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10 parole urbanistica – Paesaggio – conclusioni Mauro Baioni

Dieci parole dell’urbanistica: paesaggio
Il paesaggio come patrimonio vivo

Credo di non sbagliarmi nel ritenere che tutte le persone qui presenti desiderino che il piano paesaggistico sia approvato quanto prima e senza manomissioni delle regole di tutela, con modifiche dell’ultima ora.

Le persone che parleranno dopo di me preciseranno alcuni rischi che devono essere scongiurati e si soffermeranno sul modo in cui lo Stato e la Regione possono collaborare, nel rispetto dei ruoli, per perfezionare il procedimento di approvazione. L’autorevolezza di chi parlerà rende superfluo un coordinamento di questa sessione. Per questo, mi limito a premettere alcune considerazioni su un aspetto che mi sta particolarmente a cuore: la conservazione del territorio non è un’azione statica che si esaurisce con l’apposizione di un vincolo, bensì una pratica che chiama in causa persone e istituzioni. Come mi ha insegnato Edoardo Salzano, il paesaggio è il prodotto storico della cultura e del lavoro dell’uomo ed è esso stesso un soggetto cooperante, controparte imprescindibile dell’agire sociale.

Tra i molti possibili esempi di un possibile connubio virtuoso fra società e territorio, vorrei richiamare quello della val di Cornia, in provincia di Grosseto, che ho conosciuto in occasione della prima edizione della scuola di eddyburg, svolta quindici anni fa in una delle strutture del parco. È una vicenda che riguarda il tema del nostro seminario, perché trae origine da una scelta radicale a favore della conservazione di un lembo di paesaggio costiero in parte compromesso da costruzioni e lottizzazioni abusive, sancita con l’apposizione di un vincolo di inedificabilità.

Quello che mi preme raccontare non riguarda la natura del vincolo, né l’impegno amministrativo che ha richiesto la demolizione delle costruzioni abusive e l’esproprio del terreno. Vorrei invece parlarvi brevemente della costituzione, nel 1993, della società Parchi Val di Cornia spa. Una decisione difficile che matura in un periodo in cui la crisi industriale dell’area – siamo nei pressi di Piombino – è già evidente e induce a programmare iniziative capaci di affrontare il superamento della “monocultura” manifatturiera. Si decide pertanto di costituire una società per azioni – a guida pubblica ma con la compartecipazione di capitali privati – per promuovere la realizzazione e gestione di servizi per la fruizione turistica in forma tale da assicurare la conservazione attiva dell’area. Alcuni numeri aiutano a comprendere i termini della questione: 400 ettari di siti archeologici, due nuovi musei, ricostituzione della continuità di spiagge, dune, aree umide retrodunali, pinete, boschi per oltre venti chilometri. Le iniziative assunte dalla società del parco coinvolgono decine di imprese, per quasi 200 addetti, con il sostanziale pareggio dei costi di gestione – compresi quelli del personale: 75 persone, più della metà con contratto a tempo indeterminato e prevalenza femminile. Nell’intorno si genera un deciso incremento delle presenze turistiche, tale da consentire l’affermazione di nuove attività in un territorio che, a dispetto della sua bellezza, è comunque periferico rispetto alle mete più frequentate. Come ricorda Massimo Zucconi, allora direttore del parco, il progetto dei Comuni della Val di Cornia ha tenuto unito la dimensione d’area vasta, l’investimento nella cultura e nell’ambiente, la creazione di nuova occupazione e il sostegno al turismo di qualità.

Si può pensare che tutto questo non sia possibile nel Lazio. Ma ciò che ho raccontato non serve tanto per mostrare un esempio virtuoso al quale ispirarsi, quanto per rimarcare come si possa e si debba guardare al paesaggio e al territorio come ad un “patrimonio vivo” che consente di sostanziare un legame tra le persone e i “beni” oggetto della tutela. Su questo punto, credo possa essere utile condividere un’ulteriore riflessione, a partire dall’oggetto di un lavoro di ricerca che sto conducendo con Giovanni Caudo per conto della Regione Lazio. Il territorio attorno a Roma è molto cambiato negli ultimi trent’anni ed è soggetto a trasformazioni che, per lo più, sfuggono all’attenzione generale, catalizzata dalla capitale e dal suo declino. È però il caso di ricordare che non possiamo più considerare ciò che sta all’esterno del raccordo anulare solo come una periferia lontana e disagiata. Da Fiano a Colleferro, da Civitavecchia ad Aprilia, da Bracciano ai Castelli – all’esterno del raccordo anulare – si è formata una conurbazione, dilatata e frammentaria, dove vivono oltre due milioni e mezzo di persone. Una seconda città, per lo meno in termini di popolazione. Ma se guardiamo allo stesso territorio dal punto di vista del paesaggio, possiamo constatare che pressoché tutte le categorie elencate dalla legge sono presenti: coste, fiumi, laghi, vulcani, montagne, boschi, riserve naturali, zone archeologiche. Ritengo che non si possa sottovalutare questa condizione di straordinaria complessità che amplifica la difficoltà di costruire relazioni virtuose.

Tuttavia, proprio per questo, non si può eludere il nesso fra conservazione ed economia. Ovviamente ciò non comporta affatto un’adesione all’ideologia estrattiva sottesa al concetto di valorizzazione. Piuttosto, occorre dare sostegno alle iniziative che, attraverso la cura del paesaggio, favoriscono un’offerta di lavoro qualificato e l’innalzamento della qualità di vita nell’area metropolitana e nel più ampio bacino regionale. Il settore turistico (che frutta 5 miliardi ogni anno), quello dei servizi (in cui il Lazio è un’eccellenza), il mondo agricolo e quello dell’innovazione (entrambi sostenuti dalla Regione con finanziamenti pubblici di svariate centinaia di milioni l’anno) possono sfruttare opportunità che traggono origine e forza dalla conservazione e dalla cura del paesaggio. Nel Lazio sono presenti potenzialità, idee e progetti che hanno bisogno di essere riconosciuti e rappresentati politicamente. Per questo ritengo che l’approvazione del piano paesaggistico non sia solo un atto doveroso per la salvaguardia dei caratteri materiali del territorio, ma una scelta che possiede una valenza sociale e politica.

 

 

Mauro Baioni
30 giugno 2019