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Autonomia regionale differenziata: il coraggio di un partito si vede dalla capacità di cambiare strada

Su impulso del ministro leghista Roberto Calderoli*, l’autonomia regionale differenziata sta avanzando a grandi passi, mentre all’opposizione il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non prendono una posizione netta**, anche perchè entrambi i partiti l’hanno portata avanti, in misura diversa, nei governi precedenti. Carteinregola ha inserito nel dossier con le sue richieste alla politica “La città delle persone” due punti che riguardano l’autonomia differenziata, uno rivolto al Governo e al Parlamento – interrompere il percorso avviato e rimettere mano alle modifiche introdotte dalla Riforma del Titolo V della Costituzionel ‘altro ai partiti che si impegneranno nella campagna elettorale per la Regione Lazio – abbandonare la richiesta già avanzata al Governo nel 2018***

Una delle “leggi di Murphy” della politica è sicuramente che  più le posizioni dei partiti sono sbandierate come espressione di valori identitari e irrinunciabili,  più facilmente vengono rimangiate, mentre più le decisioni sono controverse, mostrano  limiti,  rischi, danni potenziali, più restano, o tornano, sempre.

E’ il caso dell’Autonomia Regionale Differenziata, una sciagurata iniziativa cominciata dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001  ad opera di governi del centro sinistra per fronteggiare le spinte federaliste della Lega Nord. Allora, forse, a parte la Lega – erano i tempi della “Padania”  – non si erano compresi pienamente  i rischi a cui la sua attuazione avrebbe esposto l’unità della Repubblica e i diritti dei cittadini. Rischi che però erano  invece già molto chiari quando il governo Gentiloni, quattro giorni prima delle elezioni politiche del 2018, aveva  sottoscritto le pre intese con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. E non sappiamo quanto abbia sufficientemente valutato le conseguenze, soprattutto per il suo bacino elettorale del Sud,  il Movimento Cinque Stelle, che ha sottoscritto il progetto di Salvini nel 2018 e l’ha portato avanti anche nei governi con il Partito Democratico, fino a Draghi. Sicuramente non sapevano cosa i vari governi stessero apparecchiando i cittadini, a cui nessuno l’aveva raccontato, dato che  le voci contrarie che si sono levate in questi anni non hanno mai trovato eco nel dibattito politico e ben poco sui media****.

Ma ormai da tempo sappiamo che il regionalismo differenziato,  che avrebbe dovuto valorizzare le peculiarità dei territori, è in realtà  un micidiale strumento di divisione e di disuguaglianza.  E  non si tratta solo della ingiusta ridistribuzione delle risorse e delle inevitabili differenze nei servizi –  anche con i famosi LEP Livelli Essenziali delle Prestazioni, che per l’appunto non garantiscono prestazioni omogenee già dalla definizione anche se fossero introdotti – ma della distruzione  dell’identità comune, così faticosamente raggiunta da una nazione di soli centocinquant’anni, che ha saputo riconoscersi e affrancarsi grazie alla sua straordinaria Costituzione.

Se l’autonomia diventerà  realtà, non renderà solo incolmabile la distanza tra il ricco nord e il povero sud, ma consegnerà ciò che il nostro Paese ha di più prezioso –  l’ambiente, i beni culturali, la scuola, la cura delle persone – alle maggioranze politiche regionali del momento, che potranno piegarle a  ideologie e convenienze, deciderne privatizzazioni, usarne il potere per estrarre consenso.

Non ci vuole molta immaginazione:  basta guardare, dietro al velo squarciato dalla pandemia,  come è stata ridotta la sanità anche nelle ricche regioni del nord.

E  si tratterebbe di  una scelta irreversibile: una volta smontato lo Stato, divise le competenze, attribuiti gli edifici, avviate le assunzioni del personale, non si potrà più tornare indietro. L’Italia sarà definitivamente divisa in tante piccole repubbliche con leggi e regole diverse, guidate da potentati che su una enormità di materie potranno  decidere i destini dei territori, dei lavoratori, delle persone, senza alcun ente sovraordinato come contrappeso e  garante del destino comune.

Ma anche di fronte a un quadro così terribilmente chiaro, i partiti sembrano non avere il coraggio di fare marcia indietro, di ammettere che la riforma del titolo V è stato un errore dovuto a un momento in cui la prospettiva sembrava diversa, o dire almeno che attuare oggi l’autonomia, in un Paese provato dalle conseguenze di una serie di eventi negativi  inimmaginabili, sarebbe una catastrofe di cui pagherebbero il prezzo soprattutto i più deboli.

Non è mai troppo tardi per cambiare una strada sbagliata, soprattutto se porta alla distruzione di tutto quello che è stato costruito da tante donne e uomini che si sono battuti – spesso sacrificati – per fare dell’Italia un Paese democratico e giusto, dove le risorse fossero distribuite in base ai bisogni e non agli interessi, e dove le persone avessero pari diritti e dignità, indipendentemente dalla classe sociale o dal luogo di nascita.

Forse la maggioranza che oggi è al governo del Paese approverà  comunque  l’autonomia differenziata – nonostante, tra l’altro, sia agli antipodi della linea da sempre seguita dal primo partito della coalizione – ma i partiti che avranno il coraggio di dire con forza che è una scelta profondamente sbagliata avranno fatto il primo importante passo per riconquistare la fiducia di tutte quelle  persone che ancora testardamente vogliono battersi per un mondo migliore per tutti. Che sono le uniche con cui si può lavorare per un vero cambiamento, che tutti invocano, ma che nessuno si mette davvero a costruire.

Vai a Autonomia Regionale Differenziata le richieste di Carteinregola alla politica del Dossier “La città delle persone”

Vai a Autonomia Regionale Differenziata, cronologia e materiali

Anna Maria Bianchi Missaglia

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

NOTE

(*) Autonomia, vertice con Meloni. Calderoli: “E’ nel programma e si farà” Bruxelles, 18 nov. (Adnkronos) Il premier Giorgia Meloni ha incontrato oggi il ministro per gli Affari regionali e le riforme Roberto Calderoli a palazzo Chigi. Sul tavolo il tema dell’autonomia differenziata al centro del confronto politico, dopo l’incontro di ieri tra il leghista e i governatori, che hanno discusso la bozza del ministro. “A che punto stiamo sull’Autonomia? Questo è il governo del fare e prima facciamo e meglio è”, ha detto Calderoli, dopo l’incontro, spiegando che la norma sull’autonomia differenziata “la stiamo scrivendo, devo ancora sentire sei governatori nella giornata di giovedì, io raccolgo le richieste di tutti e poi produco”. Vedi anche Ecco la bozza Calderoli sull’autonomia differenziata del governo Meloni Di Redazione ROARS – 7 Novembre 2022

** Nei recenti programmi elettorali sono stati introdotti da PD e M5S dei distinguo su sanità e scuola, ma senza mettere in discussione l’impianto generale e lasciando aperto il potenziale passaggio di tutte le altre materie, compreso ambiente, paesaggio, beni culturali, oggi di eslcusiva competenza statale . > vedi anche Autonomia differenziata nei programmi elettorali delle politiche 2022

*** Vedi Autonomia Regionale Differenziata le richieste di Carteinregola alla politica del Dossier “La città delle persone”

**** con l’eccezione di Il Manifesto, Il Fatto quotidiano e alcune testate locali: al nord per informare entusiasticamente dei progressi, al sud per segnalare i rischi

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Walter Tucci
Walter Tucci
1 anno fa

Concordo pienamente con la vostra analisi, con particolare riferimento all’origine del male (la modifica del Tit. V). Bisogna aiutare la raccolta firme per il DDL Villone.

Loretta Mussi
Loretta Mussi
1 anno fa

Ottimo articolo. Vorrei precisare che le ricche regioni del nord, appena hanno potuto liberarsi – col nuovo titolo V che devolveva la sanità – dal condizionamento dello stato centrale, hanno privatizzato e hanno praticamente distrutto i servizi di assistenza territoriale e di prevenzione, investendo solo sulla specialistica. Quella per la quale si fanno i viaggi della speranza dal Sud e gli si rubano miliardi.
Di fronte a ciò, lo Stato non è intervenuto: non solo, è stato progressivamente spogliato degli strumenti divenendo una appendice del MEF.

Vorrei anche dire che LEA e LEP non sono il male in se, lo sono soprattutto perché non sono applicati – i LEA nella Sanità – e non li si vuole calcolare e poi applicare – i LEP nei servizi sociali – perché farebbero emergere la ricchezza del Nord contro la povertà del Sud e farebbero capire perché non è mai stata fatta la perequazione. Sarebbero il primo passo su cui far crescere vertenze e servizi. Potrebbero anche essere, tatticamente, un’ arma di pressione e dare alle regioni del sud e insulari uno strumento per chiedere giustizia e uguaglianza prima di procedere a qualsiasi altra operazione.
Anche qui lo Stato non è intervenuto.