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Parliamo di Roma: Roma? Brucia

Secondo il sito InsideAirbnb, gli annunci di affitto casa postati per Roma sul portale che fu di sharing economy sono quasi 30 mila. Naturalmente molti si ripetono, ma circa due terzi sono case intere. E naturalmente una buona parte delle case intere si trova in centro. Sul sito che analizza i dati attraverso le pagine di annunci – perché la multinazionale di dati non ne fornisce – leggiamo che in città ci sono 15 mila famiglie in graduatoria per le case popolari e circa 30 mila studenti fuori sede. Esagerando un po’ viene da dire che l’industria semi-informale del turismo è una delle poche cose che vanno bene a Roma. Una parte considerevole dell’offerta non è fatta da seconde case, ma da proprietà multiple dello stesso padrone che ha così un’attività economica visibile ma difficile da tassare. Sotto alle 30 mila case, alle case vacanza e ai b&b più tradizionali c’è un fiorire di attività: in centro hanno aperto diverse agenzie di servizi per case in affitto temporaneo e più di una lavanderia industriale. Se vi dovesse capitare di vedere immigrati o italiani malmessi con delle buste blu Ikea piene di lenzuola, sappiate che stanno andando a cambiare i letti in qualche stanza “vista Colosseo” (per poi tornarsene con un autobus scassato fuori dal Raccordo a dormire).

Poi ci sono le auto Ncc, centinaia di furgoni neri che prelevano i turisti e li portano a spasso evitando loro di dover salire su un mezzo pubblico. In questo caso il lavoro è anche con il turismo tradizionale: per certo ai nuovi ricchi di Cina, Russia, India piace essere portati in giro dalle “limo” nere invece che dal torpedone.

Il fenomeno non è naturalmente solo romano, ma a Roma è particolarmente grande e visibile. E, appunto, sembra essere, assieme alla ristorazione, l’unica cosa che tira. L’ultimo Rapporto della Camera di Commercio di Roma sull’economia della Capitale (quarto trimestre 2017) segnala come le imprese il cui numero cresce siano quelle della ristorazione, del noleggio trasporti, delle agenzie di viaggio, spesso avviate da imprenditori stranieri. Cala il numero di artigiani e di imprese manifatturiere, mentre il commercio è in attivo grazie all’apertura dei mini-market dei bengalesi.

Poi ci sono le buche, gli alberi che cadono, le fermate della metropolitana chiuse da mesi, i sacchi della spazzatura dilaniati dai gabbiani emigrati in massa dopo la chiusura della discarica di Malagrotta, la auto parcheggiate ovunque. E un governo della città fatto di micro-interventi venduti come grandi progetti e l’assenza totale di una visione su cosa debba essere una città metropolitana e capitale nell’Anno Domini 2019. Il risentimento dei romani nasce da una vita che negli anni si è fatta difficile e che non sembra avere prospettive. E finisce, come nei casi di Torre Maura e Casal Bruciato, con il prendere brutte strade. Ma se si guarda allo stato di degrado in cui vengono lasciate le case popolari, l’assenza di servizi e di manutenzione, l’incidenza di criminalità e il basso tasso di scolarizzazione, beh, c’è poco di cui meravigliarsi. Su questo il lavoro di analisi dei dati fatto da Enrico Puccini con Casaroma e dai tre di Mapparoma è encomiabile e sarebbe utilissimo a degli amministratori che volessero ascoltare: ci sono situazioni esplosive, specie fuori dal Grande Raccordo Anulare, che ormai è una parte imponente della città.

Naturalmente gli episodi di Torre Maura e Casal Bruciato sono anche figli della mediatizzazione, dell’abile capacità di CasaPound di portare gente laddove c’è un possibile episodio di guerra tra poveri immigrati o rom e italiani. Ma è un segnale come un altro: in fondo dopo la sindacatura Veltroni (che non seminò granché e visse del lavoro fatto dalle giunte precedenti) i romani hanno prima votato l’opposizione neofascista di Alemanno, poi si sono ribellati al Pd locale scegliendo il marziano Marino (sindaco di minoranza) e, infine, hanno plebiscitato l’offerta “prendetevela con la politica” di Virginia Raggi. Tre voti di protesta in fila.

Partiamo da questo quadretto desolante per raccontare della discussione attorno al dossier monografico del numero 2/2019 del “Mulino”. A discutere erano alcuni degli autori del dossier stesso: Vittorio Emiliani, Walter Tocci, Nunzia Penelope ed Edoardo Zanchini, insieme a Mario Ricciardi.

Senza fare una cronaca evidenziamo alcuni aspetti cruciali e una notizia. Il primo è quello raccontato da Emiliani, che ha spiegato bene come sia la storia stessa dell’istituzione capitale del regno, dell’Italia fascista e della Repubblica a contenere in nuce alcune falle. Lo spostamento della Capitale in una città dedita alla pastorizia, senza avere un piano e un’idea di cosa farne, non è stata una scelta ben fatta. Così come non lo è stata l’idea mussoliniana, che fece smontare centinaia di chilometri di ferrovie tramviarie perché intaccano l’aspetto imperiale e che oggi servirebbero come il pane. E che dice molto sulla qualità del governo fascista.

Il secondo aspetto è quello detto in maniera diversa da Walter Tocci ed Edoardo Zanchini: con il 2008 si esaurisce un ciclo di storia della Capitale, quella che vive la città non è una crisi dovuta al malgoverno – che non aiuta – ma qualcosa di molto più profondo. Si sono esaurite le rendite che hanno fatto vivere e crescere la città. Roma non è più attrattiva, la burocrazia ministeriale è meno centrale per il Paese di quanto non fosse in passato, il settore immobiliare è in crisi e (questa è una fortuna) si guarda bene dall’investire in nuove lottizzazioni. Semmai spera nello stadio.

Questa crisi di senso e l’assenza di un’idea richiedono dunque gran fantasia e coraggio. L’esaurirsi delle rendite storiche rende inimmaginabile l’idea di “Make Roma Great Again” nel senso di un ritorno al passato. Ma il presente è fatto ancora di piccolo potere delle burocrazie, dove si staglia l’ombra dei colossi mal gestiti di Ama, Atac e Acea e dove cresce la nuova micro rendita da Airbnb e nuovo lavoro che in una città in crisi è una tipica lobby/pacchetto di voti contro cui nessuno si mette – come i tassisti o i commercianti ambulanti guidati dalla famiglia Tredicine. Ostacoli enormi a chi volesse pensare a prendere delle strade nuove.

Per avviare una conversione ecologica, capace di adattare la città al cambiamento climatico e contrastarlo, serve coraggio, una classe dirigente ambiziosa e immaginifica che abbia il consenso della città. Difficile a dirsi e a farsi. Alcune cose capiteranno comunque: le biciclette in città sono aumentate in maniera esponenziale nonostante i pericoli, le buche e l’assenza pressoché totale di piste ciclabili non “ricreative”. Ma governare le novità, incentivarle avendo in mente un’idea di futuro renderebbe ogni passaggio migliore e più efficace per far nascere una Roma diversa. E avere un sistema dei trasporti favorirebbe il diradarsi del traffico e la vivibilità: Roma è la città con più auto circolanti – non procapite – cui vanno aggiunti i furgoni delle ditte edili che arrivano dalla provincia, così come centinaia di Ncc e migliaia di pendolari a quattro ruote. In alcune aree della città manca lo spazio fisico per parcheggiarle.

Che fare allora? Walter Tocci non vede il bicchiere necessariamente mezzo vuoto. L’ex vicesindaco che di quella vicenda dice in sintesi (mia), più o meno: “Abbiamo accompagnato la città in un’era di cambiamento, ma non abbiamo saputo pensarne una nuova. Penso che ci sia del lavoro possibile da fare. C’è una società viva a Roma che non si vede, che emerge di quando in quando, che lavora nelle periferie, che prova a fare impresa, che torna a governare e raccoglie consensi nei municipi dove il Movimento 5 Stelle è naufragato in pochi mesi”.

In effetti ci sono progetti molto visti sui media, perché in centro storico, come quello del Piccolo cinema America e tentativi di fare community organizing a Tor Bella Monaca, case editrici, artisti, gruppi informali di madri, manifestazioni cittadine che crescono dal basso, l’esperienza di Grande come una città. E poi naturalmente Baobab, tra le cose buone della Roma di oggi forse è la più importante, visibile e duratura nonostante le condizioni molto difficili in cui opera. È pensabile fare rete, cominciare a pensare a una Roma diversa a partire da queste esperienze e associando ad esse il know-how di ricercatori non bolliti? Tocci ritiene di sì. Ma a un patto: i partiti, che non svolgono più una funzione centrale e non appaiono avere un’idea del futuro della città, devono fare un passo di lato. Tocci ha proposto l’idea di una sola lista civica di centrosinistra che raccolga quanto di buon c’è in circolazione. Attenzione, non una lista civetta fatta di nomi di pregio, ma risorse civiche reali, che esistono nei luoghi e che hanno un’idea dei territori. Per un’operazione del genere, credo, si parte tutti alla pari, non c’è una posizione di rendita, e pure i cascami di una stagione disastrosa vanno messi da parte. L’idea, che qualcuno certamente ha in testa, che il disastro della Raggi e la debolezza delle potenziali candidature di destra porteranno in Campidoglio chi riuscirà a farsi incoronare candidato sindaco dello schieramento di centrosinistra, è sbagliata. Servono lavoro e umiltà veri. Da domani. Altrimenti, assieme al “cadavere” politico di Virginia Raggi, sul Tevere vedremo passare anche quello della sinistra romana. Non sarebbe la prima volta.

 

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