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Continuiamo a parlare di PNRR e trasparenza

Rilanciamo alcuni articoli di associazioni che si occupano del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che dovrebbe portare molti fondi a progetti italiani – fondi in gran parte poi da restituire – con tempistiche e modalità realizzative assai stringenti. Che sembra siano ancora molto lontani dal raggiungimento, così come l’indispensabile trasparenza (AMBM)

Pochi, mal pagati e non formati: sono i dipendenti pubblici italiani. E il Pnrr resta al palo

La Corte dei conti denuncia i ritardi nella realizzazione delle opere da parte delle piccole amministrazioni di Andrea Ballone

Questa è la sesta puntata dell’inchiesta “Le mani sulla Ripartenza” sul conflitti di interessi e le opacità del Pnrr in Italia, organizzata in collaborazione fra IrpiMedia e The Good Lobby.
Il progetto è finanziato dai cittadini e dalle cittadine. Vuoi partecipare? Dona ora >>


I ritardi nella realizzazione del Piano di ripresa e resilienza sono imputabili alle piccole amministrazioni territoriali: impreparate e sotto organico. A dirlo è la Corte dei conti. La seconda rata del Recovery Fund prevista per l’Italia è arrivata, ma prima del suo accredito, del quale il nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti si è detto orgoglioso, è arrivata anche la bacchettata della Corte dei conti italiana.

Più che una vera e propria bacchettata è stata una tirata d’orecchi, che la dice lunga però sullo stato della pubblica amministrazione italiana, in modo particolare quella locale, che sembra arrancare dietro ai progetti del Pnrr. Le amministrazioni locali sono quelle in maggiore difficoltà nella realizzazione dei target imposti dall’Unione europea. Ed è un vero peccato, perché a disposizione ci sono molti fondi che potrebbero intervenire a sistemare il patrimonio immobiliare dei comuni, che in Italia è tutt’altro che nuovo, ma anche i servizi, provati da un decennio di patti di stabilità, che vincolavano la spesa corrente (quella che copre in prevalenza i servizi) a una percentuale legata ai precedenti bilanci.

Fin dalla metà degli anni 2000 fu l’amministrazione centrale, su precisa indicazione dell’Unione europea, a imporre limiti di spesa. L’obiettivo era tenere sotto controllo gli sprechi e l’indebitamento, ma il risultato è stato quello di impoverire in modo progressivo anche gli organici delle amministrazioni. Soprattutto di quelle comunali, che oggi si arrovellano su come spendere i fondi che proprio dall’Europa stanno arrivando.

Il Pnrr potrebbe essere quella boccata d’ossigeno che alle amministrazioni manca, ma senza un’adeguata capacità di respirare si può solo rimandare il soffocamento. Come è successo negli ultimi 12 anni ad esempio a Ischia, l’isola travolta dall’alluvione lo scorso novembre. Il Ministero dell’ambiente aveva stanziato tre milioni di euro per prevenire il dissesto idrogeologico. Ma non sono mai stati spesi. Altri ne arriveranno proprio con il Pnrr e si sta già chiedendo il supporto dell’Istituto Ispra (specializzato in studi ambientali) per spendere quei fondi che rischiano di ritornare all’Europa.

Chi ha in mano il pallino sono i cosiddetti Rup (Responsabili unici di progetto) cioè i tecnici comunali, che rischiano di essere però numericamente insufficienti, e tecnicamente impreparati a gestire questi fondi. «Siamo noi – racconta l’assessore di un piccolo comune lombardo – alla sera a guardare i bandi e capire quelli ai quali si può partecipare». Di questo gap di competenze se n’è accorta a luglio anche la Corte dei conti che nel suo report sul Pnrr di luglio scriveva delle difficoltà delle «amministrazioni per finanziare i progetti previsti dal piano, tenuto conto che le ultime stime elaborate dell’Ufficio parlamentare di bilancio evidenziano come nel 2021 ci sia stata una realizzazione degli interventi del Pnrr inferiore a quanto ipotizzato, con una spesa pari al 37,2 per cento di quanto preventivato».

Lo strumento di controllo punta poi il dito proprio contro le amministrazioni. Se da un lato si spiega come l’andamento della realizzazione del piano sia nel complesso positivo nel raggiungimento di obiettivi e target intermedi, la struttura di controllo segnala come sia «emersa la problematica connessa alla capacità di spesa delle singole amministrazioni».

Esclusi perché senza impiegati

Il Pnrr ha scoperchiato così il vaso di Pandora della pubblica amministrazione italiana, i cui impiegati sono sempre meno, spesso impreparati e incapaci di gestire una situazione di questo tipo. «Le difficoltà che gli enti beneficiari potrebbero riscontrare sono di natura amministrativa. – scrive la Corte – Infatti, soprattutto i comuni più piccoli da tempo rappresentano carenza di risorse umane qualificate, nonché numerose complessità burocratiche e contrattuali che aggravano la procedura di affidamento delle opere».

Quello che scrive la Corte dei conti è una relativa novità. Perché già nel giugno 2021 il Ministero per la pubblica amministrazione denunciava una carenza di personale in rapporto agli altri paesi europei e parlava di una pubblica amministrazione «anziana» con un’età media di cinquantadue anni per gli impiegati comunali e cinquantasei per i dirigenti. Il rapporto presentato al Forum della pubblica amministrazione parlava di una spesa per il personale inferiore di 110 milioni di euro rispetto a dieci anni prima. Ma nel 2021 nel rapporto sulla pubblica amministrazione si scriveva: «Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno previsti investimenti in Capacità amministrativa della Pa per 1,3 miliardi, e ulteriori 0,4 miliardi di fondi strutturali Ue e cofinanziamento nazionale».

Se si analizzano i milestone per la pubblica amministrazione si scopre però che la prima scadenza era prevista per il 30 giugno 2022 e quella definitiva per il 30 giugno 2023. In pratica gli investimenti per rimpolpare il personale sarebbero arrivati in un secondo momento rispetto ai fondi per realizzare le opere, che necessitano di maggiore personale.

Nel 2020 il blocco dei concorsi non ha permesso al turnover di ritrovare un equilibrio

Eppure qualcosa era stato fatto. Nel 2020 si erano aperte molte possibilità per integrare le piante organiche. Era stato predisposto lo sblocco del turn over che ormai da anni impediva gli ingressi di nuove leve nel settore pubblico. All’inizio si parlava di una nuova assunzione ogni quattro licenziamenti, poi progressivamente le maglie si sono aperte, ma non a sufficienza, anche perché si prevede un’ulteriore fuoriuscita di 300 mila lavoratori nei prossimi anni, dopo l’esodo legato alla decisione di quota 101, che ha visto andare in pensione soprattutto lavoratori del pubblico impiego.

«Abbiamo avuto un regime di turnover negativo fino al 2018 – spiega Alessandro Purificato della Cgil Fp – Gli enti pubblici potevano assumere sempre meno personale di quello che andava in pensione. Siamo arrivati al 100% soltanto nel 2019, ma sono stati poi stabiliti criteri che non sono pratici».

La possibilità di assumere è data oggi, infatti, dal rapporto tra le entrate correnti e la spesa media. Ci sono tre fasce. In una di queste ci sono i comuni in condizioni finanziarie difficili che hanno meno possibilità di turnover. I centri dove la popolazione è mediamente più ricca, e che di conseguenza hanno un gettito Irpef maggiore, hanno anche più possibilità di assumere nuove forze e di garantire quel ricambio generazionale che rende le amministrazioni più competitive quando partecipano ai bandi. Al contrario, difficilmente in un piccolo centro arriverà un giovane ingegnere preparato e aggiornato, che possa far fare quel salto di qualità al comune.

Il fatto che si sia deciso di tornare ad assumere nel pubblico impiego, inoltre, non sta a significare che i giovani ci vogliano andare. Il posto fisso, tanto gradito alle vecchie generazioni, oggi sembra piacere meno a quelle nuove. Soprattutto a coloro che hanno competenze tecniche spendibili sul mercato.

«Il lavoro nel pubblico – dice Purificato – è sempre meno appetibile. Innanzitutto dal punto di vista economico. Se da un lato il contratto base è simile agli altri, non ci sono integrazioni. Nell’ultimo contratto nazionale di categoria non sono previsti i quadri. Un funzionario amministrativo in Italia può arrivare al massimo a 35 mila euro di ral, mentre nei comuni si sta sui 24 mila euro. L’unica integrazione è quella della cosiddetta posizione organizzativa». Che viene assegnata di solito in modo arbitrario dalla giunta nei comuni.

«L’altro punto- continua Purificato – che va affrontato è quello dei concorsi. Qualcosa aveva fatto il decreto semplificazione di Brunetta, riducendo i concorsi a domande con risposta multipla». Anche il ricorso ai precari, che potrebbero essere utilizzati per la progettualità del Pnrr non è semplice. «Le offerte a tempo determinato – continua il sindacalista – se non sono economicamente remunerative, subiscono la concorrenza del privato. Un tempo determinato nel pubblico percepisce meno di uno nel privato, quindi significa che si spostano a lavorare nel privato».

Il Pnrr non ha risolto i problemi, ma li ha fatti emergere: in primis la formazione

Ma chi sono i dipendenti comunali italiani e quali sono le loro competenze?

La formazione in questi anni è stato un nodo cruciale. Il rapporto Ifel, che si dedica allo studio della finanza locale rivela innanzitutto come il livello dei titoli di studio degli impiegati della Pa non sia altissimo. «Poco più della metà dei dipendenti comunali a tempo indeterminato, il 54,9%, – scrive il rapporto – è in possesso di un diploma di scuola superiore come massimo titolo di studio conseguito. Il 18,1% ha terminato gli studi con la scuola dell’obbligo, il 27% ha conseguito la laurea (breve o magistrale) o titoli superiori».

Ma anche la formazione in corso d’opera lascia a desiderare. Lo spiega sempre il rapporto: «A peggiorare il quadro appena descritto si aggiunge l’imposizione, da parte del legislatore, di vincoli alle spese per la formazione del personale comunale che si attestano su livelli dimezzati rispetto a quelli pre 2011. Nonostante una lieve ripresa nel 2019, negli ultimi 4 anni tali spese si aggirano infatti tra i 18 e 19 milioni di euro complessivamente, ossia circa 50 euro per unità di personale, contro la media 2007-2010 di 42 milioni di euro in valori assoluti e di 89 euro pro capite».

Lo stesso rapporto specifica poi come: «Il rilancio della formazione dei dipendenti pubblici è uno snodo cruciale per la “transizione amministrativa”, elemento imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e di benessere collettivo previsti dal Pnrr».

Da anni i sindacati chiedono di puntare sulla formazione e forse ora qualcosa si sta muovendo. «Sono previste – dice Purificato – nuovi ingressi nelle amministrazioni comunali e nuove risorse per la formazione delle risorse umane impegnate in tali realtà». Ma in chiave Pnrr potrebbe essere tardi, perché intanto la marea di chi sta abbandonando il lavoro non si ferma. «Nel momento stesso in cui stiamo parlando – continua – sono andate in pensione tre o quattro lavoratori del pubblico. Il rischio è che si debba ricorrere nell’immediato a consulenti esterni».

Il problema è capire chi li potrebbe pagare. Un modo per evitare l’assurdo che vedrebbe i comuni pagare un consulente esterno per poter accedere a un bando che gli porti denaro di cui necessita, c’è. «Si possono utilizzare – spiega Purificato – quote di Pnrr per la realizzazione di un progetto specifico, ma ci si trova a ricaricare la spesa sui fondi che si vanno a prendere. Questo accade quando l’ente non ha al proprio interno gli skill necessari per creare un bando».

C’è il rischio quindi di ricaricare il costo di chi fa il progetto del bando sul bando stesso, andando ad assottigliare la quota di fondi che effettivamente vengono spesi per le opere. L’alternativa è quella di accontentarsi, cioè partecipare non ai bandi che permetterebbero la realizzazione di progetti che si vogliono o si devono fare, ma solo a quelli che si possono fare con le professionalità interne già presenti.

In parte è già stato così e lo dimostrano il proliferare di aree fitness nei parchi in Lombardia, che spesso giacciono inutilizzate, o gli interventi di efficientamento scolastico su edifici nella migliore delle ipotesi da ristrutturare perché troppo vecchi. Ma i bandi erano abbordabili per tutti e i soldi, quindi, disponibili subito. «C’è il rischio – continua Purificato – che l’eccessivo ricorso ai consulenti lasci un giorno gli enti prosciugati, perché a volte serve una filiera più composta».

La nascita della Pnrr Academy che si occupa di formazione per amministratori

Lo stesso legislatore si era reso conto nei mesi scorsi che la partita del Pnrr rischiava di passare sopra le teste delle piccole realtà territoriali. Anche per questo è stata chiamata in causa la Scuola nazionale dell’amministrazione, che già da settembre 2021 ha iniziato a realizzare corsi indirizzati ai Rup (responsabili unici di progetto). La proposta formativa è stata messa in campo. Nei programmi di quest’anno la scuola propone 260 corsi, che si dividono tra 234 di formazione continua e 120 di nuovi corsi dedicati al Pnrr. I dipendenti comunali vi hanno partecipato, grazie anche alla possibilità di collegarsi da remoto.

I dati Ifel parlano di una partecipazione media di 477 persone per evento organizzato in collaborazione con la Pnrr Academy, diretta emanazione della Scuola nazionale di amministrazione, presieduta dall’ex ministro Paola Severino. Un terzo delle stesse attività formative erogate dalla Fondazione Ifel si è concentrata su “Appalti, Contratti ed Investimenti”. Poco meno del 40% dei webinar ha affrontato questioni ed approfondimenti legati a tale tematica. In particolare, degli 82 webinar realizzati, 49 sono stati erogati nell’ambito della Pnrr Academy. I webinar incentrati sulle novità normative in materia di personale comunale e di lavoro agile hanno avuto un’ampia diffusione: sebbene rappresentino il 10% del totale dei webinar erogati da Ifel, i partecipanti sono poco meno di un quinto del totale dei discenti.

Ma non è stata l’unica risorsa messa in campo. La stessa Corte dei conti sottolinea come per raggiungere l’obiettivo di aiutare i comuni si sia cercato di fare accordi con Invitalia e Ministero dell’economia e delle finanze, ma questi in gran parte sono naufragati. È stato così aperto il portale Italia Domani, che nei prossimi mesi verrà passato al setaccio da parte della Corte dei conti.

Vai alla sezione del sito di The Good Lobby con le inchieste di “Le mani sulla ripartenza

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(da Good Lobby 16 gennaio 2023 )

Vedi anche: A Roma l’osservatorio per il PNRR e il Giubileo lo fanno l’Acer (Associazione Costruttori Edili di Roma e Provincia) e l’Università di Tor Vergata

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

18 febbraio 2023

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