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Eddyburg: Fare spazio alle attività culturali. Un nuovo standard

un nuovo standard eddyburgIl 12-13 gennaio 2018 si è svolta all’Urban Center Metropolitano di Torino la seconda parte della Scuola di eddyburg dedicata al ruolo specifico degli spazi culturali, all’interno della dotazione di spazi pubblici, per la costruzione di una società multiculturale e solidale. Pubblichiamo, dal sito di Eddyburg, il documento conclusivo (in calce il filmato)

Fare spazio alle attività culturali:
Un nuovo standard per una città solidale e multiculturale

di Ilaria Boniburini e Mauro Baioni  

Il tema degli spazi pubblici e della loro cruciale importanza nella vita sociale, politica e culturale di una città dei cittadini e non della rendita è sempre stato al centro delle discussioni e dei ragionamenti di eddyburg. La scelta di approfondire la questione specifica degli spazi culturali nasce da due riflessioni.
La prima è legata alla necessità di riflettere sulle conquiste dell’urbanistica italiana. La legge ponte (*)  e il decreto sugli standard (**) rappresentano uno dei punti più alti della storia urbanistica italiana, poiché hanno permesso di applicare in modo generalizzato la pianificazione e di garantire a ogni cittadino la disponibilità di spazi riservati alle necessità collettive e sociali, sottratti ai meccanismi perversi della rendita e del consumismo.

Abbiamo sempre pensato che l’importanza degli standard urbanistici e del loro impiego nella pianificazione urbanistica travalica gli aspetti tecnici, in quanto attorno al rapporto tra spazi destinati agli usi della collettività e spazi privati si valuta la sostanza politica di un piano urbanistico e la sua capacità di incidere sugli interessi economici per fornire risposte adeguate ai bisogni sociali. Eppure, in questi ultimi decenni prevale un atteggiamento opposto: numerosi disegni di legge, con la scusa dell’aggiornamento tecnico, mirano a indebolire gli obblighi sanciti nel decreto. Nel ribadire la necessità di osteggiare ogni proposta di indebolimento degli standard e della pianificazione pubblica, ci siamo resi conto che era necessario un approfondimento per tenere conto di una società profondamente mutata che esprime nuovi bisogni e che, al contempo, è sempre più soggetta al ricatto del profitto e dello sviluppo puramente economico.
All’interno di questo ragionamento ci siamo soffermati sul ruolo delle espressioni culturali nella società odierna. Come osserva Zygmunt Baumann, le politiche culturali istituzionali e il mercato culturale sono costruiti per lo più come un’offerta seduttiva, volta ad appagare una domanda di consumo. Tuttavia, esiste una diversa dimensione della cultura, sia come espressione di una forma di welfare avanzato (pensiamo al museo relazionale, alle biblioteche concepite come piazze, alle case della cultura), sia come attività promossa da gruppi e associazioni, talvolta anche in opposizione o conflitto con le istituzioni.

Queste considerazioni ci hanno spinto a ritenere che le attività culturali – per la loro valenza politica e sociale – dovrebbero essere considerate come un servizio d’interesse generale, essenziale per una società che ambisca a essere più solidale e multiculturale. Ci siamo quindi domandati se sia possibile rispondere a questa esigenza attraverso la pianificazione urbanistica e – in particolare – se possa essere utile, a questo scopo, definire uno standard urbanistico riguardante le strutture che ospitano attività culturali.

Nella prima sessione della scuola – tenuta il 5 e 6 aprile 2017 a Pistoia – abbiamo ragionato sul ruolo che le strutture culturali possono esercitare come luoghi democratici dove nessuno si senta straniero, assieme ad alcuni esperti di settore, agli interlocutori locali impegnati nelle attività del programma “Pistoia – capitale della cultura” e abbiamo presentato e analizzato criticamente alcune esperienze di rigenerazione urbana centrate sulla realizzazione di strutture culturali.

Nella sessione di Torino, organizzata assieme a Urban Center Metropolitano, abbiamo proseguito l’attività, attraverso un workshop con i partecipanti, un dibattito pubblico con amministratori e intellettuali e la visita guidata di tre rilevanti episodi di recupero di strutture dismesse per la realizzazione di spazi culturali nel quartiere Barriera. Abbiamo concentrato la nostra attività attorno a tre nodi di discussione:
1. Che cosa significa “spazio culturale” nella società e città europea di inizio XXI secolo, dove nuove e diverse culture, sempre più meticcie, si affiancano a quelle più tradizionalmente legate allo sviluppo europeo degli ultimi secoli, portando con se nuovi modi di concepire, abitare, e costruire lo spazio urbano? A quali attività culturali facciamo riferimento? Quali sono i bisogni che gli abitanti esprimono e cercano di soddisfare attraverso la fruizione di spazi culturali? Quale ruolo assumono questi spazi e queste attività in una società sempre più individualista, ma anche sempre più sofferente?
2. Esistono luoghi o strutture che più di altri potrebbero prestarsi ad accogliere questi spazi? Da dove partire per equipaggiare le nostre città e in generale i nostri territori? E’ utile puntare a una distribuzione capillare e sistematica di spazi culturali in tutti i territori?
3. A quali strumenti e attori possiamo affidarci per realizzare spazi culturali che abbiano una valenza sociale? A quali esperienze o progetti si può attingere per dare forza concreta a questa proposta? Quale valore discende dal riconoscimento di questi spazi come uno standard urbanistico?

Abbiamo capito che non è facile, e nemmeno indispensabile, fornire una definizione onnicomprensiva degli spazi culturali. Sappiamo però che devono essere luoghi inclusivi, flessibili, accessibili, belli ma non omologati, liberi, diversificati, accoglienti, democratici e attivi. Abbiamo costatato il loro potere generativo e abbiamo capito che la loro presenza è utile per costruire quotidianamente la multiculturalità, per tenere insieme in maniera costruttiva la ricchezza delle diversità e rendere la società più solidale. La grande varietà delle strutture che possono ospitare attività culturali ne rende possibile la diffusione, nelle città e nei paesi più piccoli, nelle aree centrali e in quelle più esterne, nei luoghi aulici e nelle frange urbane. Dovunque sono presenti, gli spazi culturali spargono effetti positivi sulle persone coinvolte direttamente, sui fruitori assidui e occasionali, sul contesto circostante.
Siamo convinti che sia indispensabile una presenza capillare degli spazi culturali e che questa rivendicazione abbia un significato pienamente politico. Che gli spazi culturali abbiano un potere liberatorio e generativo del tutto peculiare, perché consentono di praticare e apprendere forme non omologate di convivenza e di costruire collettivamente una coscienza civica nel rispetto delle differenze. Per questo riteniamo che siano una componente essenziale del diritto alla città. Ed è in questo senso che li consideriamo uno standard urbanistico da garantire in modo generalizzato.

Qui il collegamento al filmato dell’incontro pubblico con Guido Montanari, Nader Ghazvinizadeh, Chiara Sebastiani ed Edoardo Salzano, moderato da Ilaria Boniburini. Il filmato è girato e montato da Margherita Ghazvinizadeh.
(*)La Legge n°765 del 1967, nota come Legge Ponte, apporta alla Legge Urbanistica del 1942 una serie di ampie modifiche, determinanti per razionalizzare il sistema di strumenti e di controlli, dandogli la configurazione tutt’ora vigente.Le più importanti modifiche si possono raggruppare secondo i tre obiettivi che la legge si propone:

  1. Avviare una estesa applicazione dei piani urbanistici, e garantirne il rispetto. Vengono così fissati i termini entro i quali il Comune, obbligato a redigere il PRG, viene sostituito dagli organi statali; si decentra agli uffici regionali del Ministero dei Lavori Pubblici l’approvazione degli strumenti minori (piani particolareggiati, regolamenti edilizi, programmi di fabbricazione). Inoltre si rende obbligatorio il regime di “salvaguardia” dei piani già adottati ma non ancora approvati, per impedire che i piani stessi siano vanificati da licenze edilizie rilasciate in contrasto con le loro previsioni. Si precisano sanzioni per le violazioni delle prescrizioni.
  2. Porre un freno allo sviluppo edilizio incontrollato. Vengono poste drastiche limitazioni all’edificazione in assenza di strumenti urbanistici e si stabilisce che la licenza edilizia possa essere concessa solo quando le opere di urbanizzazioni siano già esistenti o siano previste dai piani particolareggiati di iniziativa pubblica o lottizzazioni private, già approvati nelle zone di espansione.
  3. Ottenere la partecipazione dei privati alle spese di urbanizzazione, fino ad allora gravanti esclusivamente sui Comuni. Viene prescritto che siano a carico dei privati la realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria (compresa la cessione gratuita dell’area occorrente) e il versamento del contributo corrispondente a una quota dei costi delle opere di urbanizzazione secondaria. Tale obbligo deve essere sancito da una convenzione tra privato e Comune, necessaria per ottenere l’autorizzazione a lottizzare. La lottizzazione privata si affiancherebbe così al piano particolareggiato di iniziativa pubblica come strumento ordinario di attuazione del PRG nelle nuove zone urbane.

(da Professione architetto)

(**) Decreto sugli standard:
Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967
Con questo decreto vengono fissati i valori dei limiti introdotti dalla Legge Ponte per quanto riguarda gli indici e gli standard urbanistici; vengono altresì definite le zone territoriali omogenee in cui si applicano tali limiti.
scarica D.M. 1444 del 1968
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