Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Perchè NO Alfabeto dell’autonomia differenziata: Paolo Guerrieri

Perchè NO Alfabeto dell’autonomia differenziata: Paolo Guerrieri, economista, Autonomia differenziata e Commercio con l’estero

Anna Maria Bianchi Buonasera questa sera parliamo di autonomia regionale differenziata e commercio con l’estero. Una materia che si stenta a credere che possa essere frazionata tra tutte le regioni italiane che ne faranno richiesta. Ne parliamo con Paolo Guerrieri economista e Pietro Spirito.

Pietro Spirito Buonasera. Insomma, certamente pare quanto meno singolare immaginare che il commercio estero possa non essere più materia statale, neanche in maniera concorrente, e possa invece diventare materia esclusiva da parte delle regioni. In un mondo che ha conosciuto negli ultimi trent’anni lo sviluppo di una rete mondiale e globalizzata con grandi blocchi che si confrontano questa prospettiva pare irragionevole. Si affermano politiche sempre più super statali, piuttosto che regionali. Qual è la tua impressione, Paolo, da economista che da decenni studia questi aspetti?

Paolo Guerrieri. Si fa davvero fatica a immaginare in che modo possa derivare un contributo di qualsiasi genere positivo per le politiche per il commercio estero italiano da una riforma come l’autonomia differenziata. E si può spiegarlo a partire da una fotografia della situazione attuale.

Com’è noto il sistema pubblico di sostegno all’apertura internazionale dell’economia italiana è basato su una articolata e complessa architettura istituzionale che si sostanzia in una molteplicità di enti preposti in Italia al presidio delle misure di intervento.

Misure che comprendono sia il vasto insieme di strumenti rivolti a sostenere la capacità delle imprese di operare sui mercati esteri (le politiche per l’internazionalizzazione delle imprese) e sia le politiche per attrarre investimenti diretti dall’estero. E si servono sia di servizi finanziari (erogazione di credito agevolato; assicurazione e garanzia pubblica sui crediti all’esportazione) sia di servizi reali, quali informazione e consulenza sui mercati, promozione prodotti, fiere internazionali e missioni di imprenditori,

Il complesso sistema di politiche che mira a innalzare il grado di apertura internazionale dell’economia italiana è, a sua volta, caratterizzato da una pluralità di soggetti nazionali e da una pluralità di livelli di intervento (sovranazionali, nazionali e istituzioni regionali).

Una abbondanza tale da definire il sistema come affetto da “ridondanza istituzionale”, che pone rilevanti problemi di coordinamento, sia orizzontale (tra diversi soggetti nazionali), sia verticale (tra istituzioni regionali, nazionali e sovranazionali). Nell’assetto costituzionale vigente, infatti, anche le Regioni hanno competenze nelle politiche per l’internazionalizzazione, che derivano dal loro ruolo nella promozione dello sviluppo locale. Le Regioni, a cui già la legge Bassanini del 1997 aveva decentrato importanti competenze di politica industriale, con la riforma costituzionale del 2001 acquisirono potestà legislativa concorrente in materia di commercio estero. Ciò ha sempre posto in passato problemi rilevanti di coordinamento, affrontati in modi diversi, attraverso anche una Cabina di regia per l’Italia internazionale, ma mai interamente risolti.

E sono divenuti oggi più complessi e urgenti da affrontare visto il ruolo sempre più importante anche in prospettiva della Commissione europea in campo commerciale, industriale e della cooperazione allo sviluppo.

Inoltre, benché la Commissione europea non abbia competenze proprie nelle politiche per l’internazionalizzazione delle imprese, negli ultimi anni si è sviluppato un suo ruolo complementare rispetto ai governi nazionali, per migliorare le informazioni e i servizi disponibili e rafforzare la coerenza e il coordinamento tra i diversi programmi per l’innovazione e la competitività delle imprese. Un ruolo destinato ad aumentare con le nuove politiche per la sicurezza e l’autonomia strategica.

Un problema emerso in passato con chiarezza rispetto a questa situazione è stata l’esigenza di rafforzare il coordinamento nazionale delle politiche per l’internazionalizzazione, valutando anche l’ipotesi di riportare al centro le competenze in tale ambito, troppo affrettatamente decentrate in passato, e sottraendo tali politiche al gruppo di quelle a potestà concorrente.

Pietro Spirito Su questo mi permetto di esprimere un pensiero maligno: non credo che i padani siano orientati verso un diverso modello istituzionale sul commercio estero. In questa materia, secondo me, l’obiettivo è mettere le mani su Invitalia, perché questa azienda è diventata un grande collettore di enormi flussi di denaro pubblico, che sono più o meno connessi a questioni legate alla internazionalizzazione, sia sul versante della attrazione degli investimenti sud nella cointeressenza col sistema economico territoriale. Pensiamo a quello che accade all’Ilva, e in tante altre vicende industriali recenti. Al di là degli slogan o della materia specifica, non credi che alla fine il tema non sia quello di mettere le mani sulla cassa e sui soldi?

Paolo Guerrieri Questo è un tema già presente da tempo, perché dietro queste politiche queste misure ci sono le risorse, ci sono i soldi, come giustamente sintetizzi tu, e soprattutto su queste politiche di attrazione c’è già come dire una “concorrenza” , una “copresenza” di vari enti, com’è il caso di Invitalia e dell’ ICE.

Va poi aggiunto che malgrado le numerose riforme degli ultimi decenni, un problema aperto resta la compatibilità tra le ragioni che spingono ad attribuire poteri rilevanti alle Regioni e quelle che indicano l’esigenza opposta, per conseguire maggiore efficienza ed efficacia nell’azione pubblica e ridurre gli squilibri territoriali.

Ciò vale in particolare per le agenzie regionali di attrazione degli investimenti esteri, che possono svolgere un ruolo positivo importante, a condizione che esista un forte meccanismo di coordinamento con gli enti nazionali competenti

L’autonomia differenziata delineata dal Governo non solo non aiuta a risolvere tale problema ma spingerà in direzione opposta ed espone l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche. Si delinea in sostanza uno scenario di crescente «specialità» delle regioni a statuto ordinario con una conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento all’estero del sistema delle imprese.

Sarebbe singolare ad esempio avere accordi commerciali diversi da una regione all’altra.

E tutto ciò appare anacronistico se si considerano gli shock che hanno colpito l’economia e la società italiana negli ultimi anni, ovvero shock globali che hanno fatto emergere i limiti di risposte frammentate a livello territoriale

Il problema dell’allocazione verticale delle competenze tra i diversi livelli istituzionali appare ancora più grave proprio con riferimento ai rapporti tra le politiche per l’internazionalizzazione e la coesione territoriale. Se è vero, per esempio, che una maggiore concentrazione verso il Mezzogiorno degli afflussi di investimenti esteri potrebbe dare un contributo importante a ridurne il divario di sviluppo con il resto del paese, appare assai difficile che questo risultato possa essere ottenuto in un contesto in cui le Regioni competano tra di loro per attrarre l’interesse delle multinazionali.

Esattamente il contrario anche di quel che potrà servire domani, quando – si spera – verranno affidate diverse politiche industriali e dell’immigrazione a un coordinamento e finanziamento di tipo europeo

Il rischio è quello di una babele regolamentare di «regioni sovrane» che inciderebbe ancor più pesantemente della burocrazia «centrale» sul rapporto tra pubblico (i tanti governi regionali) e privato.

Pietro Spirito Vorrei sottolineare un altro punto. Una delle debolezze del Mezzogiorno è la sua scarsa partecipazione alle internazionalizzazioni dell’economia italiana: un decimo delle esportazioni italiane vengono dal Sud: si tratta di una percentuale troppo bassa. Perché il Paese possa continuare a crescere c’è bisogno che il Mezzogiorno si internazionalizzi di più, esporti di più. Ma una politica che si frammenta rischia di indebolire ulteriormente il Mezzogiorno. perché se il commercio estero viene gestito direttamente dal Veneto, dall’Emilia Romagna, dal Piemonte, dalla Lombardia, cioè dalle regioni industriali di questo Paese, si rischia ulteriormente di penalizzare il Mezzogiorno, con un’Italia sempre più a diverse velocità. E il paradosso di questa autonomia differenziata: possono esserci Regioni che scelgono di gestire direttamente il commercio estero e Regioni che non scelgono il commercio estero come materia. Anche questa mi pare una sciocchezza evidente.

Paolo Guerrieri È assolutamente un non senso dal punto di vista economico e dal punto di vista dell’efficienza istituzionale, considerati i problemi che in qualche modo una politica per il commercio estero deve affrontare in Italia.

A questo riguardo basta richiamare alcune caratteristiche del sistema produttivo italiano in tema di proiezione internazionale che sono note da tempo, ovvero la bassa percentuale di imprese che esportano sul totale delle imprese attive; e poi la polarizzazione e il forte dualismo che caratterizzano la distribuzione delle imprese esportatrici sia a livello territoriale tra Nord e Sud del paese sia per classi di dimensione aziendale medie e medio-grandi da una parte e piccole e piccolissime dall’altra. Di qui le grandi difficoltà affrontate dalle aree meridionali e dalle imprese italiane di dimensioni minori nell’affrontare i costi e i rischi dei mercati internazionali. Poi c’è la scarsa attrattività del paese risetto agli IDE, di cui abbiamo parlato, dovuta a una serie di cause di natura economica e non quali giustizia e complessità burocratica, rispetto alle quali come paese siamo tra gli ultimi nelle classifiche Ocse

Allora il problema naturalmente è che per affrontare questi problemi ci vogliono, come abbiamo detto, sia politiche per sostenere le imprese sui mercati internazionali, sia politiche per attirare le imprese multinazionali e le imprese estere in Italia. Perché la partecipazione oggi al commercio estero è soprattutto una partecipazione a quelle che si chiamano le “catene globali del valore” , cioè il commercio estero per oltre il sessanta per cento, è commercio che si svolge non più come ai tempi in cui l’economista Davide Ricardo faceva l’esempio dell’Inghilterra che esportava tessuto, e del Portogallo vino. Oggi questo tessuto e vino si scambiano all’interno di reti di imprese che sono presenti in tantissimi paesi. Allora quello che va sostenuta è una maggiore presenza delle nostre imprese, soprattutto piccole, in queste reti di imprese a livello internazionale. È dimostrato in maniera molto chiara l’influenza positiva che esercita tale partecipazione sulla performance delle imprese.

Per questo ci vuole naturalmente un sistema di interventi e strumenti che vanno gestiti con un disegno e una strategia complessivi, frutto di un coordinamento a livello nazionale. Tanto più quando si deve cercare di riequilibrare sperequazioni evidenti tra Regione e Regione e tra un’area, quella del nord, e un’area quella del sud, come abbiamo detto.

Il problema è che non c’è un modello ottimale per la distribuzione delle competenze fra i diversi livelli di governo nazionale e locale. Anzi come abbiamo detto questo è uno dei problemi tuttora irrisolto dell’assetto esistente.  Il punto è che l’assetto deve essere coerente tra regioni. Invece da noi, per come si sta procedendo ora, rischia di non essere così

Se il disegno di legge che detta disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario all’esame del Parlamento dovesse andare in porto nella sua versione attuale, ciascuna regione potrebbe richiedere una devoluzione di funzioni per così dire ‘à la carte’: dalle infrastrutture energetiche e di trasporto alla salute, fino all’istruzione e alla sicurezza sul lavoro comprese le politiche per l’internazionalizzazione e l’attrazione degli investimenti.

Nel nostro ordinamento si troverebbero così a operare tre distinti gruppi di regioni: quelle a statuto ordinario, con competenze uniformi fra loro; quelle a statuto speciale, ciascuna con competenze proprie; quelle ad autonomia differenziata, con competenze difformi sia dalle une sia dalle altre.

Si tratterebbe di un unicum internazionale, anche rispetto a paesi che hanno già sperimentato forme di federalismo asimmetrico come la Spagna. La frammentazione delle competenze potrebbe comportare una significativa perdita di efficienza: le imprese dovrebbero confrontarsi con quadri regolamentari molto diversi da regione a regione.

E tutto ciò appare ancor più insensato se si considerano – come si è detto – gli shock che hanno colpito l’economia e la società italiana negli ultimi anni, ovvero shock globali che hanno fatto emergere i limiti di risposte frammentate a livello territoriale

Pietro Spirito Il commercio estero è diventato negli ultimi decenni in realtà soprattutto politica estera. Tant’è vero che le nostre ambasciate si sono molto attrezzate per ragionare con gli imprenditori. Ora pensiamo al “Piano Mattei”, così facciamo un esempio dell’attuale governo Ma se avessimo devoluto alle Regioni il commercio estero, il presidente della Basilicata avrebbe potuto fare il suo piano Mattei, visto che possiede il petrolio. Quello che non si capisce, a mio avviso è che proprio ti stanno minando le basi dello Stato, non tanto che si crei confusione, perché in Italia la confusione è tanta, comunque, a prescindere come diceva Totò. Ora si sta andando un po’ più in là, si sta entrando proprio in un meccanismo di sabotaggio dello Stato.

Paolo Guerrieri Io penso di sì, purtroppo. L’esempio del “Piano Mattei” a questo punto è calzante. Perché innanzi tutto abbiamo visto che l’Italia non è in grado di portare avanti come singolo paese un suo piano Mattei. La stessa Presidente del Consiglio Meloni ha dovuto riconoscere, che o l’Europa prenderà in mano una iniziativa di questo genere, o non si andrà da nessuna parte. Soprattutto perché come singolo paese non abbiamo le risorse adeguate. Immaginiamo a questo punto che questo tipo di contrattazione avvenisse dovendo frammentare quelle poche risorse che comunque saremo riusciti a mettere sul tavolo e che hanno spinto, tra le altre cose, la von der Leyen a venire a Roma all’incontro con i paesi africani. Se dovesse entrare in vigore un provvedimento come l’autonomia differenziata l’Italia come paese membro che cerca di spingere l’Europa a rilanciare una strategia verso l’Africa verrebbe fortemente indebolito. Non avremmo neanche quelle poche risorse che abbiamo oggi.

Per riassumere, dai tanti esempi fatti fin qui il disegno prospettato di autonomia differenziata appare andare in direzione opposta a quella suggerita dalla situazione attuale delle politiche per l’internazionalizzazione delle nostre imprese e del nostro sistema produttivo. Una sorta di “decentramento a go go”, come si può definirlo, dal quale poi il sistema Italia uscirebbe indebolito in quanto a strumenti da poter utilizzare, e fortemente indebolito in quanto a risorse da potere mobilitare. Quindi rispetto a tanti altri aspetti negativi che si possono mettere in luce, anche questo delle politiche dirette a sostenere la presenza internazionale del nostro paese è un campo dove potrebbero aversi conseguenze fortemente negative dall’autonomia differenziata in discussione in Parlamento.

La capacità di governo dell’Italia ne sarebbe fortemente ridotta, così come il suo prestigio internazionale e la sua capacità di incidere sulle grandi scelte comunitarie e internazionali.

Ed è particolarmente preoccupante perché la presenza internazionale economica di un paese sta divenendo un tema molto legato alla sua politica estera. E si può affermare qualcosa di più, un tema legato alla politica di sicurezza di un paese, perché oggi economia e sicurezza interagiscono strettamente tra loro in un mondo che, come sappiamo, è profondamente cambiato dopo l’invasione dell’Ucraina.

Bisogna pertanto continuare ad affermare e non stancarsi di ripetere quanto questo testo sia davvero sbagliato e rischi di trasformare l’Italia in uno stato “arlecchino”, senza alcun paragone, neppure lontano, con altri paesi avanzati.

Anna Maria Bianchi Bene io ringrazio Paolo Guerrieri e ringrazio Pietro Spirito e continueremo con questo lavoro di analisi materia per materia di quelle oggi concorrenti addirittura di esclusiva dello stato che con l’autonomia regionale differenziata potrebbero diventare di esclusiva potestà delle regioni con queste conseguenze disastrose che andiamo man mano scoprendo.

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

18 marzo 2024