva di queste ricerche, che viceversa ha caratteristiche molto legate al territorio, specie se ci si riferisce al reale tessuto produttivo italiano.

Normalmente si ha in mente la grande ricerca,  la ricerca con la R maiuscola. Abbiamo in mente i vaccini del covid, abbiamo in mente l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, abbiamo in mente il CERN di Ginevra, e  questa è certamente una ricerca per la quale anche solo l’idea di proporre una devoluzione regionale fa ridere, insomma. Semplicemente fa ridere. Ma poi esiste un altro tipo di ricerca, che è quella legata alla ricaduta produttiva, spesso legata anche a strutture di imprese non così grandi come quelle legate ai temi che appena citati: per questo tipo di ricerca, viceversa, un’organizzazione oculata, un intervento di servizi intelligente, funzionale e coordinato tra governo nazionale e regionale sarebbe desiderabile.

L’esempio più classico è quello dei centri di competenza, che come sapete nel PNRR hanno avuto un finanziamento consistente, a livello nazionale naturalmente.

Ora questo tipo di interventi,  i centri di competenza, che  sono dei luoghi specializzati, per esempio nel campo biochimico, nel campo dei nuovi materiali,  nel campo dei tessuti, nel digitale sono molto numerosi e servono per aggregare su basi specializzate università, CNR, laboratori di eccellenza e altri soggetti con un ruolo, molto circoscritto, di alcune imprese.

Sono politiche che sono state fatte anche dalle Regioni da più di vent’anni, nel senso che già nei piani europei dei primi anni duemila,  dal 2005-2006  in poi, talvolta con impegni finanziari rilevanti e con un disegno a tavolino condivisibile.

Qual è il fatto? Che anche laddove hanno funzionato questi centri, i dove sono riusciti effettivamente ad aggregare competenze importanti, la finalizzazione produttiva di queste competenze non è semplice, e le attività di servizio non sono state sviluppate in modo adeguato. Perché? Perché l’idea di avere una struttura, magari anche bellissima dal punto di vista architettonico, non basta a convincere le imprese che sia utile per loro e spesso non sanno che lì ci sono delle competenze che possono essere utili per la propria attività.

Che mondo ho in mente in questo campo? Un mondo in cui la ricerca si fa dove si sa, come si sa e con chi c’è, e quindi a livello differenziato di scala, però molto spesso alto, quindi un livello internazionale o nazionale. La diffusione dei servizi e l’utilizzazione sul territorio dei risultati della ricerca dovrebbe essere viceversa un campo specifico e le regioni avrebbero un ruolo fondamentale per fare in modo che queste conoscenze siano diffuse sul sistema produttivo.

Questo richiede un progetto specifico fatto di molte azioni: fare un vero e proprio scouting sul territorio, sviluppare un’azione di assessment tecnologico presso un numero consistente di imprese attive, diffondere la conoscenza dei luoghi e dei contenuti della ricerca e altro ancora.

Insomma, si tratta di disegnare un modello organizzativo articolato e ragionato.

Non basta sapere se i centri di competenza sono finanziati dal ministero o dalla regione: spesso le imprese non sono affatto informate di questo e neppure sono interessate.

È un è un modo di vedere i rapporti tra istituzioni nazionali e regionali che non ha niente a che vedere con rapporti di potere e con distribuzione di risorse, ma ha a che vedere con una potenziale efficacia degli interventi.

Pietro Spirito vorrei che ragionassimo su un punto che a me sembra fondamentale per la potenziale perdita di competitività dell’economia italiana. Abbiamo deciso puntare sulla piccola e media dimensione nel settore produttivo. Ora decidiamo di puntare sulla piccola e media istituzione. Abbiamo in un qualche modo prima rinunciato  alla grande impresa, e ora stiamo depotenziando in modo grave  lo Stato. Non mi pare che si vada molto lontano con queste architetture al ribasso.  Ho cominciato a lavorare nella Montedison alla metà degli anni ottanta: c’era ancora l’istituto Donegani, un grande centro di ricerca,  che aveva innovato nella chimica di base con il polipropilene. Ho conosciuto la Telecom quando c’era ancora  la scuola Reiss Romoli, dove avevano sperimentato la telefonia mobile. Grandi centri di ricerca privati esistevano in questo Paese, ma sono stati distrutti con la morte della grande impresa. Credo che questa regionalizzazione dello Stato ci farà perdere anche la dimensione della ricerca pubblica nei grandi centri nazionali.Le Regioni si fionderanno come falchi rapaci sui  CNR locali, che  diventeranno delle microstrutture territoriali al servizio dei potentati locali. Insomma mi sembra un Paese inevitabilmente destinato al declino, se non capisce che la ricerca ha solo una  possibilità:  la grande dimensione, di cui poi, come tu hai detto giustamente, bisogna curare la permebiilizzazione sul territorio,  la capacità diffusiva. Ma se non crei massa critica non si potrà  mai diffondere, perché purtroppo la ricerca è una organizzazione che ha bisogno di fare salti di natura. La ricerca incrementale oggi non ha più nessun valore. È solo la  ricerca discontinua che fa la differenza. Quindi penso che non puntare sulla grande impresa, non puntare sullo Stato, sul centralismo, diciamo così, è un grave errore, perché la ricerca ha bisogno di centralismo, come le politiche industriali hanno bisogno di centralismo. Non ci possono essere i mille fiori delle politiche industriali. Io non ci credo.

Raffaele Brancati Non sono del tutto d’accordo con le cose che ha detto Pietro ma su alcune naturalmente sì. Non sono d’accordo né sulla visione catastrofista della perdita di competitività del Paese, che di fatto da oltre un decennio si è arrestata, e quindi non dobbiamo cadere in letture vecchie,  cioè “il sistema produttivo italiano allo sbando”, “ non tiene il passo”…  il sistema produttivo italiano, per come è, non è frutto solo di scelte strategiche, ricordiamoci che lo Stato non riesce a scegliere tutto, quindi non è che noi abbiamo puntato sulle piccole e medie imprese,  è che quelle si sono in qualche misura trasformate e hanno retto la competitività internazionale,  le grandi imprese si sono sostanzialmente  dissolte. I centri di ricerca che citava Pietro Spirito certamente erano un’eccellenza, ci aggiungerei anche il centro Montedison del penultimo periodo, quello di Raul Gardini che aveva  puntato molto su tecnologie che forse oggi sarebbero assai interessanti. Quel tipo di grande impresa è stato certamente distrutto dal potere politico, però che la grande impresa italiana non abbia retto e non riesca a essere competitiva è un fatto. E però la competitività complessiva del sistema industriale continua a essere  buona ,  complessivamente buona e tiene  su una serie di indicatori  molto importanti.

Cosa diversa naturalmente è dire  e parlare del sistema della ricerca. Il sistema della ricerca è certamente un sistema che non ha confini regionali, ma non li ha nella grande ricerca e non credo possa essere messo in discussione.

Nessuno si può sognare di fare un CERN regionale no? E quindi giustamente,  ci saranno non delle aquile, ma degli avvoltoi che si catapulteranno su piccoli centri  del CNR o sui centri universitari. Però anche la ricerca non così avanzata,  difficilmente ha  confini  regionali riferibili alla singola regione. L’esperienza di politiche per la ricerca regionale con i fondi strutturali è stata già fatta, sia pure a livelli molto più bassi e non è una grande soluzione anche per attività non riferibili ai grandi centri multinazionali: faccio un esempio  di un’impresa  piccolissima, che  fa storcere la bocca probabilmente a Pietro o a tanti altri  e che  non fa parte del sistema della ricerca nobile, tipicamente. Mi è capitato di incontrare un’impresa siciliana  che produce pane, una panetteria, attività tipicamente non considerata per i programmi di ricerca.

Questo imprenditore aveva un disegno: io faccio pane e lo faccio buono;   facendolo buono prima lo vendevo nel quartiere e poi in tutta la regione; quindi ho ampliato il mercato a tutte le regioni meridionali e adesso voglio anche esportarlo. Ho dei problemi specifici, devo allungare la vita del pane sugli scaffali (shelf life) mantenendo la qualità.

Per mantenere in buone condizioni il pane sugli scaffali ho bisogno di due cose: ricerca chimica sui sui lieviti e ricerca sulle sementi; mi sono informato ho saputo che all’Università di Palermo c’era un buon centro di ricerca sui lieviti, e sono andato lì a farmi fare  una ricerca specifica, e che all’università di Perugia,  c’era un centro per sementi e dintorni. Che cosa vuol dire?  Che pur in una struttura, diciamo così appunto non fantascientifica, non stiamo parlando di razzi che vanno su Marte o della concorrenza a Elon Musk nelle telecomunicazioni spaziali. Stiamo parlando di un panettiere innovativo:  persino nella panificazione il confine regionale non era sufficiente per lui, nel senso che per la ricerca andava a pescare dove poteva. Ma il vero problema è che lui questa caccia al tesoro delle competenze l’ha dovuta fare da solo. In una Regione come la Sicilia, dove si spendono veramente tantissimi soldi in sostegno delle imprese, la sua ricerca per migliorare il prodotto l’ha dovuta fare da solo, senza nessun supporto informativo e nessun aiuto della Regione e del governo nazionale.

L’aneddotica non porta lontano ma lavorare sui rapporti, sulla capacità delle imprese di accedere al mondo della ricerca, che non è solo il grande mondo della ricerca, non è solo quello che produce i premi Nobel come quello di Giulio Natta per il Moplen ricordato da Pietro Spirito, è doveroso ed essenziale.

Pietro Spirito  Mi pare che  questo racconto  del panificatore siciliano sia molto chiaro:  anche nelle strutture semplici e di piccola dimensione oggi c’è bisogno di innovazione, e l’innovazione si trova  dappertutto. C’è una  capacità diffusiva delle conoscenza  che richiede il massimo della libertà. E anzi il pubblico può favorire l’industria se riesce a rendere più trasparente la struttura di ricerca e i luoghi dell’innovazione. Ora,  secondo la tua visione come entra  la dimensione europea di questo percorso, perché ormai una parte della ricerca pubblica anche in Italia è finanziata dalle strutture comunitarie. L’Europa come si porrà rispetto a questo disegno? Come leggerà un eventuale trasformazione istituzionale italiana della ricerca che diventa materia regionale?

Raffaele Brancati  Guarda non ho idea. Certamente è in contrasto con quelle che sono le linee  recenti. Mi viene in mente  questa grande trattativa che c’è stata sulla localizzazione  di queste grandi imprese sulle batterie, oppure sulle localizzazioni di grandi impianti per i microchip.

Sono trattative che sono state fatte e sono in corso ad alti livelli nazionali. Quindi non vedo trattative regionali possibili in molti campi.  Considerando che sono appunto negoziazioni a livello europeo  e forse a scale anche  più ampie, perché talvolta si coinvolgono anche  Stati Uniti, multinazionali orientali.  C’è bisogno certamente di un coordinamento nazionale,  non vedo in nessun modo  una possibile efficienza  regionale in queste trattative, per  i semiconduttori , che io sappia ci sono appunto trattative con Samsung e con altri due colossi  planetari.  Che il Molise possa discutere con loro francamente ho qualche dubbio, forse  anche perché non conosco approfonditamente il Molise e questo lo devo dire.

Pietro Spirito  Adesso l’Europa credo che non stia interloquendo con l’Italia perché siamo alla vigilia di elezioni europee e giustamente la Commissione  a fine mandato non si sta occupando di queste vicende. Ma la nuova Commissione dovrà seriamente guardare  con attenzione a questo percorso di regionalizzazione dell’Italia, perché come al solito noi siamo sempre un pericoloso pesce pilota. Siamo un pesce pilota capace di condizionare anche gli altri Paesi: anche la regionalizzazione istituzionale è un’invenzione nuova, pericolosa per l’Europa.

Anna Maria Bianchi Ringrazio  moltissimo Raffaele Brancati, questo esempio della panetteria che diventa una realtà economica nazionale e che si rivolge e che fa ricerca lo trovo straordinario e molto indicativo delle potenzialità dell’Italia, di  tutta l’Italia, anche  la Sicilia e tante regioni del sud e di come potrebbero invece essere ulteriormente compresse nel caso che  vengano poi regionalizzate anche  materie come la ricerca scientifica.

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

(ultima modifica 2 aprile 2024)