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Tomaso Montanari su Pantheon a pagamento

La proposta del ministro Franceschini di introdurre il ticket per uno dei siti simbolo di Roma divide gli esperti. Ed è dibattito tra chi sostiene che è corretto dare un prezzo alla cultura e chi no. Pubblichiamo l’intervento contrario di Tomaso Montanari. E in calce un intervento favorevole di Corrado Augias e una postilla di Edoardo Ssalzano.

Perché no
IN QUELLE MURA L’IDENTITÀ ITALIANA COSÌ LA SVILIAMO
di Tomaso Montanari

(da Emergenzacultura.org l’articolo pubblicato da Repubblica il 13 gennaio 2017)
«L’unicità.Rappresenta la continuità tra classico e moderno Resti gratuito»

Ha scritto Kant: «Tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito da qualcos’altro a titolo equivalente; al contrario, ciò che è superiore a quel prezzo e che non ammette equivalenti, è ciò che ha una dignità ». Il Pantheon deve avere un prezzo, o può continuare ad avere una dignità?

La dignità del Pantheon è intimamente legata al cuore stesso della nostra identità: esso simboleggia la continuità tra il mondo classico e la nostra cultura moderna (è un’architettura antica ininterrottamente usata), mostra l’eccezionale ruolo che l’arte ha avuto in Italia (ospita le tombe di Raffaello e Annibale Carracci), racconta la nostra faticosa epopea nazionale (accogliendo i sepolcri dei re d’Italia). Infine, rappresenta l’unità del nostro spazio pubblico, attraverso una comunione formale e sostanziale con la piazza che sarà interrotta dal pedaggio.

Questa interruzione è un peccato mortale, sul piano civile e politico: perché prende un pezzo di città e lo trasforma in attrazione turistica, disincentivando i romani dall’ingresso, e dunque dalla conoscenza di se stessi. Ed è anche un peccato vero e proprio: di simonia, cioè di vendita di cose sante, visto che il Pantheon è anche una chiesa consacrata (e infatti una direttiva della Cei, già troppo disattesa, vieta di fare pagare per accedere alle chiese). Il Pantheon – come tutto il nostro patrimonio culturale – è una scuola: di memoria, di futuro e di cittadinanza.

I cittadini mantengono le scuole attraverso la fiscalità generale: ed è lì che bisogna guardare. Togliere i biglietti a tutti i musei statali ci costerebbe circa 100 milioni di euro l’anno, mentre l’evasione fiscale viaggia sui 120 miliardi di euro l’anno. Siamo sicuri che sia un buon affare mettere a reddito il cuore stesso dell’identità nazionale, invece che far pagare le tasse a tutti?

Il ministro Franceschini ha spiegato che gli introiti del Pantheon serviranno a compensare il denaro che egli sottrae al patrimonio storico e artistico di Roma isolando il Colosseo in una assurda autonomia plurimilionaria. Egli ha citato il precedente del ministro Bottai: ma il capo di quel governo era Mussolini, per il quale «i monumenti millenari della nostra storia devono giganteggiare nella necessaria solitudine» (discorso del 31 dicembre 1925). Ora è l’ideologia è un’altra: non quella del fascismo, ma quella della supremazia assoluta del mercato. Tanto che il Mibact potrebbe cambiare la sua sigla in Mimcin: Ministero per la mercificazione della cultura e della identità nazionale.

Ma, come ha scritto Michael Sandel, «assegnare un prezzo alle cose buone può corromperle. Spesso gli economisti assumono che i mercati siano inerti, che non abbiano ripercussioni sui beni che scambiano. Ma questo non è vero. I mercati lasciano il segno. […] Se trasformate in merci, alcune delle cose buone della vita vengono corrotte e degradate». La cultura dovrebbe essere l’antidoto a un mondo dove il denaro misura e compra tutto: ma se avveleniamo l’antidoto, che speranze avremo di cambiare?

 

Perché sì
GIUSTO IL BIGLIETTO SE SERVE 
A SALVARE I NOSTRI TESORI
di Corrado Augias 
«La sfida.Prevedere un costo può aiutare a risolvere i problemi di cassa»

In decisioni come queste non esistono un torto e una ragione, nemmeno un meglio e un peggio, tutti sono animati dalle migliori intenzioni, divisi solo da due concezioni, forse potrei dire da due urgenze.

L’annuncio di far pagare un biglietto per il Pantheon ha suscitato polemiche, vivaci quelle dell’assessore Luca Bergamo da noi intervistato ieri. Gli aspetti pratici della questione sono parecchi e vanno chiariti. Il Pantheon è arrivato quasi intatto fino a noi perché usato come chiesa dai primi cristiani – Bernini si portò via i bronzi per farne il baldacchino di San Pietro, ma pazienza. Ancora oggi il monumento è anche una chiesa ed è opportuno distinguere il turista dal fedele; sarà logisticamente possibile farlo? Oppure: far pagare un biglietto implica ingaggiare il personale addetto e predisporre una biglietteria. Sarà possibile una collocazione che non offenda il monumento né quel gioiello della piazza antistante?

Spero che prima dell’annuncio gli uffici ministeriali abbiano impostato la soluzione di questi e di altri possibili problemi. Resta il merito delle obiezioni, in particolare quella dell’assessore Bergamo, che può essere riassunta in questi termini: Roma non è un museo per turisti, il ministro guarda al patrimonio della città «come a un giacimento da sfruttare per la bigliettazione» (sic).

Altrove Bergamo ha anche aggiunto che «si può fare molto di più e di meglio che un parco archeologico nell’area centrale di Roma». Muove l’assessore una nobilissima visione idealistico-romantica. Dietro le sue parole traspare l’immagine di Chateaubriand che contempla immalinconito la mole del Colosseo illuminato da una pallida luce lunare.

Ho fatto a tempo a conoscerla anch’io la Roma di quando le rovine erano parte stessa della città, il fascino del Grand Tour poggiava anche su questo: la vita brulicante e chiassosa nelle strade e il grandioso silenzio del passato.

Quella Roma, quel silenzio, quella convivenza non ci sono più né torneranno più. Viviamo in anni in cui ovunque nel mondo, in particolare a Roma, è difficile perfino garantire la normale, ordinaria protezione dei monumenti – di manutenzione a Roma non è nemmeno il caso di parlare.

Quando attraverso a piedi Valle Giulia, Villa Borghese, il Pincio e vedo gli scempi commessi durante la notte mi chiedo sempre se sia una fatalità a volere una capitale così derelitta o se dipenda solo da un’amministrazione incapace o sopraffatta dagli eventi.

Presa ogni possibile precauzione, coordinati gli intenti tra Stato e Comune, ricavare un profitto da alcuni monumenti per destinarlo ad altri monumenti in un momento in cui le casse pubbliche sono vuote, mi sembra solo un volersi adeguare alla drammaticità del momento.

postilla

Sembra che la Costituzione del 1948 non sia stata abrogata, e che quindi sia  ancora vivo l’articolo 9, il quale proclama che la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione. Se è così le spese relative alla tutela di quel patrimonio costituiscono una delle ragioni per le quali esistono le istituzioni della Repubblica, esiste lo Stato, e i cittadini pagano le tasse appunto per consentire che lo Stato adempia ai suoi compiti. Augias sembra dimenticarlo. Anche lui paga un pedaggio a quella parte, ahimè sempre più numerosa, di intellettuali che sono stati conquistati dall’ideologia mercantilistica che pervade il nostro mondo. Ci piacerebbe che eminenti formatori dell’opinione pubblica, quando sembrano mancare i quattrini per far funzionare la sanità e la scuola, e tutelare i monumenti, sprecassero qualche parola, magari veementi, contro tutto ciò che ha «vuotato le casse» le spese inutili (Grandi opere), quelle in contrasto con la Costituzione (quelle per le guerre altrui) e mancassero al loro dovere di perseguire efficacemente l’evasione fiscale, comunque camuffata. Come afferma, giustamente, Tomaso Montanari

 

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