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Stadio della Roma, un contributo

stadio-alias-piccardoPubblichiamo l’articolo di Emanuele Piccardo su Alias del 15 ottobre 2016 Stadio a Tor di Valle, immobiliaristi all’attacco

Nelle scorse settimane il Presidente della Roma Pallotta ha incontrato Virginia Raggi per un pressing sul progetto del nuovo stadio a Tor di Valle. Scorrendo gli articoli scritti dal 2013 a oggi non c’è stato un giornalista che abbia indagato in profondità sulle conseguenze urbanistiche e sociali per la comunità (compresa quella dei tifosi romanisti) nel progetto del nuovo stadio. E’ notizia nota l’indebitamento della Roma a fine marzo 2016 per 152 mln di euro nei confronti di Unicredit, che non consente alla società di poter gestire l’investimento finanziario per il nuovo stadio in autonomia, ma che non deve giustificare la scelta di una speculazione immobiliare di cui la città non sente alcun bisogno. Il progetto Tor di Valle è di Stadio TDV SpA di Pallotta e del gruppo Parnasi, già autore di Eurosky Tower e del sottostante centro commerciale, che definisce un’occupazione speculativa della zona sud ovest della città. Non è casuale che lo stadio sia minoritario rispetto al Business park con le tre torri progettate da Daniel Libeskind, l’area commerciale Convivium per un totale di investimento privato pari a 1,7 mld di euro (500 milioni lo stadio) di cui 440 mln in opere pubbliche (fonte Il sole 24 ore); tra queste il prolungamento della metro B e il raccordo Ostiense-Via del mare. Ma quello che emerge è anche la difficoltà nel raccogliere informazioni sul progetto, costi, metri quadri, attraverso i siti aziendali di Parnasi e As Roma*. Come se ai tifosi-cittadini interessi di più sapere a quanti metri dista il campo dalle tribune o quanti cessi ci sono (http://www.stadiodellaroma.com/it/faq), piuttosto che comprendere che un’area verde, com’è oggi Tor di Valle, venga stravolta senza neanche immaginare una cittadella dello sport, funzione sicuramente più attinente rispetto a riproporre una serie di funzioni già presenti sul territorio proprio nel vicino Eur. Questo approccio non è diverso dai progetti milanesi di City Life nell’area della ex fiera, con protagonisti Hadid e Libeskind, o Garibaldi-Repubblica, dove domina il Boeri pensiero, tra boschi e torri, sintomatico di una modalità operativa consolidata nel produrre la non-città, ovvero una gate community commerciale-residenziale-finanziaria.

Il problema non è una lotta tra oppositori al costruire ex novo sempre e comunque contro i signori del mercato immobiliare, bensì tra diversi modelli di sviluppo urbano e cultura imprenditoriale; quest’ultima finalizzata solo al profitto creando troppa offerta di beni con scarsa domanda. Oggi con il fallimento dell’urbanistica tradizionale è l’immobiliarista a dettare l’agenda del pubblico, anche se Roma con la presenza di Paolo Berdini ha l’occasione di rivedere questo rapporto che negli anni ha visto le amministrazioni soccombere in cambio di centri commerciali alienanti. Occorre anche capire come in questa assenza di informazioni e dati certi ci sia un così alto costo per lo stadio se confrontato con lo Juventus Stadium** che, tra acquisto della superficie dal Comune di Torino per 99 anni e costruzione, è costato 155 mln di euro per 41.500 spettatori, contro i 500 mln per una capienza di 10.000 unità in più. Oltre al caso Juventus Stadium l’altro esempio italiano è la Dacia Arena di proprietà dell’Udinese ricostruito sul sedime del vecchio Friuli, già modificato per Italia ’90, ristrutturato in due anni con una capienza di 25000 unità con un costo di 25 mln e 22000 mq di aree commerciali. Approccio diverso quello adottato dal Bayern Monaco per l’Allianz Arena (2002-2005) che ha indetto un referendum sulla scelta dell’area e un concorso di architettura vinto da Herzog & De Meuron***. Una arena con una capienza di 71.000 unità, aree commerciali e asilo, oltre al museo sulla storia della squadra, tutti inglobati nella struttura a guscio e distribuiti su sette livelli, per un costo complessivo di 340 mln. In questi decenni lo stadio di proprietà è diventato una necessità per le società consentendo un maggior incremento di spettatori e di introiti in alcuni casi senza una visione urbana, d’altronde il Libeksind italiano non manifesta le stesse intuizioni avute nel Jewish Museum berlinese.

* [l’articolo è stato pubblicato prima che la Regione Lazio inaugurasse un sito dedicato, il 3 novembre 2016 all’apertura  della conferenza dei servizi  con (non tuttiI gli elaborati del progetto definitivo. NDR]

** [Il paragone con lo Juventus Stadium richiede approfondimenti,  si veda in proposito l’intervento di Mario Castagna all’incontro Dallo stadio della Roma ad una romanella di stadio”(> Vai alla pagina con i video degli interventi) NDR]

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