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Il libro Il linguaggio amministrativo: cambiare si può, cominciamo dalle parole

Una recensione/riflessione di Maurizio Geusa a proposito del libro Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione di Michele A. Cortelazzo editore Carocci, 2021

(Da Romainpiazza 20 8 2021) Già ci sono stati gli autorevoli esempi di un diverso modo di esprimersi da parte del Presidente del Consiglio. Poi è arrivato il successo di questo recente libro sul linguaggio amministrativo (Il linguaggio amministrativo – Principi e pratiche di modernizzazione di Michele A. ,Cortelazzo, Carocci editore, Roma, 2021, 207 pagine € 19,00) pubblicato a marzo di quest’anno e già ristampato a luglio. Successo certamente amplificato dalla recensione a tutta pagina di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 24 luglio scorso.

Il pregio principale del testo è quello di riepilogare decenni di studi e ricerche sul linguaggio delle amministrazioni criticando quanto necessario ma anche illustrando le soluzioni migliorative. A questo scopo, offre il quadro completo delle esperienze condotte da diverse amministrazioni italiane e straniere. Analizza e compara sia i mostri linguistici e che le buone pratiche. Infine presenta “Trenta regole per la buona scrittura amministrativa” valide per facilitare la comprensione dei testi a prescindere dalla materia trattata. Infatti, fornisce suggerimenti anche spiccioli sulla scrittura in cui ci imbattiamo quotidianamente. Come, per esempio, il corpo e la giustificazione dei caratteri su cui raramente ci si sofferma in quanto materia da specialisti ma di cui però soffriamo le conseguenze nelle difficoltà di lettura. In proposito, chi non ricorda Umberto Eco e il suo “Come si fa una tesi di Laurea” uscito nel 1989 con un intero capitolo dattiloscritto, come si usava all’epoca pre-computer, per fornire rudimenti di formattazione ed impaginazione. 

Poiché tutti, ma proprio tutti, subiamo il trauma di confrontarsi con la burocrazia, non possiamo non tracannare tutte d’un fiato queste duecento pagine per soddisfare la nostra sete di giustizia. Perennemente oppressi, come siamo, da un linguaggio costruito non per venire incontro ai cittadini ma per ricordare loro che prima viene l’Amministrazione e poi i loro diritti e bisogni. Un linguaggio prevalentemente autoreferenziato e diretto a raccogliere la benevolenza della gerarchia piuttosto che a comunicare ai destinatari. Un linguaggio con cui veniamo costantemente in contatto attraverso avvisi, lettere, moduli, leggi e regolamenti. Una comunicazione sciatta che scatena la prima repulsione verso una Amministrazione che vuole marcare bene la sua distanza dalla casalinga di Voghera.

Riporto un esempio di linguaggio criptico di questi giorni, colto dalla vita vissuta non me ne vogliano i diretti interessati:

“Si precisa altresì che la presente autorizzazione a dare continuità alla precedente esperienza dovrà essere declinata solo nelle forme previste dalla normativa in materia igienico-sanitaria, edilizio-urbanistica, di sicurezza ed in ossequio a tutti gli obblighi di legge aggregati nella certificazione di agibilità, fermo restando il divieto relativo ai pubblici spettacoli, di cui alla DD n. …/…. e l’esonero di questo Ente da ogni responsabilità civile o penale e da tutti i danni che possono derivare dalle attività, oltre all’impegno di codesta società a sollevare l’Amministrazione Comunale da qualunque pretesa, azione, domanda o molestia possa derivare, direttamente e non, dalla gestione delle attività o uso dei locali in via ….., n. …. “

Un periodo lungo oltre 100 parole rispetto alle 20/25 usualmente comprensibili alla mente umana. Con ricorso a parole fuori dall’ordinario come la precedente esperienza che dovrà essere “declinata”, forse era sufficiente dire “svolta” o quel “declinata” contiene ulteriori significati che sfuggono al comune lettore ?  Per proseguire poi con gli obblighi di legge che sono “aggregati nella certificazione di agibilità” . Non sarebbe stato più generoso richiedere solo il certificato di agibilità ? Poi perché usare il termine astratto “certificazione” anziché lo stesso termine in forma concreta il certificato ? Si potrebbe proseguire ma sarebbe accanimento terapeutico.

Se questo è il modo di porsi dell’Amministrazione è arrivato il momento di rovesciare il tavolo.

Rompere questi schemi ed iniziare a comunicare in modo lineare e diretto. Uscire dalla fraseologia che rimanda l’impegno della comprensione al lettore/ascoltatore. Comunicare in modo diretto implica pensieri chiari. Per essere chiari servono poche parole. Su questo argomento Cortelazzo suggerisce che ogni periodo non sia lungo più di 20/25 massimo 30 parole. Questo periodo che avete appena letto era composto di quindici parole. Soggetto verbo e predicato poche regole essenziali. Mi auguro di essermi adeguato.

La rivoluzione può nascere anche da poco. Espressioni come “Appello a non vaccinarsi è appello a morire” del Presidente Draghi del 22 luglio in sole otto parole esprime un pensiero che certamente è comprensibile a tutti anche alla casalinga di Voghera. La storia si cambia anche così.

Maurizio Geusa

21 agosto 2021

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

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