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30 Km/ora: meno slogan e più progettazione

di Paolo Gelsomini

La questione dei 30 Km all’ora è diventata scontro politico, campagna di slogan, materia da social e di polemiche tra opposte fazioni. Tutto meno che comunicazione tecnica ed informazione.

Già l’economista dei trasporti Pietro Spirito ha scritto egregiamente sull’argomento sul sito di Carteinregola portando dati, statistiche, utili osservazioni (1).

Mi limiterò quindi ad altre brevi considerazioni in favore della progettazione della mobilità dolce all’interno della più generale progettazione urbana.

Il termine “zona 30” indica un’area all’interno della quale vige un limite di velocità pari a 30 km/h. La “zona 30” non dovrebbe comportare semplicemente una prescrizione normativa di riduzione della velocità, ma anche un particolare disegno dell’infrastruttura, che interessa in particolare l’accesso e l’uscita della zona.

 Le zone 30 compaiono in Italia a livello normativo nel 1995, nelle Direttive per la redazione dei PUT (Piani Urbani del Traffico). La minore velocità delle auto, permette una migliore integrazione con gli altri fruitori dello spazio cittadino, biciclette e pedoni. L’utilità e l’importanza delle zone 30 sono riconosciute a livello istituzionale. 

 Quindi, già da quasi trenta anni la strategia delle “zone 30” ha, nella moderazione del traffico, la sua azione portante. Il concetto di moderazione del traffico, o traffic calming, rappresenta il tentativo di conciliare le diverse funzioni che le strade interne agli ambiti residenziali possono ospitare, attraverso un’adeguata progettazione dell’infrastruttura viaria mirata al controllo delle velocità dei veicoli motorizzati.

Le “zone 30” generalmente vengono create laddove si pone l’obiettivo di privilegiare le funzioni propriamente urbane (residenziali, commerciali, scolastiche, ricreative, ecc.), facendole prevalere sulle esigenze del traffico motorizzato.

Agli effetti dell’accessibilità veicolare, le “zone 30”, rispetto alle “zone a traffico limitato”, non vietano l’accesso ed incidono soprattutto disincentivando il traffico di transito”.
Non si tratta solo di mettere cartelli con il limite di velocità. Una progettazione della mobilità dolce deve poggiare su interventi di riqualificazione stradale quali: riduzione dello spazio di circolazione automobilistica con conseguente eliminazione di soste in doppia fila, parcheggi realizzati a spina, aumento dello spazio dedicato alle piste ciclabili e alla mobilità pedonale, creazione di aree adibite a scopi sociali.

Inoltre, per ottenere una vera riduzione della velocità nelle Zone 30, sono stati realizzati, nelle migliori esperienze europee, interventi strutturali come dossi, rialzi agli incroci, cuscini berlinesi, rotatorie e isole spartitraffico. Fermo restando che questi accorgimenti non debbano ostacolare i mezzi di soccorso. L’obiettivo è che gli automobilisti percepiscano che si trovano in un’area in cui le loro automobili non sono il soggetto principale della strada, ma al contrario la loro presenza è praticamente sconsigliata.

Tutti questi principi e questi concetti possono essere riassunti in buona parte dalla realizzazione delle Isole Ambientali previste già dal vecchio Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU) approvato dall’Assemblea Capitolina (2) che individuava 14 isole ambientali nel centro storico e dal PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) recentemente approvato (3) che ha ampliato il numero e diversificato territorialmente le localizzazioni anche nelle zone semicentrali e periferiche della città.

Le Isole Ambientali sono aree progettate e realizzate a misura delle utenze deboli (ciclisti e pedoni), nelle quali sono adottate particolari politiche: limiti di velocità, divieti, sensi unici, regolamentazione della sosta, miglioramento dei trasporti pubblici e opere di arredo, differenziazione dei livelli e delle pavimentazioni, arredi, illuminazioni efficaci.

Gli obiettivi delle Isole Ambientali sono quelli di: recuperare la vivibilità degli spazi urbani e migliorare la qualità della vita dei cittadini; di incrementare la sicurezza di tutti gli utenti della strada con particolare attenzione all’accessibilità e alla tutela delle categorie deboli; di sviluppare e promuovere la mobilità dolce e attiva, migliorando la salute dei cittadini; di limitare l’accesso al traffico veicolare di attraversamento; di favorire l’integrazione e la convivenza delle diverse componenti di traffico per la condivisione virtuosa degli spazi tra pedoni, ciclisti e veicoli a motore; di ridurre l’inquinamento ambientale in tutte le sue forme.

C’è da precisare che al loro interno le Isole Ambientali non contengono una sola tipologia di mobilità e che le Zone 30 possono essere progettate insieme alle aree pedonali, alle isole pedonali, alle Zone a traffico pedonale privilegiato.

Le Isole Ambientali che contengono esclusivamente strade denominate “locali” secondo la classificazione delle strade allegata al Codice della Strada, sono racchiuse dalle maglie della “rete principale urbana” dove la velocità può essere di 50 Km/ora con l’eccezione di tratti con attraversamenti senza semaforo, scuole, ospedali ecc. dove deve tornare ad essere di 30.

Credo che in questa maniera si possa leggere una architettura della rete della mobilità stradale diversa da una semplice proibizione imposta da un cartello e controllata da un autovelox.

Ogni divieto dovrebbe essere accompagnato da nuove opportunità, da alternative credibili e praticabili nell’interesse di tutti, assicurando la sicurezza dei pedoni, la vivibilità dei residenti e senza penalizzare gli automobilisti.

E questo si può ottenere solo con una progettazione urbana possibilmente partecipata e possibilmente ben comunicata.

Paolo Gelsomini

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

28 gennaio 2024

NOTE

(1) VEDI Limiti di velocità e limiti al buon senso di Pietro Spirito (da Il mattino) 27 GENNAIO 2024

(2) vedi PGTU Piano Generale del Traffico urbano 2014

(3) vedi PUMS Piano Urbano Mobilità Sostenibile aprile 2022

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