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Bike Sharing a flusso libero: cosa bisogna sapere (e cosa c’entra con la riforma dei cartelloni)

BikeSharing2 Firenze

Immagine dal sito dedicato al bike sharing dal Comune di Firenze

Bike sharing a Roma: in un’intervista a Repubblica qualche giorno fa (1), il  Presidente della Commissione capitolina mobilità Enrico Stefàno ha parlato dell’intenzione di dotare anche Roma di un servizio di bike sharing, non più  basato, come in passato,sulle postazioni fisse, da cui era obbligatorio prendere e rilasciare le biciclette, ma sulla possibilità all’utente di lasciare il mezzo dove gli fa più comodo (“free floating” “a flusso libero”). Un sistema che apparentemente sembra assai più agevole e quindi con ricadute migliori sulla  mobilità cittadina, grazie all’aumento del numero di ciclisti e alla conseguente diminuzione delle auto circolanti, ma che in realtà, come sempre, va visto nella complessità delle sue ricadute, che riguardano due aspetti diversi ma collegati.

Il primo riguarda il bikesharing a flusso libero in sè, con i suoi indubbi vantaggi per i singoli utenti, che può però presentare anche notevoli  svantaggi, dall’aumento del caos per l’abbandono di biciclette ovunque (specialmente nei pressi dei luoghi anche monumentali più frequentati) ai problemi logistici e di gestione economica, che hanno già spinto alcuni Paesi a fare retromarcia. Il secondo riguarda le ricadute sulla riforma dei cartelloni pubblicitari  che da anni cerca di arrivare faticosamente in porto (vedi la nostra scheda Basta Cartelloni) e che si basa anche sulla possibilità che parte degli spazi destinati alle affissioni sia  affidata ai vincitori dei bandi per il bike sharing,  a integrazione del  servizio offerto per la mobilità con la realizzazione di una rete di ciclostazioni.

Proponiamo alcuni  spunti di riflessione, a partire da  una  breve sintesi ricavata da un articolo del blog Romafaschifo.com :

(da romafaschifo.com 18 settembre 2017) 6 motivi per cui il bike-sharing a flusso libero può essere un brutto rischio a Roma

(…) In tutti i settori della sharing economy passare da un flusso vincolato ad un flusso libero è sinonimo di evoluzione e di smartness. Pensate alle auto: un conto il car sharing comunale che ti impone di rilasciare l’auto dove l’hai presa, dopo una prenotazione manuale in cui devi prevedere il tempo che la terrai. Altro conto è aprire il telefonino, prendere un’auto per cinque minuti, lasciarla dove ti pare, pagare solo per l’effettivo minutaggio di utilizzo. E infatti il successo è stato clamoroso.
Idem per le biciclette: le vecchie ciclostazioni del bike-sharing rischiano seriamente di essere soppiantate dalle nuove bici del bike-sharing a flusso libero (Mobike ora si chiama l’operatore, ma ne arriveranno altri a Milano e a Firenze): apri il telefonino, fotografi il codice qr della bici, il lucchetto si sblocca automaticamente e si può partire. Poi quando arrivi parcheggi, chiudi il lucchetto e paghi i pochi euro necessari per la corsa. Detta così è una figata e l’espansione sarà probabilmente inarrestabile (già a Milano è boom),  facendo apparire il tradizionale bike-sharing come una roba della preistoria, ma la cosa presenta alcuni problemi, tant’è che alcune città, dopo il primo periodo di entusiasmo, sono arrivate perfino a smantellare il servizio di bike-sharing a flusso libero.

1. LA SOSTA. Ovviamente il rischio di trovarsi bici parcheggiate a casaccio dovunque è enorme. Abituatevi, quando fate manovra con l’auto per uscire dal parcheggio, a dover gestire il fatto di avere dietro attaccata una bicicletta insomma

2. IL VANDALISMO. Al di là del furto, magari poco probabile vista la dotazione satellitare delle bici, il vandalismo rischia di essere molto impattante: senza una ciclostazione le bici sono molto poco controllabili.

3. MANCATO INTROITO. Con il bike-sharing tradizionale il comune incassa (andatevi a leggere quanti soldi becca il Comune di Parigi dal Velib’), con questo nuovo sistema il comune non incassa più niente: regala suolo pubblico agli operatori e basta. Almeno per ora la situazione è questa.

4. ADDIO PRIMA MEZZ’ORA GRATIS. E’ stata per 10 anni il pilastro del bike-sharing, ora salta. Cosa significa? Che conviene meno prendere la bici per spostamenti brevi e concentrati in una zona piccola; ogni volta che si prende si paga qualcosina. E chi fa 10 tratti al giorno che col bike-sharing tradizionale non pagava nulla, qui rischia di essere allettato dal motorino.

5. L’ARREDO URBANO. Addio arredo urbano, addio intere strade riqualificate grazie a enormi ciclostazioni lunghe 50 metri, addio marciapiedi salvati dalla sosta selvaggia grazie alla realizzazione a bordo strada di ciclo stazioni, addio spartitraffico un tempo tramutati in parking e oggi tornati giardini eleganti grazie alle stazioni, addio carreggiate ricondotte ad una larghezza corretta proprio grazie alle bici ancorate. E così via. Da Parigi a Milano passando per Londra le ciclostazioni sono servite molto spesso a dare spina dorsale, ordine e senso a molte strade. Se si passa al flusso libero tutta questa funzione ancillare e accessoria ma decisiva e utilissima va smarrita. E dio solo sa quanto Roma avrebbe bisogno di un intervento simile.

* * *

Romafaschifo segnala inoltre i rischi del nuovo bike sharing rispetto alla riforma dei cartelloni di  allungare ulteriormente i tempi dei bandi, invitando l’Amministrazione ad affrontare rapidamente il punto, e  conclude che sicuramente a Roma funziona meglio un  bike-sharing a flusso libero  come integrazione ad un bike-sharing strutturale già esistente (come accade a Milano) piuttosto che una sostituzione tout court (come accade invece a Firenze).

Sul tema c’è da dire che il servizio di Bike Sharing previsto nella riforma dei cartelloni prevede un corrispettivo di ca. 8.000 mq. di superficie espositiva – ma le ditte concessionarie del bike sharing dovrebbero  pagare in ogni caso  al Comune il Cip, Canone di Iniziative Pubblicitarie – per finanziare con il suo ricavo la realizzazione di almeno 250 ciclostazioni (2) e la gestione decennale di un congruo numero di biciclette. Diarioromano, erede del blog “Basta cartelloni”, rileva (3) che fino ad oggi tutti gli schemi di bike sharing sono stati finanziati dalla cartellonistica e la stessa scelta è stata fatta nel Prip (Piano Regolatore Impianti Pubblicitari) e nel Regolamento sulle Affissioni, approvati dopo un lunghissimo iter e un profondo dibattito nel luglio del 2014 dalla maggioranza di centro sinistra (Giunta Marino) con i voti favorevoli anche del Movimento 5Stelle. E sicuramente cambiare “le carte in tavola” sul bike sharing,  mettendo  in discussione  uno dei pilastri di una riforma che porta la superficie pubblicitaria cittadina da circa 137mila mq a circa 62mila (meno della metà!), riorganizzando le affissioni e sottoponendole a regole stringenti anche rispetto alla tutela del paesaggio, della sicurezza stradale, etc, avrebbe la conseguenza di rallentare, se non azzerare, tutto il percorso fatto finora, proprio a un passo dal raggiungimento della meta.

Considerando che, come racconta l’approfondita disamina di   Rodolfo Bosi su VAS Roma (4), e lo stesso Diarioromano,  in molti Paesi stanno ritirando il bike sharing  a causa delle notevoli criticità(5), appare assai avventato tirare fuori dal cappello il coniglio “free floating” senza affronatre prima adeguati studi e approfondimenti, volti a individuare  la formula e le condizioni migliori per Roma e per i romani. 

Una  città – soprattutto la nostra vessata città –  dovrebbe essere  governata con particolare lungimiranza e  con grande  ragionevolezza. E soprattutto senza continuare a lanciare   proposte che non arrivano mai al dunque, per lo più sommerse dal  continuo marketing delle campagne elettorali che non finiscono mai.

(AMBM)

Post scriptum: ma non sarebbe meglio, prima di pensare ad aumentare il numero dei ciclisti, aumentare il numero e la rete delle piste ciclabili e degli snodi intermodali?

Per osservazioni e precisazioni laboratoriocarteinregola@gmail.com

Vai al Dossier di Carteinregola Bastacartelloni

scarica lo studio di Eurotest sul bike sharing   (del 2012)

(1) Il Presidente della Commissione Mobilità Enrico Stefàno ha rilasciato una intervista al quotidiano “la Repubblica” con cui annuncia che “entro Natale il Comune farà un avviso pubblico” per introdurre a Roma il modello di bike sharing a flusso libero attivato a Milano (vedi Repubblica 9 settembre 2017Torna il bike sharing “Disponibili ovunque e addio stazioni fisse” di LAURA MARI http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/09/09/torna-il-bike-sharing-disponibili-ovunque-e-addio-stazioni-fisseRoma04.html)

(2) il Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU) prevede che a regime Roma abbia 350 ciclostazioni, ritenute più che sufficienti per dotare la città di un numero di biciclette

(3) Si vedano i post:

 

 

(4) Il Bike Sharing Free Floating non deve affiancare, né sostituire, il servizio di Bike Sharing previsto nella riforma dei cartelloni pubblicitari di Roma di Rodolfo Bosi(da VAS Roma 19 settembre 2017) http://www.vasroma.it/il-bike-sharing-free-floating-non-deve-affiancare-ne-sostituire-il-servizio-di-bike-sharing-previsto-nella-riforma-dei-cartelloni-pubblicitari-di-roma/

(5) da Diario romano http://www.diarioromano.it/anche-a-roma-il-bike-sharing-a-flusso-libero-ma-molte-citta-ci-ripensano/

Il flusso libero sta provocando molti problemi al punto che alcune città, tra le quali Amsterdam, hanno deciso di bloccarne lo sviluppo. E proprio in queste ore Pechino ha sospeso il servizio. La prima questione riguarda proprio la sosta: mollare la bicicletta ovunque può voler dire ingolfare strade e marciapiedi, impedendo il passaggio di auto e pedoni. Nella capitale olandese alcune zone del centro erano così sature di bici a flusso libero che il Comune ha dovuto più volte liberarle per fluidificare il traffico. A Bristol, due linee ferroviarie sono state bloccate perché sui binari erano state lasciate alcune biciclette. Il Comune di Zurigo si è affidato ad una azienda cinese ma questa – dopo aver lasciato in strada centinaia di bici – ha chiuso la propria sede e al Comune non sanno con chi parlare per far rimuovere i mezzi abbandonati nei parchi o per la strada. Disagi serissimi anche a Shanghai e a Shenzhen. Secondo problema riguarda la qualità delle bici. Sono per lo più supereconomiche che vengono divorate dalla ruggine in pochi mesi, oltre a mostrarsi inefficienti. Il costo della riparazione spesso supera il valore del mezzo e così le ditte preferiscono abbandonarle. In alcune città della Cina si vedono sempre più spesso cataste di biciclette senza un padrone, il cui smaltimento ricadrà sul Comune.

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