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L’autonomia differenziata e le mozioni dei candidati al congresso del PD

L’autonomia regionale differenziata è un buon banco di prova per vedere la direzione intrapresa da un partito e, in questo caso,  di un candidato/a alla segreteria di quel partito. Si potrebbe definire un “frattale” che contiene la linea politica su tutto il resto, che permette di capire se si intende stare  dalla parte delle classi – categorie, territori – benestanti e privilegiati o dalla parte delle  cittadine e dei cittadini a cui pensavano i nostri padri e madri costituenti quando hanno scritto che la Repubblica ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Le parole dedicate all’autonomia differenziata nelle mozioni congressuali danno perfettamente l’idea della posizione del candidato/a, ma permettono anche di capire quanto il candidato/a faccia sul serio, che vuol dire essere anche disposto ad ammettere i propri errori e/o quelli del Partito.

Va detto che  due  delle mozioni dei candidati alle primarie congressuali sono piuttosto evasive, una addirittura “smemorata”. Eppure l’Autonomia differenziata, con i gravissimi rischi che comporta per i diritti delle persone, per l’unità della Repubblica e per lo stesso esercizio democratico, dato l’esautoramento del Parlamento e la distorsione dei principi costituzionali, dovrebbe essere la battaglia delle battaglie, lo snodo centrale di qualunque mozione che intenda rinnovare un Partito collassato proprio per mancanza di coerenza con la propria storia e di coraggio nella propria missione.

Nella sua mozione Elly Schlein si esprime fermamente contro l’autonomia, definendo “il disegno di legge di Calderoli sull’autonomia differenziata una proposta inaccettabile, che affonda le sue radici nel progetto secessionista della Lega”, concludendo che “Va rigettato con forza, perché non corrisponde agli interessi del Paese. Non è un disegno emendabile. E noi non possiamo scendere a compromessi su questo punto”.

Il Presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini, che ha sottoscritto nel febbraio 2018 le pre-intese con il Governo, seppure non per tutte le materie,  e che in questi anni ha partecipato a più riunioni con i colleghi leghisti della Lombardia e del Veneto sollecitando l’attuazione dell’autonomia differenziata, sposa la tesi dell’”autonomia buona”, scagliandosi contro “l’egoismo territoriale” –  “La prima risposta sbagliata della destra è quella di contrapporre i territori forti a quelli deboli, contrabbandando il principio dell’autonomia sancito dalla Costituzione con quello dell’egoismo territoriale” – a favore di un’autonomia che  “sia un valore nella misura in cui avvicina le decisioni ai cittadini, semplifica la vita delle persone e delle imprese, migliora la qualità delle risposte ai bisogni del territorio”. All’insegna dell’efficienza contro la burocrazia,  “maggiori risorse per le autonomie locali perché non ci sono sviluppo economico possibile, servizi sociali ed educativi efficaci, investimenti e qualità urbana migliori”. Proponimenti che stridono non poco con quanto già da lui avviato nella preintesa dell’Emilia Romagna– “le modalità per l’attribuzione di risorse finanziarie trasferite o assegnate dallo Stato alla Regione.. sono determinate…in termini di… compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale…”. “Maturati in territorio regionale” una frase che implicitamente apre la strada alla ripartizione dei finanziamenti tra le Regioni non in base ai bisogni degli abitanti, ma in base al gettito fiscale delle Regioni stesse. Se si pensa che Veneto Lombardia e Emilia Romagna contribuiscono al 40% circa dell’Irpef nazionale, si può immmaginare lo scenario: si stabiliscono i livelli essenziali – cioè minimi – per le altre Regioni, e quelle più ricche finanziano le materie acquisite con (buona?) parte del loro gettito fiscale[1]

E anche se Bonaccini non ha indicato le 23 materie del Veneto e della Lombardia, va ricordato che sul sito della Regione Emilia Romagna  dedicato all’autonomia [2] sono indicate le materie di cui ” La Regione chiede la gestione diretta e con risorse certe di alcune COMPETENZE fra quelle previste dalla Costituzione”: “tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, governo del territorio, protezione civile, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali“; “Competenze complementari e accessorie”: “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni, organizzazione della giustizia di pace; agricoltura, Ulteriori obiettivi strategici“: “protezione della fauna, esercizio dell’attività venatoria e acquacoltura, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, ordinamento sportivo“. Il suo “cambiamento di rotta”, adesso che il tema dell’autonomia differenziata è finalmente giunto all’attenzione  dell’opinione pubblica – anche grazie al fatto che al Governo ora ci sono Meloni e Calderoli, anziché Draghi e Gelmini o Conte e Boccia o Gentiloni -, appare decisamente oltre ogni tempo massimo e anche piuttosto opportunistico, data l’imminenza delle primarie del PD.

Troppo minimale la posizione di Gianni Cuperlo, che pure non ci risulta  avere scheletri autonomistici nell’armadio: se in diverse interviste ha criticato esplicitamente l’AD[3], nella mozione si è limitato a un breve cenno: “Garantire a tutti i cittadini in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza (LEA) e di prestazione (LEP), senza i quali qualsiasi modello di autonomia differenziata è un pericolo da scongiurare perché destinato ad allargare le diseguaglianze”. Quindi ben vengano i diritti “essenziali” e quindi non omogenei per istruzione, sanità, trasporti? E ben venga  l’attribuzione di materie che non prevedono LEP come la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e del Paesaggio alle maggioranze politiche regionali del momento ? Attenzione: dire che la bozza Calderoli è da respingere, evitando di ricordare che anche le bozze Gelmini e Boccia avevano la stessa impostazione e gli stessi rischi, riduce di molto la contrarietà espressa verso il provvedimento.

Nella mozione di  Paola De Micheli l’autonomia differenziata è citata “en passant” e riguarda solo il rischio di accrescere le disuguaglianze,e solo per la sanità, visto che ne parla nel capitolo  “una sanità pubblica e territoriale”: “La salute delle persone è un diritto garantito dalla Costituzione che deve essere pienamente realizzato: per questo siamo contrari all’autonomia differenziata tra le Regioni. Prima di qualunque progetto di riforma è indispensabile superare i divari territoriali, purtroppo esistenti, tra le regioni ed in particolare tra Nord e Sud del Paese”.

C’è da augurarsi che il partito Democratico, dopo aver perso milioni di voti,  alle politiche come alle regionali, e soprattutto i voti del suo elettorato più sfiduciato che non si è recato alle urne, cambi decisamente direzione, prima ancora che nella scelta del segretario/a, nella scelta dei temi e delle  battaglie, partendo da quella, la più importante, per la difesa dei principi costituzionali, della democrazia e dell’unità del nostro Paese.

Anna Maria Bianchi Missaglia

16 febbraio 2023

Viene da chiedersi che cosa si intende per “dibattito precongressuale” se non si discute nel merito, seriamente, di un grande progetto di cambiamento del Paese proposto proprio da uno dei candidati alla segreteria del Partito democratico.

Gianfranco Viesti Le primarie del Pd e l’autonomia regionale differenziata  rivista Il Mulino 16 febbraio 2023

Vai alla pagina del sito del Partito Democratico del Congresso cosituente

Questi gli estratti dai testi

MOZIONE SCHLEIN

Ridurre i divari territoriali PAG. 17


Combattere le disuguaglianze vuol dire ridurre i divari territoriali.
L’Italia va ricucita, non divisa.
Il disegno di legge di Calderoli sull’autonomia differenziata è una proposta inaccettabile, che affonda le sue radici nel progetto secessionista della Lega. A colpi di forzature si è scavalcato il confronto con regioni e territori nelle sedi opportune, si è scavalcato il Parlamento prevedendo di fissare i Livelli essenziali di prestazione con un DPCM, quando si tratta di diritti fondamentali delle persone sull’accesso a salute, trasporti, istruzione. Il modello della destra deforma l’ispirazione autonomista della Costituzione e cristallizza le disuguaglianze territoriali. Va rigettato con forza, perché non corrisponde agli interessi del Paese. Non è un disegno emendabile. E noi non possiamo scendere a compressi su questo punto.

La questione meridionale è una grande questione nazionale. Non esiste riscatto del Paese che non passi dal riscatto del Sud. E non esiste riscatto del Sud che non passi dal riscatto delle donne e dei giovani, che studiano e si formano, che lavorano e fanno innovazione e impresa.
Il Sud ha tutte le potenzialità per diventare la grande piattaforma italiana per l’economia verde e le energie rinnovabili. Il ponte logistico e produttivo tra l’Europa e il Mediterraneo. Per attirare investimenti e offrire occupazione di qualità per tante ragazze e ragazzi che oggi sono costretti ad emigrare è però fondamentale attuare nei tempi previsti i progetti finanziati dalle risorse nazionali ed europee. Stabilizzare la fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud, che dobbiamo orientare verso la creazione di occupazione stabile.

Tutti i dati e le analisi ci raccontano un Paese profondamente segnato dalle diseguaglianze terri- toriali.
Un’Italia in cui dove nasci condiziona persino l’aspettativa di vita delle persone.

Tornare a investire sugli enti locali, e in particolare su quelli dei territori più marginalizzati, è la strada per cambiare questa situazione, perché se un Comune non riesce a dotarsi di servizi pub- blici efficienti, questo ricade innanzitutto sui più deboli. La destra considera tutto ciò che è pubblico irriformabile e quindi da ridimensionare o smantellare. Noi siamo per cambiare davvero la pub- blica amministrazione, a partire da quella locale, innanzitutto attraverso la formazione e la valo- rizzazione di chi ci lavora e l’ingresso di una nuova leva di dipendenti per realizzare quel cambio di passo che chiedono le comunità locali. La dotazione di risorse degli enti territoriali va adeguata ai fabbisogni standard e riequilibrata attraverso un sistema perequativo efficace, perché dobbia- mo garantire realmente (e non solo sulla carta) standard omogenei dei servizi su tutto il territorio nazionale e la copertura delle spese aggiuntive che deriveranno dagli investimenti del PNRR. E’ necessaria una nuova Carta delle Autonomie per restituire agli enti locali il ruolo che spetta loro come istituzioni costitutive della Repubblica, riconoscendo pienamente il ruolo degli amministrato- ri e delle amministratrici locali (anche con la modifica della legge Severino nella parte che riguarda i sindaci e delle norme sulla responsabiità politica, amministrativa ed erariale dei sindaci) e rive- dendo le funzioni e l’assetto istituzionale delle province e delle città metropolitane.

Nelle aree interne vivono oltre 13 milioni di abitanti. Sono i territori dell’Italia vuota, più della metà del territorio nazionale. Vuoti perchè si stanno svuotando di persone e attività produttive, e perché sono marginalizzati nel discorso pubblico e considerati residuali dalla politica. Con la loro ricchez- za di risorse energetiche, naturali e culturali contengono molto del futuro di un paese sempre più in difficoltà ad affrontare le sfide del cambiamento climatico. La Strategia nazionale per le aree interne ha indicato la direzione del rilancio: un modello di sviluppo diverso, inclusivo e sostenibile, basato sulla “cura” delle persone e dei luoghi. Gli investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, gli interventi contro il rischio di dissesto idrogeologico e per la prevenzione degli incendi, gli incentivi per il reinsediamento di servizi di prossimità e attività commerciali e i progetti di valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale sono punti chiave. Lo sviluppo delle aree interne, dei territori montani e delle isole dipende in misura decisiva dalla garanzia effettiva dei servizi essenziali per la piena cittadinanza, a partire dalla rete scolastica e dai servizi sanitari e socio sanitari.

MOZIONE CUPERLO

(pag. 19) Per noi tutto questo significa indicare le priorità del Pd e di un nuovo centrosinistra.

(…)

Garantire a tutti i cittadini in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza (LEA) e di prestazione (LEP), senza i quali qualsiasi modello di autonomia differenziata è un pericolo da scongiurare perché destinato ad allargare le diseguaglianze. All’art. 117 della Costituzione si parla della legislazione concorrente affidata alle regioni inserendo la tutela della salute. Il tema è che i LEA di fatto non sono aggiornati da 20 anni. Ad esempio la Procreazione Medicalmente Assistita è prevista dalle norme, ma non esigibile per mancanza di aggiornamento LEA e questa è una grande sconfitta perché il ruolo dello Stato è, di fatto, residuale rispetto alla garanzia dell’universalità del servizio sanitario nazionale che è la più grande conquista introdotta dalla legge di istituzione del SSN del 1978.

(…)

MOZIONE BONACCINI

(pag. 5) Un grande partito nazionale ed europeo

Il PD serve all’Italia anche nella misura in cui sa rispondere a due esigenze essenziali per il tempo che viviamo e che ci aspetta: rivolgersi a tutti gli italiani con una proposta pienamente nazionale e ancorare il nostro Paese alla casa comune europea.
In un tempo di fratture crescenti, noi vogliamo unire il Paese. Ad un’Italia che corre a troppe velocità diverse e che ha visto aprirsi fratture crescenti tra territori forti e deboli, tra condizioni economiche e sociali della cittadinanza, tra donne e uomini, tra generazioni, la destra risponde in modo sbagliato. E a questa risposta siamo chiamati ad offrirne una migliore.

La prima risposta sbagliata della destra è quella di contrapporre i territori forti a quelli deboli, contrabbandando il principio dell’autonomia sancito dalla Costituzione con quello dell’egoismo territoriale. Noi crediamo, viceversa, che l’autonomia sia un valore nella misura in cui avvicina le decisioni ai cittadini, semplifica la vita delle persone e delle imprese, migliora la qualità delle risposte ai bisogni del territorio. Al centralismo crescente di questi anni rispondiamo con la voce dei nostri amministratori sul territorio: vogliamo meno burocrazia e maggiori risorse per le autonomie locali perché non ci sono sviluppo economico possibile, servizi sociali ed educativi efficaci, investimenti e qualità urbana migliori se non si mettono le amministrazioni locali nelle condizioni di programmare bene e gestire in modo efficiente. Ma, ancor prima, non c’è sviluppo possibile se non all’interno di un progetto nazionale che faccia crescere di più e meglio i territori in difficoltà. Il Mezzogiorno, anzitutto, dove tutte le fratture e le contraddizioni si concentrano con maggior intensità. Ma lo stesso vale per le aree interne, per i territori rurali e montani, per le periferie e i centri minori. Autonomie forti in un Paese forte significa avere un progetto nazionale e strumenti coerenti per realizzarlo. Fu così quando si concepì un grande sistema nazionale di istruzione pubblica e così quando si si diede vita al Servizio Sanitario Nazionale; oggi questi pilastri sociali vivono attraverso le autonomie scolastiche (ancora troppo deboli) e la ge- stione dei sistemi regionali (esangui dopo il Covid e ora abbandonati dal Governo). L’errore di contrapporre il centro alla periferia produce solo un indebolimento dei sistemi nazionali e della gestione territoriale. Un Paese forte, che vive grazie ad autonomie altrettanto forti, deve viceversa riaffermare e potenziare l’universalità dei due sistemi e dei diritti essenziali ad essi sottesi; deve sostenere e valorizzare la capacità di gestione territoriale per corrispondere al meglio ai bisogni formativi e di cura dei cittadini. Per farlo serve un grande partito nazionale che si rivolga all’Italia e a tutti gli italiani.

Il secondo errore macroscopico che commette la destra è quello di non vedere o edulcorare le diseguaglianze economiche e sociali che si sono aperte e si stanno dilatando nella nostra società. Da decenni l’Italia cresce poco e ridistribuisce quindi poca ricchezza. Ma spesso non si considerano a sufficienza altri due aspetti, negativi e concatenati: da un lato accade che la poca ricchezza prodotta viene anche redistribuita male e la forbice sociale si amplia, a causa di salari che non crescono e servizi pubblici indeboliti; dall’altro, una cattiva distribuzione della (poca) ricchezza prodotta diventa a sua volta un fattore di crisi, perché riduce i consumi e la mobilità sociale di una platea sempre più ampia di persone. Noi crediamo viceversa che per crescere di più e meglio occorra non solo rafforzare le politiche per lo sviluppo (a partire da quelle industriali e dagli investimenti pubblici e privati), ma anche combattere e superare le diseguaglianze economiche e sociali, quale precondizione per la sostenibilità sociale e ambientale. Per questo è indispensabile sostenere i redditi da lavoro e combattere la precarietà, così come rafforzare e qualificare i grandi pilastri della protezione sociale.

(…)

MOZIONE PAOLA DE MICHELI

(PAG. 11) UNA SANITÀ PUBBLICA E TERRITORIALE

L’equità sociale e sanitaria è un problema sempre più urgente per il nostro Paese. Le disuguaglianze diventate inso- stenibili sono dovute da un lato alla presenza di liste d’attesa sempre più lunghe, anche a causa della pandemia, e dall’altra ad una pesantissima carenza di medici ed infermieri connessa all’assenza di un piano di programmazione completa del perso- nale. Bisogna quindi impegnarsi per affrontare queste due priorità tenendo in considerazione che il SSN può convivere con il privato convenzionato soltanto se quest’ultimo è sussidiario-complementare. La salute delle persone è un diritto garantito dalla Costituzione che deve essere pienamente realizzato: per questo siamo contrari all’autonomia differenziata tra le Regioni. Prima di qualunque progetto di riforma è indispensabile superare i divari territoriali, purtroppo esistenti, tra le regioni ed in particolare tra Nord e Sud del Paese.

È fondamentale allora sviluppare un programma per estendere a tutto il territorio nazionale la stessa forma di assistenza integrata per la presa in carico e la gestione dei pazienti cronici gravi in base alle patologie di cui sono affetti.

Prioritario inoltre è il tema della prossimità dell’assistenza sanitaria, con la presenza dei medici di medicina generale nelle Case della comunità e fornendo assistenza adeguata alle persone anziane, polipatologiche ed ipomobili (magari in zone disagiate).

(…)

Vedi anche

da Le primarie del Pd e l’autonomia regionale differenziata  di Gianfranco Viesti, rivista Il Mulino https://www.rivistailmulino.it/a/le-primarie-del-pd-e-l-autonomia-regionale-differenziata

sito della Regione Emilia Romagna

[1] (da Le primarie del Pd e l’autonomia regionale differenziata  di Gianfranco Viesti, rivista Il Mulino https://www.rivistailmulino.it/a/le-primarie-del-pd-e-l-autonomia-regionale-differenziata

(…) Sul sito del Dipartimento per gli affari regionali della presidenza del Consiglio sono ancora disponibili i “testi concordati” dei primi 8 articoli della possibile Intesa con l’Emilia-Romagna. Essi sono identici a quelli di Lombardia e Veneto, a conferma di un sentire e di una iniziativa comune.

Da essi si apprendono dettagli fondamentali. In primo luogo, che “le risorse finanziarie, umane e strumentali […] necessarie all’esercizio delle funzioni”, cioè tutti gli aspetti più importanti della devoluzione di poteri, verranno definiti da una Commissione paritetica Stato-regione, e poi fatti oggetto di Dpcm su cui viene acquisito esclusivamente un “parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali nonché delle Commissioni competenti per materia” (art. 3): un percorso, quindi, con un ruolo assai marginale del Parlamento.

Si apprende poi che nelle more della definizione dei “fabbisogni standard” vengono riconosciute alla regione risorse per ciascuna materia di ammontare “almeno pari al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale” e che “l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio della regione dei tributi compartecipati […] è di competenza della regione” (art. 4). Si tratta di due disposizioni tecnicamente complesse ma politicamente chiare: esse determinano un trattamento finanziario di favore per le regioni richiedenti autonomia rispetto alle altre (…)

(…) il costituzionalista Francesco Pallante ha realizzato una attentissima analisi comparata fra le tre regioni. È illuminante riportarne integralmente un passaggio conclusivo:

“se la tesi di una maggiore moderatezza emiliano-romagnola è senz’altro argomentabile quanto all’estensione delle richieste avanzate (che non investono la previdenza complementare, il paesaggio, gli oli minerali, le infrastrutture sportive, i porti e gli aeroporti, la protezione civile, le acque demaniali, il credito, le società cooperative, la comunicazione, l’energia, le zone franche), la medesima tesi pare perdere di vigore guardando all’incisività con cui le richieste della regione si concentrano nei rimanenti ambiti settoriali (salute, istruzione, università, ricerca scientifica e tecnologica, lavoro, giustizia di pace, beni culturali, tutela dell’ambiente, rifiuti, bonifiche, caccia, difesa del suolo, governo del territorio, infrastrutture stradali e ferroviarie, rischio sismico, servizio idrico, commercio con l’estero, agricoltura e prodotti biologici, pesca e acquacoltura, politiche per la montagna, sistema camerale, coordinamento della finanza pubblica regionale, enti locali). In molti casi, come già osservato, la regione si trattiene dall’avanzare rivendicazioni mediaticamente eclatanti, ma si propone di ottenere risultati comunque rilevanti attraverso richieste formulate in modo accorto e puntuale. Come potrebbe essere quello relativo al personale sanitario e scolastico: lungi dal rivendicarne il passaggio sotto l’ordinamento giuridico regionale, l’Emilia-Romagna si limita a richiedere l’istituzione di appositi fondi che le consentano di operare nel senso dell’integrazione del personale disponibile: un modo comunque molto efficace per poter fare affidamento su un numero maggiore di personale sanitario e scolastico”.

(…)

[2] (dal sito dell’Emilia Romagna dedicato all’autonomia differenziata) https://www.regione.emilia-romagna.it/autonomiaer

(3) Rainews Cuperlo a Padova: “Mi candido per ricostruire il centrosinistra, no all’autonomia di Calderoli”

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