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Perchè chi racconta che a Roma il problema sono le “occupazioni” vi dice una balla

(da un post su Facebook di Alessandro Coppola)

(foto ambm)

Ritualmente ad ogni campagna elettorale romana qualcuno promette la linea dura sulle cosiddette “occupazioni” in nome della “legalità” (da ultimo, Calenda*). Ovviamente è un’operazione molto facile e del tutto semplificatoria. Perché la legalità costituzionale prevede non solo la protezione della proprietà privata, ma anche il dovere dello Stato di garantire un uso della proprietà pubblica e privata che persegua anche fini sociali (e da questo punto di vista a Roma anche l’abbandono e inutilizzo di vaste componenti del patrimonio publico e privato, specie a fronte di una domanda elevata, è un’enorme questione di legalità, ma ovviamente decisamente più scomoda e difficile dell’andare dietro alle “occupazioni”). E anche perché le “occupazioni” sono una componente di piccole se non trascurabili dimensioni di una più ampia questione di “sregolazione” delle modalità di accesso al patrimonio costruito a Roma. Se la prospettiva è lo sgombero, bisognerebbe sgomberare a Roma decine di migliaia, se non forse centinaia di migliaia di residenti e soggetti che utilizzano determinati immobili. Cosa facciamo con le decine di migliaia di famiglie che non hanno mai ricevuto risposta alla loro domanda di condono edilizio (800.000 persone a Roma vivono in aree di origine abusiva), e non l’hanno ricevuta perchè realisticamente se la ricevessero sarebbe negativa e dovrebbero quindi abbattere l’immobile in cui vivono? E che facciamo anche con quelle famiglie, decisamente meno per la ragione di cui sopra, che invece l’ordine di demolizione lo hanno ricevuto ma che non procedono a demolire? E delle centinaia di famiglie (in prevalenza anziani) della Borghesiana, i cui immobili stando alla magistratura sono stati realizzati su proprietà non loro (lottizzazione abusiva fra i 60 e 70 con conflitti successivi e non certo molto chiari sulla proprietà dei fondi)? E, allo stesso modo, cosa facciamo con le (credo) migliaia di famiglie che vivono in alloggi pubblici pur avendo oggi posizioni reddituali e patrimoniali che non gli permetterebbe di avervi accesso (e che sono sicuramente di più della tanto discusse “occupazioni”)? E invece che facciamo con i promotori immobiliari che truffando lo stato hanno venduto a prezzo pieno immobili in regime di convenzionamento nei Piani di zona, mentre il Comune allo stesso tempo non incassava il riscatto del cosiddetto “diritto di superficie” (danni erariali notevolissimi, altro che occupazioni)? E passando invece agli immobili non residenziali, quando si parla di “occupazioni” si dovrebbe guardare non solo a quelle che sono note, anche perché sono associate a un certo a un orientamento politico, ma anche a un qualche servizio fornito (servizi poi non più erogati dopo sgomberi che spesso si risolvono in abbandoni). Ad esempio si parli degli oltre cento centri sportivi di proprietà comunale gestiti da decenni in concessione (fra i quali alcuni in posizioni ineguagliabili, con rendite enormi) e di cui nessuno ha la percezione che siano strutture pubbliche (provate a chiedere a un Roma se il comune dispone di una rete di attrezzature sportive paragonabili a quelle comunali che ci sono ad esempio a Milano, vediamo che vi rispondono). E potremmo continuare. Che facciamo con questa lunga lista di fattispecie? Li sgomberiamo tutti?

Questo per dire che non è che a Roma esiste il “problema occupazioni”. Esiste una condizione ben più complessa e straordinariamente vasta e multiforme di sregolazione nell’accesso al patrimonio costruito e che, onestamente, non vede nelle occupazioni abitative il caso né più rilevante, né eticamente più allarmante: una varietà di gruppi sociali nel tempo si sono creati la propria strada per accedere alla proprietà o all’uso di un immobile, in modi decisamente non ottimali dal punto di vista della giustizia, ma fortemente condizionati da meccanismi di mediazione politica (e sicuramente, fra i diversi gruppi sociali, chi si trova a vivere in un edificio abbandonato lo fa perché spinto da un bisogno, ad occhio). Ognuno può avere legittimamente la propria opinione sulla legalità (se quella attuale sia giusta, sbagliata, etc etc), ma al di là della mia personalissima opinione penso che entro la legalità costituzionale (finalità sociale della proprietà privata e rimozione degli ostacoli allo sviluppo della persona umana: questi devono essere necessariamente i due caposaldi) vi sia la possibilità anche a Roma di fare dei grossi, decisivi passi in avanti dal punto di vista delle politiche abitative e di gestione del patrimonio.

Però, ecco, chi vi racconta che il problema numero 1 sono le “occupazioni” vi dice una balla e ad occhio non sarà in grado di risolvere problemi gravi, profondi e radicati. O forse più semplicemente non vuole.

Alessandro Coppola

22 giugno 2021

Per osservazioni e precisazioni: laboraatoriocarteinregola@gmail.com

NOTE

(*) Il riferimento è alle polemiche, cominciate da un tweet di Carlo Calenda (candidato Sindaco di Azione) che criticava la scelta dei candidati alle primarie del centro sinistra di partecipare a un confronto nel palazzo Spin time occupato da anni (Vedi https://www.romatoday.it/politica/elezioni/roma-2021-comunali/occupazioni-a-roma-dibattito.html)

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