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Autonomia differenziata e giustizia di pace

Con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione italiana, in base al terzo comma dell’ Art. 116 possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario 20 materie a legislazione concorrente Stato/Regioni (terzo comma dell’ articolo 117) e tre materie di legislazione esclusiva dello Stato (secondo comma dell’ articolo 117) (1). Tra queste ultime, alla lettera “l”, “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”, “limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace”. Una materia poco conosciuta, che Giuseppe Salmè, già Presidente di sezione della Corte di Cassazione, ha raccontato nella puntata di L’Italia non si taglia del 19 luglio 2023. Pubblichiamo il testo dell’intervento (AMBM)

Autonomia differenziata e giustizia di pace

di Giuseppe Salmè

 1.    Prima di vedere quali conseguenze avrebbero l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata e le eventuali intese successive è necessario conoscere, almeno per sommi capi, chi è e di cosa si occupa il giudice di pace.

Il giudice di pace è nato nel 1991 (legge n. 374) (2) prendendo il posto del giudice conciliatore, che è stato contestualmente soppresso.

 Il giudice di pace è un giudice onorario. Ciò dignifica che non è un impiegato pubblico nominato dopo aver superato un concorso pubblico per esami scritti e orali, come tutti i pubblici impiegati,  e non rimane in carica fino all’età pensionabile di 70 anni, ma è nominato sulla sola base di soli titoli, su proposta dei consigli giudiziari (organi locali formati dal Presidente della corte d’appello e dal Procuratore generale, nonché da un certo numero di magistrati eletti nel territorio di una corte d’appello), integrati con cinque avvocati designati dai consigli dell’ordine locali. Dura in carica per un periodo di tempo limitato (attualmente quattro anni, rinnovabile per altri due quadrienni). Pur non essendo un pubblico impiegato, secondo la Corte europea è comunque un lavoratore subordinato.

Oltre ai requisiti in generale richiesti per esercitare pubbliche funzioni (cittadinanza, libero esercizio dei diritti civili e politici, assenza di condanne penali, idoneità fisica e psichica) per essere nominati giudici di pace bisogna: 1) avere la laurea magistrale in giurisprudenza; 2) essere iscritti all’albo degli avvocati (ovvero avere esercitato: funzioni giudiziarie, anche onorarie, per almeno un biennio oppure avere fatto il  notaio o l’insegnante di materie giuridiche o essere stato  dirigente di cancelleria giudiziaria) 3) avere un’età compresa tra i 30 e i 70 anni; 4) avere cessato qualsiasi  attività lavorativa privata o pubblica prima della nomina.

 1.1.     Il giudice di pace, fin dalla sua creazione, aveva una competenza civile e penale molto rilevante.

Attualmente la competenza civile è di 30.000 € per le cause relative a beni mobili, di 50.000 € per le cause di risarcimento dei danni da circolazione stradale e il limite massimo di valore per giudicare secondo equità è di 2.500 €. Non c’è limite di valore per le opposizioni a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada.

Attualmente la competenza penale del giudice di pace riguarda:

  1. delitti di percosse  e lesioni personali sia dolose che colpose (escluse le colpe professionali e gli infortuni sul lavoro con malattia superiore a 20 giorni) perseguibili a querela ;
  2. per le diffamazioni, minacce e furti punibili a querela;
  3. danneggiamento, deturpazione o imbrattamento, invasione di fondi e altri reati minori.

Nel 2022 i procedimenti civili davanti al giudice di pace erano 43 % di tutte le cause civili pendenti e il 9 % di quelle penali.

 1.2     Come si è detto, il giudice di pace ha preso il posto del giudice conciliatore. Anche il giudice conciliatore era un magistrato onorario, che non doveva avere altro requisito che un’età non inferiore a 25 anni, ma aveva una competenza molto limitata (cause relative a beni mobili compresi gli sfratti per finita locazione e i contratti immobiliari di valore non superiore a un milione di lire).

E’ evidente che il giudice conciliatore e giudice di pace sono profondamente diversi, non solo per la diversità dei requisiti di nomina, ma anche e soprattutto, per la diversità di competenze. Non solo il giudice conciliatore non aveva alcuna competenza in materia penale, ma anche la sua competenza civile era sostanzialmente irrilevante, tanto che, a differenza di quello che accade per i giudici di pace, le statistiche ufficiali ignoravano del tutto i dati relativi ai procedimenti trattati da questo giudice.              

2. 1.   Il testo originario della Costituzione non prevedeva alcuna forma di competenza regionale relativa ai giudici onorari. L’art. 106 (3) si limitava a dire che la legge può prevedere la nomina anche elettiva di giudici onorari competenti per le funzioni attribuite ai giudici singoli (conciliatori e pretori, esistenti fino al 1998, e ora i giudici di pace).

Secondo molti autori, con i quali sono d’accordo, la nomina dei giudici di pace non realizza una forma di partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia, ma un’alternativa al sistema di nomina ordinario del pubblico concorso, che, secondo i costituenti assicurava una tendenziale corrispondenza tra le qualità personali dei magistrati e il pluralismo culturale e politico esistente nella società civile. Quanto all’elettività, la questione fu vivacemente dibattuta nell’Assemblea costituente per l’evidente conflitto con i principi di autonomia e indipendenza della magistratura, ma prevalse l’opinione favorevole per la considerazione che i giudici onorari svolgevano prevalentemente funzioni conciliative e, comunque, si occupavano di cause civili di scarso valore. Resta il fatto che fino ad oggi non è stata mai approvata una legge che preveda l’elettività. Le ragioni sono di notevole rilevanza: a) la forte presenza in alcuni territori della Repubblica  di organizzazioni criminali interessate a inserirsi anche nella giurisdizione; b) comunque, per la difficoltà del sistema politico, e quindi elettorale italiano,  a far funzionare il principio della responsabilità politica che consentirebbe di riparare a eventuali scelte sbagliate e, indirettamente, a prevenirle.

2. 2.   L’art. 116, comma 3, introdotto con la riforma del titolo quinto della Costituzione (legge costituzionale n. 3 del 2001) prevede che condizioni particolari di autonomia delle ragioni possono riguardare “l’organizzazione della giustizia di pace” (1).

Questa norma fu approvata senza un particolare dibattito nel presupposto che riguardasse solo i servizi logistici, le dotazioni materiali e personali degli uffici del giudice di pace e non aspetti relativi alla competenza e alla procedura da applicare e tanto meno i requisiti di nomina, che attengono al “giudice” e non alla “giustizia”.

Sono rimasti inascoltate le osservazioni dell’on. Benedetti Valentini (di Alleanza nazionale, ma intervenuto nella discussione parlamentare a titolo personale) (4) che si era opposto all’approvazione della norma, denunciandone il contrasto con altre disposizioni della Carta costituzionale (autonomia e indipendenza della magistratura; competenza del Csm per la nomina di tutti i magistrati, professionali o onorari),  sia perché l’organizzazione del giudice di pace avrebbe inevitabilmente influito anche sull’organizzazione degli altri giudici e sia perché, e soprattutto perché sarebbe andata a toccare “l’uguaglianza delle opportunità di diritto, sostanziale e procedurale, dei cittadini di fronte alla giustizia… della quale il giudice di pace è a pieno titolo una componente importante“. Aggiunse che “non è concepibile che un cittadino che agisce davanti ad un organo di giustizia di una regione si trovi di fronte ad una struttura organizzativa che alteri le opportunità sostanziali e procedurali, che dipenderebbero dalla possibilità di adire la giustizia in una regione o in un’altra…l’organizzazione non significa, come taluni di voi dicono per autotranquillizzarsi, approntare i locali o le strutture di supporto per l’espletamento della funzione giurisdizionale.. la parola organizzazione, per consolidata tradizione, significa ben altro..

3.      Avendone già parlato altre volte in questa sede non accenno neppure al procedimento legislativo che, secondo il ddl Calderoli, dovrà essere seguito per realizzare l’autonomia differenziata (5). Mi limito a ribadire che il Parlamento non potrà modificare le intese raggiunte con le regioni in modo certamente non trasparente ma potrà solo approvarle o rigettarle.

Da qui nasce l’importanza se non proprio la necessità che il dibattito pubblico possa pienamente svilupparsi almeno nella fase di elaborazione del ddl che precede la stessa discussione parlamentare.

Le posizioni in campo, per quanto riguarda l’autonomia regionale sull’organizzazione della giustizia di pace sono due.

Alcuni valutano favorevolmente la proposta, valorizzando il fatto che quella del giudice di pace è una “giustizia locale”, basata sul rapporto tra giudice e comunità, anche se non si nega che tale rapporto, più forte in passato quando si richiedeva la residenza nel territorio del tribunale dove ha sede il giudice di pace, ora è venuto meno. Si sottolinea, peraltro, che le proposte di nomina provengono comunque dal territorio (consigli giudiziari integrati con avvocati locali). Secondo questa opinione con la modifica del titolo quinto, e in particolare con l’art. 116, 3° comma, si è introdotto nel nostro regionalismo, il decentramento non solo della funzione legislativa e quella amministrativa ma anche di quella giurisdizionole, che ha rappresentato nel vigore del testo originario della Costituzione repubblicana, un connotato tipico di poteri esclusivamente statali. Pur ammettendo che dovrebbero restare riservate allo Stato le competenze relative al procedimento e alle materie,  nonché quelle che garantiscono l’indipendenza e l’autonomia e la parità di accesso dei cittadini alla giustizia, si sostiene che nella nozione di “organizzazione” rientrerebbero: a) la dislocazione sul territorio delle sedi e degli uffici del giudice di pace; b) i requisiti  e il procedimento di nomina; c) la formazione; d) l’organizzazione degli uffici del giudice e quella degli uffici di supporto.

Un’altra opinione, da me condivisa, sostiene, sul piano generale, che lo strumento dei LEP (livelli essenziali di prestazioni), determinati con decreti del Presidente del consiglio dei ministri e non con legge, come sostanzialmente imporrebbe la Costituzione, non garantisce affatto l’eguaglianza dei cittadini nell’utilizzazione del servizio giustizia sul territorio nazionale. In primo luogo perché non tutti i diritti costituzionali sono suscettibili di misurazione e quello di accesso alla giustizia rientra tra questi. Inoltre, come credo sia già stato detto, il meccanismo che dovrebbe garantire il rispetto dei LEP, e cioè l’utilizzazione del fondo perequativo, è pur sempre rimesso alle valutazioni discrezionali di istituzioni e amministrazioni nelle quali non è indifferente la cultura e la natura delle maggioranze politiche che di volta in volta si formano.

Il ddl Calderoli non prevede alcun strumento concreto per incidere sulla realtà del Paese (la spesa pubblica pro capite resta di diciannovemila € l’anno in Lombardia, sedicimila in Veneto, quindicimila in Calabria, quattordicimila in Sicilia, tredicimila in Campania), ma si limita a enunciare un  progetto astratto e quindi velleitario (l’autonomia differenziata servirebbe a “far correre le regioni più lente”).

Quanto alla portata del concetto di “organizzazione” della giustizia di pace sembra che non ci siano difficoltà ad ammettere che la Costituzione riserva allo Stato la competenza a dettare le regole che debbono garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, anche onoraria. Ma a conclusioni identiche si deve arrivare, se non si vuole violare il principio di eguaglianza nell’accesso al servizio giustizia, per i requisiti e i procedimenti di nomina nonché per la formazione iniziale e permanente dei giudici di pace  (una bozza di intesa predisposta dalla  Regione Lombardia ne prevede invece l’attribuzione alla legislazione concorrente).

Pericoli per la garanzia dell’eguaglianza dei cittadini sull’intero territorio della Repubblica possono tuttavia anche derivare da come verrebbe attuata da ciascuna regione la distribuzione dei giudici di pace sul territorio e come verrebbe fissato il numero e i requisiti dei collaboratori, le caratteristiche fisiche delle sedi  e la loro distribuzione sul territorio. Tutte circostanze che inevitabilmente condizionano la qualità del servizio giustizia e la durata dei procedimenti.

La conferma di quanto osservato, senza alcuna preoccupazione per l’attentato all’eguaglianza nell’accesso e nella qualità di un servizio posto a tutela di un diritto fondamentale dei cittadino, si trova nella bozza dell’intesa che dovrebbe essere raggiunta con la regione Lombardia, dove si legge che l’acquisizione delle competenze in materia di organizzazione della giustizia di pace serve “per poter giungere ad un significativo potenziamento dei giudici di pace in Lombardia e a una loro più razionale distribuzione sul territorio, in modo da dare un contributo alla diminuzione dei tempi del contenzioso e alla migliore fruibilità del servizio «giustizia», a tutto vantaggio dei cittadini e delle imprese.(6).

Né tranquillizza la circostanza che nella prima intesa raggiunta nel 2018 dal Governo Gentiloni, con le tre regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna (7) non si prevedeva l’estensione della competenza per la legislazione concorrente all’organizzazione del giudice di pace. Il mutamento del quadro politico fa invece temere che prevalgano astratte esigenze di una parte politica sulla tutela dei diritti dei cittadini. Con buona pace delle garanzie di cui agli articoli 24 e 111 Cost. (8)

                                                                                                             Giuseppe Salmè

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

2 agosto 2023

NOTE

(1) VEDI Autonomia Regionale Differenziata, cronologia e materiali

(2) LEGGE 21 novembre 1991, n. 374 Istituzione del giudice di pace.(Ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 23/01/2023)(GU n.278 del 27-11-1991 – Suppl. Ordinario n. 76)

(3) Costituzione Italiana Articolo 106

Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso.

La legge sull’ordinamento giudiziario [cfr. art. 108] può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.

Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

(4) L’art. 116, comma 3, è stata aggiunto nella elaborazione svolta alla Camera dei Deputati, come emendamento (4.31.) concordato in Commissione e, al momento di votarlo, in aula, l’On. Benedetti Valentini (a titolo personale) chiedeva di espungere dal testo il riferimento alla lettera i) (dopo divenuta lettera l) e le parole “limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace”, adducendo un “palese contrasto con altre disposizioni della Carta costituzionale”

(5) Vedi DDL Calderoli su Autonomia differenziata, perchè no. 6 febbraio 2023

(6) Consiglio Regione Lombardia Deliberazione 7 novembre 2017

(7) Il 28 febbraio 2018, 4 giorni prima delle elezioni politiche, sono firmati gli Accordi preliminari in merito all’Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, tra il Governo ´Gentiloni (PD) – rappresentato dal sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa (eletto nelle fila del PD, poi si candiderà e sarà eletto con il gruppo per le Autonomie Aut (SVP-PATT, UV) – e le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.

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(8) Articolo 24 Costituzione

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [cfr. art. 113].

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Articolo 111 Costituzione

La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati [cfr. artt. 13 c.2 , 14 c.2 , 15 c.2 , 21 c.3].

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale [cfr. art. 13], pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge [cfr. art. 137 c.3]. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra [cfr. art. 103 c.3 , VI c.2].

Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione [cfr. art. 103 c.1,2].

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