Il patto mondiale sui rifugiati è stato sviluppato parallelamente a un secondo patto, che promuove invece un concetto di migrazioni meglio gestite – sicure, ordinate e regolari. È chiaro da quello che ho detto poco fa che i due patti – in un mondo di flussi sempre più “misti” – sono distinti ma anche complementari. Per questo, mentre mi felicito per l’adesione e il forte sostegno dell’Italia al patto sui rifugiati, mi dispiace che lo stesso non sia accaduto per quello sulle migrazioni. Questo, dal mio punto di vista, è stato un errore. Pochi paesi più dell’Italia possono trarre beneficio da un rafforzamento della cooperazione internazionale in questo campo.
***
Vorrei concludere ritornando a Milano e al cardinale Martini.
La tematica dei movimenti di popolazione, della gestione dei flussi, dell’accoglienza e dell’integrazione è estremamente complessa e difficile. Ho cercato di spiegarne alcuni aspetti, sottolineando come non sia impossibile affrontarli e anche risolverli. Spero di avere anche illustrato come per riuscire a farlo, bisogna unire posizioni forti – la solidarietà, l’apertura al dialogo, in altre parole l’umanità – a misure concrete, bene organizzate, e frutto di cooperazione internazionale.
Nella Milano che lasciai più di trent’anni fa per andare a fare il volontario alla frontiera tra Thailandia e Cambogia era arcivescovo Carlo Maria Martini, un uomo le cui posizioni, già allora, erano di ispirazione a chi di noi cercava orizzonti ampi, diversi, di confronto e scambio. Erano – appunto – posizioni forti, ma che sempre, nel suo linguaggio così chiaro, univano l’ideale al pratico. Anche in questo connubio, così milanese ma così significativo nel quadro più ampio del suo insegnamento pastorale e spirituale, Martini faceva luce.