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Intervista del Sole24ore al Presidente della Commissione speciale Periferie della Camera dei deputati: serve un Piano Marshall

corviale-3-gennaio-2015-7-foto-ambmPubblichiamo l’intervista a Andrea Causin (membro del gruppo FI-PDL) publicata dal Sole24ore Edilizia e Territorio del 21 agosto 2017* 

Periferie: Causin: «Sicurezza e sviluppo per rilanciarle, serve un Piano Marshall» di Alessandro Arona
Il presidente della Commissione: «Rendere stabile il Piano statale, con un mix di edilizia, lotta alla criminalità, aiuti start up e onlus»

«Serve un piano Marshall per le periferie italiane: ci vivono circa 20 milioni di persone (tra periferie delle grandi città e altre aree marginali) e lì si concentrano problemi come la disoccupazione giovanile, le difficoltà di integrazione con gli immigrati, il degrado edilizio e sociale, il controllo della criminalità e i relativi fenomeni dello spaccio, della prostituzione di strada, del racket delle case popolari. Dobbiamo farne una priorità nazionale».
A sostenerlo in questa lunga intervista è Andrea Causin, presidente della Commissione speciale di inchiesta della Camera sulle periferie, dopo un anno di lavoro a Montecitorio e con numerosi sopralluoghi e visite nelle periferie più degradate d’Italia.

«A novembre – spiega Causin – presenteremo una relazione sulla nostra attività di inchiesta e un docufilm (che stiamo facendo insieme alla Rai), ma presenteremo anche un pacchetto di proposte concrete. Dobbiamo ad esempio rendere stabile un programa statale annuale sulle periferie, con ingenti risorse (il piano periferie del governo da 2,1 miliardi di finanziamenti è stata un’ottima iniziativa, ma non basta). Poi servono misure di defiscalizzazione e aiuti alle start up, scegliendo con l’accordo della Ue specifiche aree degradate dove sperimentarle; poi misure di sostegno alle associazioni che sul territorio aiutano l’inclusione sociale; programmi di formazione innovativi, tarati sugli specifici territori di riferimentoe sulla loro economia (attuale e potenziale); e anche un ripensamento sulla depenalizzazione fatta in questi anni di alcuni reati minori, reati come spaccio di piccole quantità di droga, occupazioni abusive o ubriachezza molesta, che nella percezione collettiva contribuiscono molto al degrado del vivere comune e delle periferie».

«Siamo partiti dall’idea delle banlieue di Parigi e Bruxelles – spiega Causin – zone povere abitate da una sola etnia, enclave a forte rischio radicalizzazione, ma in Italia il problema principale delle periferie non è questo, anche perché il rischio di radicalizzazione islamica è fortemente attenzionato dalle nostre forze dell’ordine». «I problemi principali – prosegue Causin – sono invece l’asfissiante controllo della criminalità organizzata al Sud su attività economiche e case popolari, con preoccupanti fenomeni nuovi come la mafia nigeriana della prostituzione nel nord Italia o le bande di sudamericani a Milano. E poi la disoccupazione (specie giovanile) e l’emarginazione sociale, la forte concentrazione di anziani soli, immigrati, famiglie a rischio emarginazione. Il problema casa, che è riesploso negli ultimi anni, e la sua gestione quasi ovunque inefficiente e fallimentare e il peso che in esso hanno forme diverse di criminalità organizzata. I campi Rom. La mancanza di servizi, pubblici e privati».
«Il Piano periferie del governo è stata un’ottima iniziativa – ribadisce Causin – ma ora serve molto di più, un vero “Piano Marshall”, che non riguardi tutti i 120 capoluoghi ma solo le periferie davvero più degradate, e che non premi i vecchi progetti tirati fuori dai cassetti, con l’obiettivo della “cantierabilità”, ma spinga invece ad elaborare progetti più innovativi».

LA COMMISSIONE
La Commissione monocamerale di inchiesta sulle periferie è stata costituita dalla Camera dei deputati il 27 luglio 2016 con il compito di «verificare lo stato del degrado e disagio delle città e delle loro periferie, con particolare riguardo alle implicazioni socio-economiche e di sicurezza».
L’oggetto della commissione – spiega la delibera istitutiva – è interdisciplinare: deve verificare la struttura urbanistica delle periferie, lo stato delle infrastrutture e della mobilità;
ma anche le forme di povertà, marginalità e di esclusione sociale; le realtà produttive, la disoccupazione, il lavoro sommerso, l’esclusione dal processo produttivo; la situazione dei servizi; la sicurezza e la criminalità; la presenza di immigrati e i problemi di integrazione.
Presidente della Commissione è Andrea Causin, 45 anni, prima consigliere Pd in Regione Veneto, poi eletto con Scelta Civica nel 2013 alla Camera, passato poi in Ap di Angelino Alfano, infine (il 20 giugno scorso), confluito nel gruppo di Forza Italia.
Vice-presidenti sono Roberto Morassut (Pd) e Laura Castelli (M5S).
Da noi sentiti, tutti e tre confermano un buon clima di collaborazione in seno alla commissione (l’intervista a Morassute quella a Laura Castelli).

IL CONCETTO DI PERIFERIA
Anche sulla scorta delle audizioni del presidente dell’Istat Giorgio Alleva e del capo della Polizia Franco Gabrielli, Causin spiega che «le periferie non sono più in alcun modo identificabili solo come un luogo geografico, “lontano” dal centro città».
Franco Gabrielli aveva spiegato che le trasformazioni urbane degli ultimi decenni hanno «cambiato anche la nozione di periferia, mettendo a nudo l’insufficienza dei criteri classici della distanza dal centro e dell’esistenza di uno stato di marginalità sociale ed economica. Più di questi fattori assumono oggi rilievo le condizioni della qualità urbana, misurata su parametri afferenti ai livelli di sicurezza, di fruibilità e di vivibilità e l’incidenza che su di essi possono avere i fenomeni sia di degrado, quali la prostituzione da strada, sia criminali, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti. Il complesso di questi fattori sta all’origine delle dinamiche che portano le comunità dei quartieri più in sofferenza a smarrire il senso di appartenenza alla città, intesa come luogo condiviso, dove si sviluppano organicamente i rapporti tra gruppi sociali caratterizzati da varietà di comportamenti e culture». Gabrielli ha aggiunto che in Italia non siamo ancora alle enclave monoetniche e monoculturali di Francia e Belgio, «ma ma ciò non toglie che il rischio di una simile involuzione debba comunque essere preso in considerazione e che occorra adottare le misure necessarie affinché esso non si concretizzi».
Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva, ha invece spiegato come l’Istat, sulla base del censimento del 2011 ma anche (ove disponibili) di dati successivi, ha mappato le aree urbane delle grandi città sulla base di 8 gruppi di indicatori:
1) Territorio: indicatori di periferia sono la maggiore densità abitativa, la maggiore incidenza di edifici post-2005 (indice di espansione edilizia), il degrado edilizio (percentuale edifici residenziali in mediocre o pessimo stato di conservazione)
2) Demografico: più alta incidenza di popolazione anziana, ma anche di ragazzi 0-14 anni; più alta incidenza di stranieri.
3) Istruzione: indice di non completamento della scuola dell’obbligo; indice (basso) di adulti con diploma e laurea.
4) Economia/lavoro: più basso tasso di occupazione e più alto tasso di disoccupazione.
5) Vulnerabilità sociale: percentuale Neet (incidenza di giovani 15-29 anni fuori dal mercato del lavoro e della formazione); indicenza famiglie con potenziale disagio economico; tasso di alloggi impropri; indicatore di vulnerabilità sociale e materiale.
6) Valore immobiliare: stima del valore medio immobiliare.
7) Mobilità: indice di centralità (rapporto tra flussi pendolari in entrata e in uscita).
8) Servizi: bassa incidenza di addettiu ad attività creative e culoturali; pochi ospedali; pochi asili nido; offerta di servizi socio-educativi per l’infanzia rispetto alla domanda; indicatori di mancata affluenza scolastica, nei diversi ordini di scuole.

L’INTERVISTA A CAUSIN
Partiamo da qui, presidente, cosa sono le periferie, in Italia?
La periferie non sono un luogo geografico. Sono luoghi dove si concentrano le marginalità, il degrado delle case e degli spazi pubblici, le marginalità sociali, la disoccupazione, la solitudine degli anziani, la conflittualità dove più alta è l’incidenza degli immigrati, la scarsa qualità dei servizi, e soprattutto al Sud il controllo da parte della criminalità organizzata. Gestiscono loro, al posto delle istituzioni, alcune pratiche, come l’accesso alle case popolari, e dunque le occupazioni abusive. Anche a Roma esistono fenomeni di questo tipo, purtroppo, mentre al Nord abbiamo – parlando di criminalità organizzata – l’espansione della mafia nigeriana che gestisce la prostituzione.

Quanto pesa il tema sicurezza sulle periferie?
L’audizione del prefetto Gabrielli ci ha informato di una sensibile diminuzione del numero di reati “violenti” in Italia negli ultimi anni, e del fatto che non c’è una sensibile differenza tra aree centrali e periferie. Questo grazie all’azione efficacie delle forze dell’ordine e all’effetto deterrente dell’operazione Strade sicure. Tuttavia c’è anche un'”illusione statistica” dovuta alla depenalizzazione di una serie di reati minori, come lo spaccio di piccole quantità, le occupazioni abusive, ubriachezza molesta. Penso che la commissione proporrà un ripensamento su queste depenalizzazioni.

Quali sono dunque, in base al lavoro della Commissione, i problemi più gravi delle nostre periferie?
La debolezza economica è un tema chiave, lo spopolamento di attività economiche, piccole attività commerciali o artigianali. Ed è un tema che si intreccia con quello della criminalità organizzata, perché al Sud il peso asfissiante delle mafie impedisce la crescita dell’economia, specie nelle periferie. A Bari San Paolo, ad esempio, ci sono 50mila abitanti e praticamente nessuna attività economica.
Poi c’è il problema della marginalità sociale, ad esempio a Milano ci sono quartieri dove un alto tasso di anziani soli si trova a convivere con famiglie di immigrati, con problemi di integrazione e di incomprensione culturale. In questo un importante ruolo lo svolgono le associazioni che fanno “mediazione” sociale e culturale, e che vanno aiutate.
Il problema “campi Rom” è diffuso, non solo da noi ma in molti paesi europei. Ad esempio abbiamo verificato che spesso i campi Rom gestiscono un traffico di smaltimento illegale di rifiuti (da qui i roghi tossici), che ovviamente viene alimentato anche da imprese gestite da italiani, in genere piccole attività edili o artigianali. La soluzione qui può essere solo un forte controllo sulla legalità, da parte delle forze dell’ordine e della polizia locale, e un forte lavoro di integrazione sui bambini, a partire dalla scuola. In molti casi la situazione rischia di degenerare, le vittime di reati o comunque il quartiere che subisce il degrado ha paura di denunciare.
Le periferie, lo spiegava il presidente dell’Istat, si definiscono poi in particolare per un alto tasso di disoccupazione, per un’alta percentuale di dispersione scolastica e di gioveni che non studiano e non lavorano (Neet). Per il degrado edilizio e la più grave presenza del problema casa.

Come metterete a frutto, come commissione, questo lavoro di inchiesta?
A novembre presenteremo la relazione conclusiva, alla presenza del capo dello Stato, e anche un docu-film a cui stiamo lavorando insieme alla Rai. Insieme alla relazione faremo delle proposte: per le periferie italiane serve un vero e proprio “Piano Marshall”, fatto di sicurezza, sviluppo e programmi speciali da rendere stabili.

Partiamo dal Piano periferie del governo Renzi, ora in attuazione con Gentiloni. Come lo giudica onorevole Causin?
Sicuramente un’ottima iniziativa, ma il tema ora è come renderlo strutturale, e come migliorare il coordinamento dei vari piani e dei vari soggetti statali e locali che operano sulle aree urbane. Un programma integrato statale va confermato, senza dubbio, servirebbe un piano decennale, con un bando ogni anno per selezionare i progetti. Però credo che finanziare tutti i 120 capoluoghi di provincia sia sbagliato: le risorse andrebbero concentrare nelle città metropolitane, o sulle aree davvero più degradate dei centri minori, altrimenti si rischia di disperdere le risorse. Un altro difetto del Piano Periferie 2016-2017 è stato poi di premiare i progetti “cantierabili”, il che ha spinto a svuotare i cassetti con i progetti già pronti, che spesso erano solo liste di opere pubbliche. Sicuramente ci sono stati progetti interessanti, frutto di integrazione tra interventi fisici e interventi sociali, con il coinvolgimento attivo di enti e associazioni, ma comunque è stato sbagliato finanziare tutti.

Dunque secondo lei cosa dovrebbe essere maggiormente premiato?
Va premiata la co-progettazione, cioè il coinvolgimento di soggetti locali, soprattutto associazioni ed enti no profit, solo alcuni dei 120 progetto finanziati lo hanno fatto. Poi andrebbe allargato il raggio d’azione rispetto alla sola parte infrastrutturale, che finora ha prevalso. Ci siamo resi conto che le associazioni hanno spesso un ruolo chiave nell’inclusione sociale, delle famiglie disagiate, dei giovani disoccupati, degli immigrati. Andrebbero aiutate e finanziate in modo più deciso e continuo. Ci sono stati alcuni casi virtuosi, mi sento di citare Torino, Milano, Bari.

Il sindaco di Roma Virginia Raggi e la vice-presidente della Commissione Laura Castelli (M5S) pongono un problema di scarsità di risorse da parte dei Comuni, soprattutto le grandi città, in proporzione alla mole dei problemi che devono affrontare, che ne pensa?
Il tema risorse non va sottovalutato… Ma quando si chiedono più soldi poi va fatto un patto, tra i Comuni e lo Stato: bisogna impegnarsi a garantire un certo standard nei servizi, sia in termini di costi (standard) che di qualità. I Comuni forse hanno pochi soldi, ma vengono spesso spesi male. Troppa gestione diretta dei servizi, poco coordinamento. Le gare dovrebbero essere secondo me il criterio giusto per assegnare la gestione dei servizi.

Torniamo ai problemi delle periferie. Citava quello dei campi Rom…
Sì. Abbiamo scoperto che spesso gestiscono un traffico illecito di riufiuti, alimentato da piccole attività industriali e artigianali che possono così liberarsene a costi irrisori. Come se ne esce? Solo con un rigoroso controllo della legalità (come fanno in Germania), e dall’altra parte lavorando con progetti specifici per inserire i bambini e i ragazzi nella scuola e nelle società.

L’altro tema che citava è quello della disoccupazione, specie giovanile.
Bisogna lavorare di più su progetti di formazione, legati al territorio e all’autoimprenditorialità. Bisogna scommettere molto sulla micro-imprenditorialità. Sapendo però che in quasi tutte le periferie del Sud tutte le attività commerciali e imprenditoriali sono a rischio taglieggio. Secondo noi non si fa ancora abbastanza, e in alcune realtà, come Palermo, c’è una certa accettazione del fenomeno, pensando che i veri problemi con la Mafia siano altri. Ma anche la quasi totale assenza di attività economiche al San Paolo di Bari, una “città” di 50mila abitanti, viene in qualche modo accettata come un fatto ineluttabile.

Cosa fare, dunque?
Proporremo una de-fiscalizzazione delle periferie, scegliendo e ovviamente concordando con la Ue un’applicazione selettiva ad alcune aree più degradate. Bisogna investire sulla riqualificazione edilizia ma anche sul rilancio economico delle periferie. Ad esempio a Scampia, Napoli, c’è un progetto molto interessante: si demoliscono le “Vele”, trasferendo gli abitanti su nuove palazzine. Ma come noto c’è un’umanità complessa, a forte disagio economico e sociale, il piano funzionerà solo se ci sarà anche l’integrazione sociale con il resto della città, e se si darà lavoro ai giovani.
Al Sud, poi, bisogna investire sul turismo per dare lavoro ai giovani, settore che ha alta intensità di manodopera. Ma per far questo bisogna investire di più nella sicurezza del Sud, e favorire anche l’investimento di capitali esteri con la certezza dei tempi e delle procedure.

Il problema casa, spesso proprio nelle periferie esplode….
Sì, negli ultimi anni la domanda abitativa “sociale”, delle fasce più deboli, è aumentata. A causa della crisi, e nonostante il calo demografico. I dati ufficiali sono quelli di Federcasa, 1,4 milioni di abitazioni sociali e 600mila famiglie aventi diritto. Il patromonio abitativo è però in generale gestito male, e se uno guarda i bilanci degli enti sono quasi sempre fallimentari. Ma non è fallita solo la gestione economica, è fallito proprio il modello di gestione. Non solo per incapacità, ma anche per problemi normativi. Quando si accetta che in una città come Roma ci siano 8.000 alloggi occupati abusivamente, su circa 45mila occupanti regolari, c’è qualcosa che non va. Non parliamo della Sicilia, poi… a Palermo non ci sono praticamente occupanti regolari. Con alloggi in gran parte gestite dalla criminalità. Che poi non vuol dire che quelle famiglie non siano in condizioni di bisogno, ma vuol dire che il criterio di ingresso in quegli immobili non lo dà lo Stato ma l’organizzazione criminale. Anche a Roma, d’altra parte, ci sono organizzazioni che gestiscono gli ingressi. La Mafia abbiamo stabilito che non esiste a Roma, ma ci sono micro-organizzazioni criminali di quartiere che gestiscono l’accesso alle case popolari e le occupazioni. Andammo a San Basilio dopo la vicenda di quella famiglia marocchina respinta dagli abitanti del palazzo; si parlò di fenomeno razzista, ma il parroco ci spiegò che non era affatto così: il punto era che secondo il capo palazzina quella famiglia non doveva entrare. L’aveva stabilito il Comune che doveva entrare, e ammettere che a decidere fosse il Comune avrebbe voluto dire sovvertire una dinamica di potere e anche di micro-economia, perché poi sono i capi-palazzina, piuttosto che il Comune o l’Aler, a incassare gli affitti. E perché spesso nelle palazzine di case popolari ci sono centrali dello spaccio.

Le forze dell’ordine si sono arrese, non solo a Roma, in generale?
Nooo, le forze dell’ordine stanno facendo un buon lavoro, ma in alcune aree complicate ci sono pochi mezzi e poco personale. Comunque tornando alle Ater/Aler c’è ancora un ambiente molto conservativo, la nostra impressione è che ci sia una microeconomia che campa intorno agli ex Iacp. Ci sono 1,4 milioni di case pubbliche ma anche 400mila immobili commerciali, è un patrimonio immenso, ci deve essere un modo per gestirlo meglio! Molte case sono di qualità, eppure spesso i canoni sono bassissimi, la morosità è elevata, le case sono mal tenute e lasciate inutilizzate. Bisogna approfondire il tema di come valorizzare meglio e in modo più efficiente questo patrimonio.

Da cosa è rimasto colpito nell’attività conoscitiva, nei sopralluoghi in giro per l’Italia che avete fatto come commissione?
Dalla vitalità delle associazioni, dei volontari. Nello sport, nel difendere le donne dalla violenza, nel recupero dei carcerati, anche nel rendere vivibili gli spazi pubblici. E poi nell’inclusione sociale delle fasce più deboli. Queste attività vanno aiutate, di più e con regolarità.

Veniamo dunque alle conclusioni….
Come accennavo a novembre presenteremo la relazione sul nostro lavoro e il docu-film, ma anche un pacchetto di proposte che lasciamo al governo e al parlamento per aiutare le periferie. Stiamo lavorando in ottimo clima di condivisione all’interno della commissione, i vice-presidenti Morassut (Pd) e Castelli (M5S) sono colleghi di altissima qualità, e con legami solidi con i loro partiti di riferimento.

* http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/citta-e-urbanistica/2017-08-18/sicurezza-e-sviluppo-rilanciare-periferie-causin-serve-piano-marshall-150131.php?uuid=AEZ2scEC&refresh_ce=1

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