Perché le periferie romane sono sempre pronte ad esplodere?
Autore : Redazione
di Maria Cristina Antonucci
(da Lenius.it)
La ciclicità di notizie relative a rivolte urbane nelle periferie di Roma stimola riflessioni approfondite sulla specificità di queste aree: quali sono i problemi delle periferie romane? Cosa si può fare per migliorare la condizione socio-economica delle popolazioni che le abitano?
La nostra analisi si sviluppa su tre fronti: geografico, socio-economico e politico. Sono tre fronti che si intersecano e che a Roma assumono contorni unici nel panorama italiano.
1. La dimensione geografica del disagio urbano delle periferie di Roma
Roma è la più estesa realtà cittadina italiana: con i suoi 1.290 chilometri quadrati e i suoi 2,9 milioni di abitanti (che diventano cinque, se consideriamo i city user quotidiani) essa rappresenta un’unicità di forma urbis tra le città italiane.
In pratica il territorio amministrativo del comune di Roma è grande tanto quanto quello delle altre grandi città italiane sommate. Ancora: ciascuno dei 15 Municipi in cui si articola l’estensione di Roma Capitale è popoloso come città italiane di medio-grandi dimensioni, con una popolazione tra i 140 e i 300 mila abitanti.
Il Municipio VII sarebbe l’undicesima città italiana, prima di Venezia, Padova, Trieste. Il Municipio VIII, il meno popolato, è comunque più grande di città come Bergamo, Trento, Ancona, Pescara.
L’estensione slabbrata del territorio su cui si sviluppa l’area cittadina e la distribuzione a macchia di leopardo dei suoi abitanti costituiscono un reale problema di governo dello spazio urbano: la gestione centralizzata prevede che sia il Comune a garantire la realizzazione e l’effettività di opere di urbanizzazione primaria (strade, parcheggi, fognature, rete idrica, rete di distribuzione del gas e dell’energia elettrica, illuminazione pubblica) e secondaria (asili e scuole dell’obbligo, mercati, delegazioni comunali, chiese, aree verdi e impianti sportivi, attrezzature sanitarie).
Un numero molto ampio di servizi essenziali per la vita collettiva deve essere recapitato alla più grande conurbazione di cittadini sparsi su un territorio estesissimo, secondo modalità di decisione e implementazione centralizzate.
Questa conformazione territoriale e di popolazione costituisce un primo motivo di disagio, laddove complica l’erogazione e la gestione dei più essenziali servizi urbani per Roma Capitale, rendendo la vita quotidiana per i romani un notevole esercizio di pazienza.
Piani urbanistici troppo ambiziosi in passato o poco tempestivi nel controllare e gestire l’allargamento smisurato dello spazio cittadino, più di recente, hanno prodotto questo esito di impossibilità della gestione urbana oggi.
Questa configurazione ha avuto conseguenze negative soprattutto per le periferie, e in particolare ha determinato grandi problemi per l’accesso ai servizi di urbanizzazione per le periferie “non storiche” romane, ovvero di più recente costruzione, specialmente lungo la zona di espansione orientale e meridionale, aggravati dalla difficile erogazione di servizi di trasporto pubblico locale in grado di connettere le aree periferiche con il centro e tra esse.
Specifico disagio spaziale riguarda gli abitanti delle periferie che si spostano per motivi di studio, lavoro, famiglia, salute da un quadrante (Nord Est/Nord Ovest, Sud Est/Sud Ovest) al quadrante opposto, in carenza di adeguati mezzi pubblici o di un sistema di accessi viari adeguato alla popolazione odierna e alla relativa distribuzione.
Sintomo di tale disagio è la recente notizia relativa ai tempi passati nel traffico da parte dei cittadini romani: 242 ore nel corso dell’anno passate in auto, con le conseguenze di stress connesse.
2. La dimensione socio-economica del disagio delle periferie romane
Alla difficoltà di abitare uno spazio urbano con servizi difficilmente accessibili, si accompagna la condizione economica e sociale di molte aree periferiche romane, specialmente nelle parti di più recente costruzione.
Secondo i dati riportati dal sito di Roma Capitale (pdf), l’indice di disagio sociale è maggiormente presente nei Municipi IV, V e VI, la zona sud-est della capitale.
Tale indicatore fornisce una misura della possibile criticità socio-occupazionale di una determinata area, in ragione della presenza di condizioni quali: disoccupazione/inoccupazione, basso indice di scolarità, presenza di famiglie con disagio economico.
Nei Municipi V e VI, a tale condizione di disagio sociale si affianca la maggior presenza di stranieri residenti nella Capitale, rendendo molto complesse le basi della convivenza tra soggetti differenti.
In contesti economici privi di prospettive occupazionali, in quartieri privi di servizi essenziali e con un’elevata contendibilità per l’accesso a posizioni occupazionali ed esistenziali dignitose, abitati da una popolazione dotata di limitati strumenti di scolarizzazione, l’inserimento di quote numerose di popolazione di origine straniera rende potenzialmente esplosiva una convivenza già difficile in ragione delle condizioni di contesto.
Non solo: in Municipi quali il IV (San Basilio), il V e il VI (le varie Torri, tra cui Tor Bella Monaca e la Torre Maura salita alle cronache nel 2019), sono collocati i due terzi dei circa 74 mila alloggi di edilizia residenziale popolare, assegnati in locazione a famiglie in condizioni di emergenza alloggiativa.
In un contesto di graduatorie per l’assegnazione bloccate da anni, in queste periferie romane si concentrano condizioni di disagio economico, sociale, di carenza nell’accesso ai percorsi scolastici, di disoccupazione, sommati ad ulteriori motivazioni di difficoltà, come la presenza di condizione di disabilità, età avanzata, affidamento ai servizi sociali.
È comprensibile, anche se non giustificabile, che in un simile contesto, qualsiasi decisione presa dalle autorità amministrative a Piazza del Campidoglio 1, che preveda la collocazione di qualsivoglia tipo di esternalità problematica necessaria alla città (discarica, inceneritore, allocazione di centri di accoglienza, sistemazione alloggiativa di famiglie appartenenti alla comunità Rom Sinti e Camminanti) venga percepita come peggiorativa di condizioni di vita già difficili.
In questa miscela irrisolvibile di disagio economico, assenza di opportunità, mancato accesso ai servizi, limitata scolarità, difficoltà di convivenza interculturale, prospera la criminalità organizzata, che ha compito facile nel reclutare personale per i propri traffici illeciti.
3. La dimensione politica del disagio urbano delle periferie romane
A fianco di tali condizioni di difficoltà, nelle periferie romane esiste (sin dai tempi in cui il Professor Ferrarotti scriveva Vite da baraccati e Vite di periferia) una condizione di ben percepita sotto-rappresentazione politica degli abitanti delle periferie romane.
Nella percezione dell’esclusione dalle decisioni che impattano sulla vita delle periferie e nel generale senso di sfiducia che riguarda tanto l’azione delle istituzioni locali quanto le proposte dei partiti, germoglia nella popolazione delle periferie un’impoliticità che facilmente diventa preda dell’offerta di movimenti estremisti, in grado di offrire una risposta identitaria e reattiva alle condizioni di difficoltà materiale e morale che connota queste comunità.
Non una proposta politica vera e propria, ma una serie di risposte tampone alle esigenze sociali che rimangono inevase dalla dimensione istituzionale (come i pacchi di aiuti alimentari destinati ai soli italiani), connotate da un’ideologia super-semplificata, generalmente orientata all’estrema destra e all’antipolitica.
Così, secondo i dati geolocalizzati da MappaRoma sulle elezioni politiche del 2018, la Lega, insieme con i partiti di destra, ottiene i maggiori consensi (dal 35% al 45% del totale) nei Municipi VI, VIII, XII, XIII, XIV, laddove la coalizione di centro-sinistra e più in particolare il PD ottiene il medesimo risultato nei Municipi I e II, i più centrali, serviti e con popolazione con elevati indici di benessere economico.
In questo contesto, l’amministrazione centrale di Roma non ha saputo negli anni costruire azioni politiche convincenti. L’assenza di politiche per la ricucitura delle periferie con il resto del tessuto urbano è stata segnalata, a livello nazionale, dal Senatore Renzo Piano, nel corso del 2016. Tale necessità appariva ancora più drammatica e cogente in un contesto metropolitano come quello romano, dove i danni da assenza di politiche specifiche si sommano alle carenze di una politica di visione e di amministrazione della città eterna che risale al periodo Rutelli-Veltroni.
Al netto del giudizio politico sull’operato di tali amministrazioni, si fa qui riferimento all’esigenza, non più espressa da allora, di individuare un’idea di città, con insito un modello di sviluppo anche a medio e lungo termine, e trovare, a seguito di questa, gli strumenti, i canali e i formati per coinvolgere tutte le aree urbane in questo percorso condiviso.
Un’idea di sviluppo della città è invece assente da diversi anni.
Cosa fare per ridurre il disagio delle periferie romane?
Roma Corviale | Foto: Ferdinando Battiati
L’esplosività della questione così delineata dalla somma dei disagi – geografico, socio-economico, politico – rende molto difficile delineare soluzioni per rendere le periferie romane un luogo dove la vita degli abitanti sia degna di essere vissuta.
Tuttavia, tre sarebbero le principali direttive da percorrere, per cercare di portare sollievo a questi territori e comunità: portare in modo massiccio servizi di urbanizzazione primaria e secondaria là dove servono; sviluppare la cooperazione tra istituzioni pubbliche e soggetti di mercato, volta a produrre opportunità lavorative legali in contesti di ampia disponibilità di manodopera; ripoliticizzare questi spazi, derelitti dai tradizionali soggetti della rappresentanza partitica, che hanno disinvestito da tali contesti.
Servizi erogati da istituzioni pubbliche locali, occasioni di accesso a posizioni lavorative e reddito, sviluppo scolastico e culturale e ascolto del territorio da parte di soggetti partitici in grado di ricevere e trasmettere i bisogni dei territori per poi formulare politiche di risposta mirate non sono tuttavia elementi che scaturiscono in modo spontaneo.
Un percorso di costruzione di politiche mirate alle periferie dovrebbe essere preparato, ideato, implementato e valutato in modo unitario e coerente da un modello diverso di politica romana, in grado di generare un’idea di futuro per questi territori in connessione con una visione più ampia e progressiva di città.
Per procedere a questa complessiva costruzione di una visione, serve partire da un nuovo ruolo pubblico di Roma Capitale, che deve farsi catalizzatore di iniziative specifiche in questo senso, e programmare quello che, allo stato attuale, appare come il migliore strumento di rilevazione dei fabbisogni legati al contesto: un insieme coerente di inchieste comunali sulle periferie, inteso non come un astratto modello teorico di inquadramento top-down dei temi e dei problemi, ma come uno strumento conoscitivo partecipato, in grado di conoscere al meglio per decidere, in modo integrato e a più voci, piani ed azioni di intervento concreti.
Fino al momento in cui non si passerà all’azione con un tale progetto complessivo e in grado di coinvolgere istituzioni, cittadini, soggetti di mercato, associazioni e partiti, le periferie romane rischiano di restare quel grumo di disagio territoriale, economico e politico sempre sul punto di esplodere.
6 Febbraio 2020
*Maria Cristina Antonucci è ricercatrice in Scienze Sociali al CNR dal 2010