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Da Left: La grande lentezza, La Regina sul Progetto Fori

FORI LA REGINA FOTOIl settimanale Left  ci ha concesso  di pubblicare  l’intervista a Adriano La Regina nell’ambito del dossier “Sotto esame: sei esperti fanno il bilancio della Giunta Marino. Ecco come sta Roma oltre Mafia Capitale” pubblicato sul numero in edicola questa settimana.

dal settimanale Left n.24 del 27 giugno 2015

La Grande lentezza. Parla Adriano La Regina, l’ex soprintendente ideatore del Progetto Fori Imperiali. «Bene la pedonalizzazione, ora smantelliamo la via costruita dal fascismo»

di Simona Maggiorelli

«Aver restituito ai cittadini l’area dei Fori Imperiali chiudendola al traffico è stata un’azione importante e positiva della giunta Marino. Per la qualità della vita, ma anche per la salute dei monumenti antichi attaccati dallo smog e dalle polveri sottili» dice Adriano La Regina, ex soprintendente archeologico di Roma e oggi presidente dell’Istituto nazionale di Archeologia, dove ci accoglie per questa intervista. Amico e sodale di Italo Insolera, già alla fine degli anni Settanta, La Regina denunciò i guasti e le lesioni provocati dal traffico al patrimonio d’arte. Avanzando un Progetto Fori Imperiali che è, ancora oggi, il più all’avanguardia. Chiamato a far parte della Commissione paritetica istituita nel 2014 dal ministero dei Beni culturali e da Roma Capitale, Adriano La Regina ha rilanciato la sua idea di un cambiamento radicale e coraggioso: smantellare la via costruita dal fascismo e riunire i Fori romani.

Questo suo progetto, che ebbe il sostegno di Argan, di Cederna ma anche del sindaco Petroselli, oggi potrebbe arrivare a compimento e senza costi eccessivi, se ci fosse la volontà dal parte del Ministero e del Comune. L’assessore capitolino Giovanni Caudo si è già detto favorevole. Anche se la maggioranza della Commissione ministeriale si è espressa a favore di una soluzione più “conservatrice”.

«L’aver messo le questioni che riguardano il patrimonio archeologico di Roma nel programma politico distingue la giunta del sindaco Marino dalla precedente. Ma tutto avviene con grande lentezza», dice La Regina. Che sorridendo ipotizza: «Procedere per gradi, forse, è una scelta strategica; dà il tempo di organizzarsi, permette ai cittadini di trovare vie alternative. Così la pedonalizzazione dei Fori, in effetti, è avvenuta senza traumi e proteste». Che invece c’erano state nel febbraio del 2014: non da parte di cittadini infastiditi dall’idea di dover cambiare strada con l’auto per preservare l’arte antica, ma da parte di funzionari della Soprintendenza che, al contrario, sollecitavano un maggiore impegno del Comune nella tutela e valorizzazione dei monumenti.

Con una lettera al sindaco Marino una trentina di storici dell’arte e archeologici chiesero «una chiara ridefinizione della macro struttura di Roma Capitale» che non umiliasse il ruolo e le competenze di chi lavora per conoscere, proteggere e trasmettere beni culturali pubblici, ma anche chiarimenti sul ruolo di Zètema (società partecipata al 100% da Roma Capitale) come appaltatore diservizi. Poi, nel novembre 2014, fu la volta dei ricercatori e degli archeologi specializzati e precari: si scagliarono contro il Primo cittadino che annunciava l’intesa con Enel per il progetto Hidden Treasure con cui si prevedeva di inviare reperti conservati nell’Antiquarium dei Musei capitolini in Nord America, perché là fossero studiati e catalogati «a costo zero» e poi riportati a casa. «Dietro quel progetto forse si può scorgere una superficiale e impropria lettura di un progetto che avanzai io stesso anni fa», avverte La Regina. Ma era cosa ben diversa, prevedendo prestitidi lungo periodo di reperti per ragioni di ricerca. «Tanti centri di studio nati in America o in altre parti del mondo devono poter fare ricerca e organizzare mostre per il pubblico sul proprio territorio. Serve ad ampliare la circolazione del sapere», chiosa il professore.

Quanto alla perdita di ruolo e al depauperamento di mezzi denunciati dai funzionari della Soprintendenza romana, «hanno pienamente ragione», dice La Regina. «Erano giovani archeologi e storici dell’arte neoassunti quando io arrivai in Soprintendenza più di trent’anni fa e ci sono sempre loro oggi. In tutti questi anni non ci sono state nuove assunzioni, chi è andato in pensione per lo più non è stato sostituito, mentre si va perdendo la trasmissione di esperienze che avveniva di generazione in generazione». Questo, ovviamente, non è un problema solo di Roma. Il contesto in cui si trova a operare Marino – e con lui tutti i sindaci italiani – è di «grave attacco al loro ruolo di tutela del patrimonio archeologico e artistico», denuncia il nostro interlocutore.

Senza soluzione di continuità fra governi di centrodestra e centrosinistra sono stati tagliati fondi per la cultura. E a «prevalere oggi sono stereotipi negativi e disinformati riguardo al lavoro delle Soprintendenze dipinte addirittura come freno burocratico, rovina dei tesori d’Italia», nota il professore. «In questo modo si distrugge uno dei settori in cui l’Italia era all’avanguardia, già agli inizi del Novecento, prima ancora che fosse scritto l’articolo 9 della Costituzione». Senza contare che, a rigor di logica «se si vuole fare del turismo un volano di sviluppo, come si dice, è necessaria quanto meno la manutenzione di quei monumenti che la gente viene a visitare da ogni parte del mondo». Nel frattempo, aggiunge il professore, istituzioni importanti come il Museo entografico Pigorini rischiano di chiudere e il funzionamento del Museo di Valle Giulia, eccellenza dell’etruscologia, è messo a repentaglio dall’abolizione della Soprintendenza per l’Etruria meridionale decisa dal Ministero. «Si è parlato di riordino, ma l’effetto è un depotenziamento». Il Museo di Valle Giulia potrebbe avere così sorte analoga al Museo Egizio di Torino: «Era uno dei più importanti, nonché un valido centro di egittologia, ma negli anni gli sono state sottratte risorse fino al punto di portarlo alla paralisi per poi poterlo tramutare in altro. L’obiettivo è evidente: è privatizzare. Si mettono in ginocchio le istituzioni pubbliche, per poi svenderle», avverte La Regina. E a chi canta le lodi del nuovo scenografico allestimento delle sale dell’Egizio (divenuto Fondazione) con regia luci del premio Oscar Vittorio Storaro, Adriano La Regina risponde: «Ben vengano abbellimenti e scenografie, ma i finanziamenti in primo luogo dovevano finanziare gli studi scientifici». Che si pensi più al belletto, a un ritorno di immagine immediato, che ai frutti duraturi di un vero lavoro di tutela, è un timore che riguarda anche l’annunciato recupero dell’arena del Colosseo voluto da Dario Franceschini. Previsti 5 anni di lavori e 20 milioni di euro di spesa. Numeri annunciati dallo stesso ministro lo scorso 5 giugno presentando la ricostruzione di uno dei montacarichi che in età imperiale servivano a portare in superficie le belve per i combattimenti. «Va benissimo ampliare la conoscenza e renderla accessibile a quante più persone possibile, purché non si usi il Colosseo per scopi impropri, che ne alterano la natura e che avrebbero fini di mercificazione», va ripetendo La Regina, che da soprintendente nel ’92 fu artefice di un importante restauro strutturale dell’Anfiteatro. Anche perché con i suoi 6 milioni di visitatori l’anno, il Colosseo è uno dei monumenti che ha meno bisogno di “fare cassa” con eventi extra. Che magari portano cifre irrisorie, come è accaduto con il concerto dei Rolling Stones al Circo Massimo. Per effetto di un preesistente regolamento comunale, si difende Marino. La moda di affittare musei e monumenti a privati fu legittimata dalla legge Ronchey del ’93. «Allora fu salutata da molti come un provvedimento di modernizzazione, ma se si va a guardare in concreto non ha prodotto nulla di positivo», conclude, smagato, il professore.

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8 anni fa

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