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Boomerang Colosseo (e contraddizioni PD)

turisti colosseo IMG_3087La sprezzante esibizione muscolare del Presidente del Consiglio, del Ministro dei Beni Culturali e del Sindaco di Roma verso i lavoratori del Colosseo che hanno osato indire un’assemblea per rivendicare un anno  e mezzo di straordinari non pagati, con tanto di decreto d’urgenza per restringere i loro diritti sindacali (1), si sta rivelando un vero e proprio passo falso. Mentre fioccano esempi dalle altre capitali europee di scioperi e manifestazioni ben più estese e scomposte (2), qualcuno ha tirato (di nuovo) (3) fuori il vero scandalo di cui il Colosseo è il caso più emblematico, quello su dove vanno a finire gli ingenti  ricavi delle visite ai monumenti.  Su Il fatto quotidiano di oggi (25 settembre), non per niente intitolato “Colosseo, il bengodi dei privati: affari da 15 milioni” sono pubblicati  i dati  che il  Circuito Archeologico di Roma (Teatro Flavio – il “Colosseo” – Foro Romano e Palatino), il percorso turistico più visitato d’Italia,  rende annualmente ai  privati, sia per  la gestione dei servizi aggiuntivi (biglietterie, prenotazioni, bookshop, visite guidate etc) -cioè  9, 6 milioni di euro (contro il milione e 327 mila euro che vanno alla Soprintendenza) – sia per la percentuale del 14% sul biglietto – cioè 5, 8 milioni di euro. Una miniera d’oro che – a Roma come nel resto d’Italia – grazie a una serie di proroghe e di ricorsi che hanno bloccato il nuovo bando, da anni è affidata sempre agli stessi privati. Nel caso del Colosseo, da 18 anni alla stessa ATI (Associazione Temporanea d’Impresa)  di Mondadori Musei, il gruppo guidato da Marina Berlusconi e Coopculture, Legacoop.  “Una situazione – apprendiamo da Il fattoche ha causato all’Italia una serie di multe dall’Unione Europea per violazione delle regole sulla concorrenza” e – aggiungiamo noi –    un contratto di   cui  i magistrati della sezione di controllo della Corte dei conti del Lazio, nel gennaio 2014, avevano detto   che “si dovrebbe ormai ritenere invalido perché in violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza”. E a dire la verità,  anche il Ministro Franceschini aveva manifestato l’intenzione  di porre fine a questo andazzo.   Riportava l’Espresso nel gennaio 2015: «Voglio trasparenza assoluta. Dobbiamo finirla con questi monopoli mascherati», batte i pugni Franceschini presentando a “l’Espresso” la sua idea di riforma: «Trovo assurdo che lo Stato non partecipi direttamente alla gestione della parte più redditizia dei musei. È un tema su cui stiamo lavorando dall’inizio del mio mandato e su cui non mi rassegno. Penso si debba tornare, almeno in un’opzione di scelta, alla titolarità pubblica»(3). E qualche settimana dopo, in una conferenza stampa il  Ministro aveva presentato le linee guida per  indire tre diverse gare d’appalto entro il primo semestre del 2015 (4).  A oggi però è partita solo la gara  per i servizi gestionali (pulizia, facchinaggio  e manutenzione): le altre due, che andrebbero a modificare  lo status quo dei  privati, sono ancora in alto mare. Per quanto riguarda le “Gare per i “servizi culturali”, cioè “servizi finalizzati allo sviluppo di specifici “progetti culturali” ed alla migliore fruizione dei siti (noleggio audioguide; visite guidate; laboratori e didattica; spazi, eventi e mostre; etc.” “a cui potranno accedere il MiBACT e gli Enti locali con differenti modalità di ingaggio“, si attendono” i progetti elaborati dai Direttori dei musei”, nominati poche settimane fa. Trentaquattro  gare che slittano alla prossima primavera (5)

Quanto alla gara per il “servizio di biglietteria nazionale”  per poter prenotare in tutti i musei italiani (6), il 31 marzo scorso è stata oggetto di un’interrogazione al Ministro da parte di   25 deputati del Partito Democratico, tra cui il Presidente  e attuale commissario del PD romano Matteo Orfini, un’ interrogazione che vale la pena di leggere integralmente (7):

Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
    nella conferenza stampa del 19 febbraio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha annunciato l’avvio di una collaborazione con la Consip, mirata ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi da svolgere nei nuovi musei autonomi e nei poli museali regionali, con l’obiettivo di realizzare un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita a livello nazionale, fruibile da tutti i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e facoltativamente dagli enti locali;
   alcuni operatori dei «servizi aggiuntivi» – pur rilevando l’interesse per una procedura di grande innovazione – esprimono il timore che possa essere bandita una gara nazionale avente ad oggetto il solo servizio di biglietteria per tutti i siti culturali, servizio che verrebbe, in questo modo, ad essere separato dalle attività di valorizzazione da affidare in concessione, privando, di fatto, il concessionario di una fondamentale leva finanziaria e commerciale che costituisce uno dei pilastri del marketing culturale, parte integrante di un servizio completo che è rischioso parcellizzare;
    la riforma del codice dei beni e delle attività culturali – decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 117 – precisa che i «servizi aggiuntivi» possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria –:
   con quali tempi e modalità il Ministro interrogato intenda procedere alla sottoscrizione dell’annunciato accordo con la Consip, con particolare riferimento alle modalità relative al servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita a livello nazionale, tenuto conto dei timori sopra esposti. (3-01408) 

Lasciamo al giudizio di chi legge le conclusioni, offrendo come strumento di valutazione la domanda che sempre ci facciamo  pdi fronte alle iniziative dei nostri rappresentanti e delle istituzioni: è a vantaggio dell’interesse pubblico? (o,  se si preferisce, a chi giova?)

E sicuramente da un partito che ha dato un fondamentale contributo alla stesura della Costituzione Italiana, e   con un passato (glorioso) di battaglie per la difesa del bene collettivo, e dei diritti dei lavoratori, ci saremmo aspettati di meglio.

Aggiornamento del 29 settembreL’interrogazione del Senatore Walter Tocci (PD) Abbiamo ritrovato un’interrogazione del Senatore  Tocci del 14 febbraio 2014,  proprio sul tema sopra esposto, che ha avuto risposta dal Governo (nella persona del Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali BORLETTI DELL’ACQUA ILARIA CARLA ANNA ) più di un anno dopo, il 10 luglio 2015.  Pubblichiamo entrambe in calce, a ulteriore testimonianza, dei due approcci contrapposti di esponenti dello stesso partito rispetto agli interessi prevalenti  (8)

Anna Maria Bianchi Missaglia annaemmebigmail.com

 Post scriptum: nel frattempo sui contratti in essere non c’è nessuna trasparenza: non siamo riusciti a trovare quelli relativi a Mondadori Musei e Coopculture sui siti del Mibact (e, se ci sono, sono sepolti in qualche sezione difficilmente individuabile). Alla faccia delle  giornate della trasparenza che si celebrano annualmente in tutte le istituzioni…

Post scriptum 2: nel luglio scorso Roma Capitale ha fatto un passo coraggioso ed epocale, spostando i camion bar e le bancarelle in altre zone centrali, ma fuori dall’area monumentale del Colosseo e dei Fori.  Ci aspettiamo lo stesso coraggio e lo stesso rigore nel riportare il milionario affidamento dei servizi aggiuntivi nel perimetro delle regole (della libera concorrenza) e soprattutto dell’interesse pubblico.

LEGGI ANCHE IL LIBRO: “Privati del patrimonio” di Tomaso Montanari 2015,  Giulio Einaudi Editore

(1) vedi il nostro articolo La verità sullo “scandalo” della chiusura del Colosseo… e i veri scandali che pochi raccontano del 22 settembre 2015

(2)ANSA 18 settembre Non solo Colosseo: Londra aperta, Parigi chiude National Gallery sciopero con apertura limitata. Bloccata Eiffel

Huffington Post 18 settembre Torre Eiffel, Louvre, National Gallery: anche nel resto del mondo gli scioperi fanno chiudere i musei (FOTO)

(3) Si vedano l’articolo di Vittorio Emiliani Solo per i privati. Allo Stato briciole Le società concessionarie di servizi aggiuntivi guadagnano grazie a concessioni opache Il caso del Colosseo e i silenzi del MiBACTL’Unità 7 gennaio 2014(anche in calce)

l’inchiesta de L’Espresso 08 gennaio 2015 I musei italiani sono un affare solo per i privati Bookshop, visite guidate e gadget: lo Stato incassa solo briciole dai servizi aggiuntivi. Ma il ministro ora vuole cambiare tutto. Ecco come  di Paolo Fantauzzi e Francesca Sironi (anche in calce)

La Repubblica 13 ottobre 2014 Musei, ecco il piano per aprire il mercato con i privati la torta arriva a 2,5 miliardi di Francesco Erbani

(4)Vedi comunicato 19 febbraio 2015 PRESENTATO PROGETTO MIBACT-CONSIP PER SERVIZI AGGIUNTIVI NEI MUSEI

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini e l’Amministratore Delegato di Consip Domenico Casalino hanno presentato oggi il progetto per i servizi aggiuntivi nei musei statali. Il nuovo modello di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale porrà fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura e il Ministero potrà contare sulla cooperazione tra le migliori risorse pubbliche e private per garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione. scarica le linee guida Linee guida servizi aggiuntivi 0217MibactConsip.docx – 1424686431563_0217MibactConsip

(5) Si veda il commento di Francesco Erbani nell’articolo citato

(6) Per Colosseo e siti collegati ci risulta che  chi non vuole sottoporsi al supplizio delle lunghissime code alle biglietterie (nessun distributore automatico, una card che non vale per tutti i musei romani) se vuole fare una prenotazione on line deve pagare un supllemento di 2 euro al concessionario

(7)  XVII LEGISLATURAAllegato B Seduta di Martedì 31 marzo 2015 BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO Interrogazioni a risposta immediata di  PICCOLI NARDELLI, COSCIA, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, D’OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, RAMPI, ROCCHI, ANDREA ROMANO, PAOLO ROSSI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. —

(8) Risposta scritta pubblicata nel fascicolo n. 092  all’Interrogazione4-01633

Interrogazione a risposta scritta 401633 presentata da WALTER TOCCI  mercoledì 5 febbraio 2014, seduta n.184

Risposta. – Si specifica che in sintonia con gli indirizzi adottati dal Governo nel quadro della razionalizzazione della spesa e nell’ambito del “Programma di razionalizzazione degli acquisti pubblici di beni e servizi”, al fine di conseguire in modo tempestivo e soddisfacente il risultato di un rinnovo virtuoso dei servizi strumentali e per il pubblico di musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di competenza di questo Ministero, si è ritenuto opportuno avvalersi della collaborazione di CONSIP SpA, società partecipata del Ministero dell’economia e delle finanze che già opera al servizio esclusivo della pubblica amministrazione per l’acquisizione di beni e servizi, al fine di definire, in stretta cooperazione con i competenti uffici ministeriali, sia centrali, sia periferici, le appropriate procedure finalizzate alla stipula di uno o più accordi quadro di cui all’art. 59 del codice dei contratti pubblici, per la successiva aggiudicazione di concessioni di servizio, a livello territoriale, tali da soddisfare le esigenze in atto per tale settore.

L’accordo rispecchia anche gli obiettivi del decreto-legge n. 83 del 2014, cosiddetto Art Bonus, e della riforma organizzativa del Ministero con la quale, in particolare, si è riconosciuto un ruolo strategico ai musei italiani. La collaborazione tra il Ministero e CONSIP infatti mira, da una parte, a consentire allo Stato e ai privati di investire sui servizi museali, potenziandoli e migliorandone la qualità, garantendo al contempo che la progettazione culturale resti in mano pubblica; dall’altra, ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi aggiuntivi offerti negli istituti e luoghi della cultura pubblici. L’avvio del progetto condiviso tra Ministero e CONSIP, inoltre, porrà fine al periodo delle proroghe nell’affidamento dei servizi aggiuntivi e consentirà all’amministrazione di avvalersi delle migliori risorse pubbliche e private per promuovere la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale del Paese.

L’accordo prevede 3 gruppi di gare: 1) gare macroregionali sui servizi gestionali, cosiddetto facility management. La prima gara rende disponibili al Ministero, e facoltativamente agli enti locali, i servizi gestionali necessari all’efficace ed efficiente funzionamento degli istituti e dei luoghi della cultura pubblici: “servizi operativi” (manutenzione edile e impiantistica, pulizia, guardaroba, facchinaggio) e “servizi di governo” (sistema informativo, call center, anagrafica tecnica); 2) gara nazionale per il servizio di biglietteria. La seconda gara punta all’acquisizione, a livello nazionale, di un servizio online di biglietteria, prenotazione e prevendita, usato da tutti i siti del Ministero e facoltativamente dagli enti locali, i cui dati confluiranno verso un sistema ICT specifico per il Ministero e si integreranno con i servizi di biglietteria dei diversi istituti e luoghi della cultura pubblici; 3) gara per i servizi culturali in concessione. La terza gara è volta all’acquisizione dei servizi finalizzati allo sviluppo di specifici “progetti culturali” per la migliore fruizione dei siti, sia per il Ministero sia per gli enti locali: a titolo di esempio, servizi di accoglienza, visite guidate, didattica, eventi e anche biglietteria.

BORLETTI DELL’ACQUA ILARIA CARLA ANNA Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e per il turismo

10/07/2015

I musei italiani sono un affare solo per i privati Bookshop, visite guidate e gadget: lo Stato incassa solo briciole dai servizi aggiuntivi. Ma il ministro ora vuole cambiare tutto. Ecco come

di Paolo Fantauzzi e Francesca Sironi

Gennaio: il mese delle grandi speranze. A giorni il ministro Dario Franceschini dovrebbe rendere noti gli strumenti con cui intende districare uno dei grovigli più spinosi del suo mandato: il gomitolo gordiano dei servizi aggiuntivi, le attività che ruotano attorno a monumenti e musei – dalle visite guidate ai libri, dalla ristorazione alla prevendita dei biglietti online – affidate in base a contratti scaduti da anni e prorogati o rappezzati fino ad oggi. A beneficio di pochi privati. E spesso a discapito del pubblico.

Il ministro si è deciso ad aprire queste finestre per avviare il tanto agognato new deal della “valorizzazione”, e promette (come d’altronde quasi tutti i suoi predecessori) di mettere mano alla giungla di ricorsi e rinvii in cui si sono ossidati i rapporti fra soprintendenze e imprese. Fra i pochi che ci guadagnano dall’attuale sistema, infatti, di certo non c’è lo Stato. Le aziende che noleggiano audioguide o vendono t-shirt di Leonardo nel cuore dei luoghi della cultura hanno incassato dal 2001 più di mezzo miliardo di euro. Grazie a una generosa ripartizione mai ritoccata, al ministero hanno versato meno di 75 milioni. Neppure il 15 per cento.

Dell’anomalia si sono accorti in parecchi: Corte dei conti, Antitrust, giudici amministrativi. Ma nulla ha impedito fino ad oggi che questa ricchezza si concentrasse nei bilanci di pochi. Società quali il gruppo Civita (che fa capo a Luigi Abete e Gianni Letta), Electa-Mondadori e Coopculture (affiliata alla rossa Lega delle cooperative) si spartiscono alcune delle principali cornucopie turistiche nazionali, come il Colosseo o gli scavi di Pompei. Dietro la triade politicamente corretta c’è poi una selva di soggetti grandi e piccoli che da Trieste a Reggio Calabria seguono ricami ogni volta diversi, rendendo impossibile comporre un quadro nazionale.

SOTTO IL SEGNO DI CONSIP
«Voglio trasparenza assoluta. Dobbiamo finirla con questi monopoli mascherati», batte i pugni Franceschini presentando a “l’Espresso” la sua idea di riforma: «Trovo assurdo che lo Stato non partecipi direttamente alla gestione della parte più redditizia dei musei. È un tema su cui stiamo lavorando dall’inizio del mio mandato e su cui non mi rassegno. Penso si debba tornare, almeno in un’opzione di scelta, alla titolarità pubblica». Il modello è la Francia, dove una società statale, la Rmn (Réunion des Musées Nationaux) compete con i privati per aggiudicarsi castelli e gallerie. L’opzione parigina sarebbe resa possibile in Italia proprio dal nuovo accordo, atteso a giorni, attraverso il quale verranno selezionate le aziende che si occuperanno dei servizi di base (pulizie, manutenzione) e delle attività rivolte ai visitatori. E pur considerandola «non ancora pronta», Franceschini ha già deciso quale sarà la pedina che rappresenterà lo Stato alla partita: Ales, una società dal passato tormentato contro cui gli operatori di mercato sono già pronti a dichiarare guerra.

La nouvelle vague statalista dei beni culturali passa anche dalla struttura chiamata a elaborare criteri e contenuti delle nuove gare. Il compito è stato affidato alla Consip, la centrale d’acquisti per la pubblica amministrazione. La discesa in campo artistico dei burocrati del risparmio è dipinta dagli amanti del Rinascimento come la Golconda di Magritte: una calata dal cielo di uomini in nero, compratori di matite e contrattatori di pulizie inadatti a giudicare ciò che è meglio per il nostro patrimonio. Alle critiche i “signori con la bombetta” ribattono snocciolando promesse iperboliche: «È il progetto più bello e importante dei nostri 18 anni di storia», afferma entusiasta l’amministratore delegato di Consip, Domenico Casalino: «Il nostro obiettivo è far esplodere il fatturato dei monumenti dagli attuali 380 milioni stimati a livello nazionale a due miliardi e mezzo nel 2017». Le nuove gare, assicura, attrarranno società straniere e sapranno resistere ai ricorsi, a differenza di quelle bandite nel 2011 con nuove linee guida costate 200mila euro solo di consulenze e impallinate dai Tar di mezza Italia. Non sarà la sola apertura alla globalizzazione delle nostre bellezze: il governo ha appena fatto pubblicare sul settimanale “The Economist” il bando per la selezione di 20 super-manager di caratura internazionale per altrettanti super-musei nati per decreto poco prima di Natale (fra i quali ci saranno poli come gli Uffizi, Brera, la Reggia di Caserta).

SPRECO CAPITALE
L’annunciata rivoluzione non sarà impetuosa: per avere risultati concreti bisognerà aspettare la primavera del 2016. Un anno almeno sarà necessario, dicono da Consip, per selezionare le aziende e poi permettere ai soprintendenti di elaborare i progetti, pubblicare i bandi, fronteggiare eventuali ricorsi… Potrà quindi sonnecchiare ancora per un po’ anche Roma, caso emblematico dei grovigli arrugginiti rappresentati oggi dai servizi aggiuntivi. Nella Città eterna, che ogni anno richiama oltre 12 milioni di visitatori, lo Stato racimola solo le briciole dal tourbillon di acquisti culturali. Nel 2013 fra visite guidate, merchandising, prenotazioni, spuntini e caffè, monumenti e musei statali hanno incassato oltre 17 milioni di euro. Introiti virtualmente balsamici per le finanze esangui del Mibact, ma finiti quasi tutti nelle tasche dei privati: 15 milioni sono rimasti ai concessionari. Il Colosseo, icona universale dell’antica Roma, è anche l’emblema del suo paradosso, l’incapacità di farsi ricca col proprio patrimonio: otto milioni infatti sono stati trattenuti dai concessionari e solo 1,2 sono andati alla soprintendenza. Appena il 13 per cento, una delle quote più basse in Italia fra i grandi catalizzatori di presenze.

Non solo. Per quanto strano possa apparire, da audioguide e visite guidate (che solo nell’Anfiteatro Flavio valgono tre milioni l’anno) alle casse pubbliche non finisce nemmeno un centesimo. La ragione? L’accordo coi privati non prevede royalties per queste voci. Come contropartita, la Soprintendenza archeologica ha ottenuto un servizio di guardaroba gratuito in quattro musei e visite istituzionali in tutte le lingue quando ci sono ospiti di riguardo. Non proprio lo stesso peso, forse, sulla bilancia.

Si resta interdetti anche all’ingresso della Domus aurea, la meravigliosa dimora di Nerone per il cui ripristino lo Stato ha speso 18 milioni di euro e ora chiede aiuto sul Web ai cittadini in modo da ottenere i restanti 31 milioni necessari. Oggi che i turisti arrivano a frotte e potrebbero contribuire alla rinascita, la soprintendenza incassa soltanto quattro euro su 12 di ogni biglietto strappato. Così a brindare dell’avvenuto restauro, oltre a tutti gli appassionati, sono soprattutto i concessionari: la berlusconiana Electa-Mondadori e la rossa Coopculture, a dimostrazione che nella capitale le larghe intese non sono una novità, visto che l’affidamento risale al 1997 e dal 2009 va avanti a colpi di proroghe.

PARADOSSI NAZIONALI
«Nessuno però considera gli investimenti che i privati devono sostenere ogni anno per le strutture e la promozione nei musei», sostiene Patrizia Asproni, presidente di Confcultura, l’associazione di Confindustria che riunisce gli operatori del settore: «Noi svolgiamo servizi che lo Stato non è in grado di fare». In ogni caso, non è detto che debba andare sempre come a Roma. Da Pompei, ad esempio, al ministero va oltre un terzo dei proventi: la biglietteria della città sepolta frutta 20 milioni di euro l’anno e ai privati resta solo il 7 per cento (uno dei tassi più bassi di tutta Italia), gli incassi delle audioguide vengono ripartiti a metà, mentre caffetteria e ristorante pagano un canone mensile da 37 mila euro. Quasi il triplo di quanto versa Electa per gestire i bookshop del cuore archeologico di Roma, che pure fruttano cinque milioni l’anno grazie a siti deluxe quali il Colosseo e i Fori. Oltre alla percentuale sui ricavi, infatti, a volte le aziende pagano pure un contributo stabile. A Venezia, per il circuito che comprende le Gallerie dell’Accademia, Ca’ d’Oro e Casa Grimani, alla soprintendenza viene riconosciuto un quarto degli introiti e un assegno fisso di 125mila euro all’anno. Come a Brera.

Da Napoli a Venezia i confronti possono apparire paradossali. E non sono i soli. Gli Uffizi, nonostante la mole assicurata di turisti e profitti, trattengono solo il 14,2 per cento dei ricavi e riconoscono ai privati il 25 per cento degli incassi da biglietteria (il massimo, per legge, è il 30). Al Cenacolo di Milano, al contrario, la soprintendenza trattiene il 90 per cento dei guadagni d’ingresso e ben il 44,6 delle vendite di poster, calamite e riproduzioni dell’Ultima Cena. Significa che lo Stato nel 2013 ha ricevuto 725mila euro su 1,6 milioni fatturati intorno al capolavoro di Leonardo, mentre dal porto romano di Ostia antica, che ha incassato poco meno (un milione), ne sono arrivati appena 92mila: il 9 per cento.

Se nella capitale non si riesce a ottenere di più, ancora meno è riconosciuto allo Stato per la conservazione di una delle più alte testimonianze del Rinascimento: ad Arezzo solo un euro ogni 20 “guadagnati” dagli affreschi di Piero della Francesca nella Basilica di San Francesco va alle casse pubbliche. Il resto rimane ad un’associazione d’imprese composta da Mosaico, Munus e da una cooperativa locale. Munus è una società di Alberto Zamorani, l’ex manager statale coinvolto nel ’92 in Mani Pulite ed è detenuta al 100 per cento dalla stessa Mosaico, i cui proprietari risultano Giulia e Giovanni Zamorani.

CHI TIENE I CONTI?
A chiedere spiegazioni su questo rebus di spettanze e contributi, si ottiene sempre la stessa risposta: «È quello che prevede il contratto». Il riferimento è però magari a rapporti ingessati da un decennio. Quando si è trattato di prorogare lo status quo, poi, lo Stato si è dimostrato spesso disponibile ad andare incontro ai privati. Raro il contrario.

Nel 2003, all’atto di rinnovare il contratto firmato quattro anni prima, i gestori della biglietteria della Reggia di Caserta chiesero aiuto alla soprintendenza: i visitatori calavano e non erano più sostenibili le condizioni pattuite. La percentuale riconosciuta all’azienda fu così più che raddoppiata e portata dall’11 al 25 per cento. Nel 2009, a causa dell’emergenza rifiuti, anche gli altri concessionari ottennero uno “sconto” che tuttora consente loro di versare il 15 anziché il 25 per per cento degli incassi. Il principio non pare essere reversibile: nelle ultime stagioni i proventi sono tornati a salire (quasi due milioni di euro al botteghino dal 2010 in poi) ma la ripartizione non è stata ritoccata. «È vero, bisognerebbe rivedere le percentuali ma in attesa della riforma siamo tutti nel limbo», ammette il soprintendente Fabrizio Vona.

LA SCOMMESSA DEI PICCOLI
Nelle realtà marginali, dove non ci sono appetiti da soddisfare, capita che i grandi nomi non nutrano alcun interesse alla partita. Così ci si arrangia come si può. Con risultati magrissimi, come nel caso dell’archeologico La Civitella, a Chieti, un museo di nuova generazione con tanto di laboratorio e auditorium per conferenze. Quando fu inaugurato, una quindicina d’anni fa, richiamò 20 mila visitatori. Poi è scivolato ai 6 mila attuali (di cui un migliaio appena paganti). Non c’è da stupirsi, dunque, se nel 2013 l’accordo con la libreria cittadina per il bookshop ha fruttato appena 30 euro e 9 centesimi.

Viste le cifre così modeste, più che far cassa l’obiettivo può diventare allora solo quello della legge Ronchey che nel 1993 ha istituito i servizi aggiuntivi: ampliare la fruizione del patrimonio culturale. È il progetto del Molise, dove il direttore regionale Gino Famiglietti ha affidato la gestione di scavi e musei a una cooperativa di laureati under 40: la Memo cantieri culturali, formata da archeologi e storici dell’arte, che paga un canone agevolato di 3400 euro all’anno, un quinto dell’ultimo incasso realizzato. «La scommessa non è fare più soldi, perché è impensabile riuscirci coi luoghi minori», spiega Famiglietti, «ma aumentare i visitatori creando un indotto per un turismo che non sia mordi e fuggi. E dare la possibilità di svolgere questo lavoro a chi ha studiato per farlo ma raramente ci riesce».

Aggiornamento del 12 gennaio 2015 ore 16,18:

Musei, ecco il piano per aprire il mercato con i privati la torta arriva a 2,5 miliardi

PIÙ GARE, BENCHMARK, NUOVI SERVIZI, MARKETING E ORARI FLESSIBILI. COSÌ LA GESTIONE DEI SITI MUSEALI PUÒ RAGGIUNGERE STANDARD EUROPEI E ATTRARRE INVESTIMENTI E OPERATORI. IL PROGETTO È DI CONSIP MA FRANCESCHINI NON È DEL TUTTO CONVINTO  di Francesco Erbani La Repubblica 13 ottobre 2014

Roma Potrebbero crescere dagli attuali 380 milioni a 2 miliardi e oltre gli incassi nei nostri musei, nelle aree archeologiche e nei siti monumentali. Cifre reali o cifre da sogno? Un futuro fondato su calcoli e simulazioni concrete o vaghe, generose aspirazioni? Consip, la società del ministero per l’Economia che supporta le amministrazioni pubbliche per l’acquisto di beni e servizi, ha messo a punto un piano che intende rivedere l’intero sistema delle gare per i cosiddetti servizi aggiuntivi – dai bar ai bookshop, dai ristoranti agli ausili didattici, dai guardaroba all’allestimento di mostre – che la legge Ronchey (1992) affida ai privati. Dalla rivoluzione del settore si conta, o si spera, che frotte di visitatori sciamino per i luoghi d’arte e che una pioggia di quattrini affluisca nelle mortificate casse dei Beni culturali, strapazzate da anni di tagli draconiani: era di 2 miliardi il bilancio del 2008, sceso a 1 e mezzo nel 2013, vale a dire dallo 0,28 allo 0,20 dell’intero bilancio dello Stato. Un’intesa con il ministero per i Beni culturali è già avviata, anche se non definita nei dettagli. Ma non sono dettagli da poco: al Collegio Romano, sede degli uffici retti da Dario Franceschini, vorrebbero che il settore – accusato di essere asfittico, bersagliato dalla Corte dei Conti, con concessioni in proroga da anni, tantissime gare annullate – venisse rovesciato come un calzino. Però sul modello proposto da Consip, che consiste nell’affidare a un’unica figura servizi divisi fra diversi gestori, le perplessità non mancano. Per le mostre o per i laboratori didattici, per esempio, non si può ragionare come sulla pulizia o le prenotazioni online: qui non conta solo la massima convenienza, si sente dire al ministero. Dove si sta lavorando perché alle gare possano partecipare anche soggetti pubblici (potrebbe essere Ales, società del ministero, a occuparsi di questa partita). Franceschini sfoggia diplomazia: «Stiamo discutendo su come uscire da un sistema assurdo e adottarne un altro di massima trasparenza, economicità e con maggiori introiti per lo Stato», dice il ministro, «ma non dimentichiamo che alcune attribuzioni rientrano nelle competenze tecnico- scientifiche del direttore di un museo o di un sito archeologico ». La partita è grossa e delicata insieme. E investe, scostato appena il velo dai servizi aggiuntivi, l’antica questione di come valorizzare i beni culturali, se al fine di acquisire maggiori conoscenze o se per produrre reddito e occupazione. O anche per entrambi gli obiettivi. Inoltre, si sente dire fra chi lavora nella tutela, «non vorremmo arrivare a un sistema in cui ai tagli crescenti da parte dello Stato i beni culturali debbano far fronte procurandosi i soldi da sé». Difese corporative o anche la preoccupazione per la salute di un patrimonio dissestato, fatto non solo di musei e che richiede un incremento e non un allentamento della tutela? Consip prevede di stipulare un accordo quadro con uno o più operatori vincitori di una gara. L’accordo fissa condizioni di base che troveranno articolazione in successivi appalti. In questo modo, stando alle intenzioni, le soprintendenze, che negli anni hanno perso tantissimo personale e quello rimasto è sempre più avanti in età, dovrebbero essere esonerate dall’onere di complicate procedure di gara. Come si faccia ad arrivare dagli attuali 380 milioni a oltre 2 miliardi è frutto di studi che Consip non rende noti: da raffronti internazionali e dall’esame delle situazioni più critiche, Consip ricava che mettendo in rete strutture museali, migliorando la loro conoscenza, la relazione con il territorio e l’accoglienza possono crescere visitatori, biglietti e ricavi dei gestori. I servizi aggiuntivi sono il luogo dove dialogano pubblico e privato, tutela e valorizzazione. È una torta piccola, distribuita in tante, minuscole fette che ogni tanto si raggrumano in appetitosi bocconi. Nei siti d’arte di proprietà dello Stato (431 su oltre 4500 censiti in Italia, 38 milioni di visitatori nel 2013, con incassi di 126 milioni) fatturano 46 milioni, attirando 9 milioni di clienti. Solo il 29 per cento dei musei statali e il 24 di quelli non statali (dei Comuni o di altri enti territoriali), però, hanno servizi aggiuntivi. Stando a una ricerca di Intesa San Paolo del 2011, il Metropolitan di New York incassa da bookshop, merchandising e ristoranti 72 milioni. Paragoni si possono sempre fare, come quello, ossessivamente ripetuto, del Louvre che conta cinque volte i visitatori degli Uffizi, senza considerare che è molto, ma molto più grande del museo fiorentino e che il patrimonio italiano è tanto più distribuito di quello francese. Ma pur presi con le pinze, i paragoni segnalano la minorità di un settore e le sue potenzialità di espansione. Oltre che d’innovazione: perché non è detto, fanno notare molti operatori, che ci si debba limitare alla caffetteria. A Santa Maria Capua Vetere, per esempio, l’area archeologica con un anfiteatro romano di grande pregio è gestita dal consorzio Arte’m net, che ha vinto una gara fra mille ostilità. Fautrice dell’iniziativa la soprintendente Adele Campanelli. Arte’m cura la biglietteria, il bookshop e anche l’animazione per bambini e un ristorante con prodotti biologici provenienti da quello stesso difficile territorio casertano, affidato a Gennaro Esposito, chef stellato di Vico Equense. Erano 27 mila i visitatori nel 2012, nei primi sei mesi del 2014 sono diventati 42 mila. Ma un problema sovrasta gli altri. Stando alle elaborazioni del ministero per i Beni culturali, di quei 46 milioni incassati con i servizi aggiuntivi, solo poco più di 6 sono entrati nelle casse dello Stato. Il resto, meno del 90 per cento, è andato ai gestori privati. Questo è il dato nazionale, caso per caso il rapporto può cambiare. Ma in molti sottolineano la scarsa redditività di simili operazioni per le dissanguate finanze del ministero. Di fatto la pinacoteca o il museo etrusco possono essere usati come scenario per attività commerciali, non particolarmente lucrose, ma comunque influenti sulla percezione di un sito d’arte. Il piano messo a punto da Consip, oltre a prevedere maggiori entrate, propone di ribaltare la proporzione fissando, grosso modo, nel 90 per cento l’introito pubblico e nel 10 quello privato. E questo, spiega l’amministratore delegato Domenico Casalino, in una prospettiva di allargamento del mercato e di visitatori che aumentano, prospettiva che attrae gli operatori privati con i quali sono in corso contatti. «L’obiettivo del progetto – spiega Casalino – è di valorizzare soprattutto il patrimonio culturale “minore” del nostro Paese». Pompei e il Colosseo, con 2 milioni e 300 mila e oltre 5 milioni di visitatori, 19 e 30 milioni di incasso, rispettivamente, non riescono a incrementare più di tanto i biglietti staccati, ma forse, aggiungono a Consip, possono farlo le necropoli e i musei etruschi dell’Alto Lazio. Un’altra ipotesi prevede che chi si assicura i servizi aggiuntivi di un sito con molti visitatori, possa riversare gli utili su un altro sito meno vantaggioso, ma non meno prezioso. La discussione procede mentre il piano tariffario di Franceschini (niente biglietti gratuiti per gli over 65, apertura fino alle 22 il venerdì, ingresso libero la prima domenica del mese) comincia a dare frutti: in tre mesi i visitatori sono cresciuti da 9 milioni e 300 mila a 10 milioni, con un aumento degli incassi di circa 3,5 milioni. Ma resta da chiarire come i cambiamenti nei servizi aggiuntivi si sposino con la riforma del ministero che, faticosamente, muove i primi passi e che accresce l’autonomia per 18 fra grandi musei e siti archeologici. Il ministro dei Beni culturali Enrico Franceschini 1 2 Qui sopra, l’ad di Consip Domenico Casalino (1): suo il progetto per ristrutturare il settore dei servizi aggiuntivi del sistema museale. Adele Campanelli (2), sovrintendente di Caserta, Salerno, Avellino e Benevento

(13 ottobre 2014)

 

 Solo per i privati. Allo Stato briciole Le società concessionarie di servizi aggiuntivi guadagnano grazie a concessioni opache Il caso del Colosseo e i silenzi del MiBACT

di Vittorio Emiliani Roma L’Unità 7 gennaio 2014

C’è chi ripete, bontà sua, che musei e monumenti «sono macchine da soldi». È vero, ma solo per le società private concessionarie di servizi aggiuntivi – in testa Electa del gruppo Mondadori (quindi Berlusconi) – che operano in base a concessioni tanto «grasse» quanto opache. A «riformarle» era stato chiamato da Berlusconi l’amico personale Mario Resca manager di hamburger, casinò e zuccheri, il quale, durante l’incarico ministeriale, rimase bellamente seduto nel CdA di Mondadori controllore di Electa. Tanto seduto da non riformare un bel niente. Anzi, avendo cucinato in forma di spezzatino le linee-guida degli appalti ha bloccato tutto. Pertanto dal 31 dicembre 2009 quasi tutti i contratti per i servizi aggiuntivi sono scaduti e vengono prorogati contro ogni norma, nazionale ed europea sulla concorrenza. C’è qualcosa sul sito ufficiale del Ministero competente (o incompetente?)? L’ha denunciato Stefania Rimini in un bel servizio su Report di Milena Gabanelli. Nessuno ha fiatato. Eppure la torta è di quelle ricche. Eppure la situazione è stata severamente criticata dall’Antitrust e dalla Ue. L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha sollecitato interventi per sanare svariate irregolarità, quasi un anno fa, nel marzo 2013. In maggio il direttore generale alla Valorizzazione, Anna Maria Buzzi, succeduta al prode Resca, garantiva: entro un mese le linee-guida saranno pronte. Due mesi dopo, Enrico Letta assicurava, in un question time alla Camera: manca poco al sospirato varo delle linee-guida. L’estate è passata. Invano. Il 2 dicembre scorso lo stesso direttore generale Anna Maria Buzzi ha dichiarato al «Sole 24 Ore»: «A fine novembre 2012 (sic) abbiamo attivato una consultazione pubblica che ci ha permesso di stilare una bozza del documento che prima dell’estate 2013 è stato sottoposto alla valutazione degli addetti ai lavori (ndr le stazioni appaltanti del MiBACT? Le direzioni regionali e le Soprintendenze autonome? Non si sa). Ora le linee-guida sono in versione definitiva». Benissimo, ma, per ora, dal porto delle nebbie chiamato MiBACT non è emerso nemmeno un lacerto di linee-guida. Il ministro Massimo Bray viaggia molto, coi più svariati mezzi (bicicletta, anche lui, treno, auto, ecc.), ma queste benedette linee-guida che dovrebbero normalizzare e, diciamolo, legalizzare gli appalti dei lucrosi servizi museali restano ferme sul suo tavolo. Perché? percentuali Può darsi che qualcosa nei prossimi giorni emerga dalle brume tiberine del Ministero visto che si è mossa la Corte dei conti ritenendo che le percentuali attribuite alle società private sui biglietti di alcune mostre romane siano spropositate. In generale non si può superare il tetto del 30 per cento. Ma la mostra di Palazzo Venezia dedicata dal Polo museale al pittore seicentesco Carlo Saraceni non va niente bene (nella capitale la macchina infernale del «mostrificio» sta lasciando sul lastrico varie vittime) e quindi – si giustificano le due società appaltatrici dei servizi, Civita Cultura (Civita è presieduta da Gianni Letta) e Munus – «l’andamento degli incassi è tale da non riuscire a coprire l’investimento». E il rischio d’impresa allora? Sia come sia, su 10 euro di biglietto, 7,75 vanno alle due società e 2,25 al Polo Museale. Briciole. Del resto, per salire sull’orribile ascensore del Vittoriano – ormai prossimo a divenire anch’esso un pezzo del «divertimentificio» romano – si pagano 8 euro. A chi vanno in tasca e quanto di essi va allo Stato? Una percentuale del 70 per cento viene sicuramente lucrata dall’Electa sui 3 euro pagati per ogni mostra al Colosseo (e chi non visita una mostra là dentro?), i quali si aggiungono ai 12 del normale biglietto per Colosseo-Palatino-Foro Romano. Cifra neppure modestissima, anche rispetto ad un grande museo come il Louvre dove ci si ferma a 10 euro. Quindi, quel 70 per cento sui 3 euro aggiuntivi per le visite alla mostra interna al Colosseo fruttano un bel po’ di euro in più. Restiamo nell’Anfiteatro Flavio che, come si sa, registra all’anno oltre 5 milioni di visitatori e un introito sui 35 milioni di euro (in Italia la quota dei biglietti ridotti o gratuiti è elevata). Sulla prenotazione dei biglietti non ci sono royalties per la Soprintendenza. Giusto? Diciamo (a fatica) di sì. Ma non ce ne sono neppure sulle audioguide e questo francamente non è comprensibile: il materiale audio è stato ricavato da un monumento il cui restauro e la cui manutenzione sono costati milioni e milioni di denaro pubblico. Ma v’è di più e di peggio: le visite guidate, interessantissime, ai sotterranei, al terzo livello, all’arena del Colosseo costano al turista altri 9 euro di giorno e 20 euro di notte. Ma pure su queste non c’è neppure un 1 per cento di royalty per lo Stato. Se vi fosse una percentuale anche modesta per la Soprintendenza Archeologica di Roma e Ostia, a quest’ultima andrebbe un bel gruzzolo di euro, no? Mettiamo che i visitatori dei sotterranei siano 50mila all’anno, meno di un decimo del totale del Colosseo, e che la società concessionaria incassi mediamente 15 euro a visitatore, fra diurni e notturni: farebbero 750mila euro. Se un 10 per cento andasse alla Soprintendenza, questa si ritroverebbe in cassa altri 75.000 euro. Una manna. Invece niente di niente. Eppure quelle visite guidate riguardano un bene dello Stato, conservato a spese nostre. il porto delle nebbie Già, un bene dello Stato. Ma, sabato 4, ad «Ambiente Italia» (Rai3) l’inviato Igor Staglianò ha chiesto all’architetto Pia Petrangeli che, di fatto, rispondeva a nome del ministro Bray, perché le convenzioni come quella con Diego Della Valle non fossero on line nel sito del MiBACT, la signora ha sorriso dicendo più o meno: «Sa, quando c’è di mezzo un privato, un certo riserbo è d’obbligo». Da trasecolare. Il Colosseo non è un bene dello Stato e noi cittadini non abbiamo il diritto di sapere tutto su di esso? Per la verità la stessa Petrangeli il 2 agosto 2012 dopo la conferenza stampa con l’allora sindaco Alemanno e Della Valle, in una circostanziata intervista aveva parlato del Centro servizi affidato ad una non meglio identificata Fondazione Onlus Amici del Colosseo «attraverso la quale lo sponsor potrà portare avanti» le sue iniziative, ammettendo che lo sponsor avrebbe potuto esporre il suo logo «sul recinto del cantiere alto 2 metri e mezzo» e «sul retro dei biglietti di ingresso». Lo avevamo letto nella bozza di convenzione diffusa dalla Uil-Bac e poi però sparita nel nulla. Ora il riserbo diventa totale. Perché mai? Come per le concessioni (ministro Bray, le faccia emergere) siamo immersi nel porto delle nebbie.

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