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Rigenerazione urbana: la città che rigenera le comunità/ la città che demolisce la memoria

a Edoardo Salzano

Intervenire nella città consolidata attraverso la rigenerazione urbana fa parte ormai del linguaggio comune. Se ne parla ovunque, lasciando intendere che sia la soluzione per fermare il consumo di suolo e restituire la dignità e la vivibilità ai territori più degradati. Finalità contraddette dal disegno di legge discusso (senza arrivare all’approvazione) nella passata legislatura, così come dalla legge della rigenerazione urbana della Regione Lazio approvata nel 2017[3]: sono provvedimenti che sembrano avere la finalità pressoché esclusiva di facilitare e rendere maggiormente redditizie le operazione immobiliari degli investitori privati. A Roma se ne ha una conferma in tutta evidenza: la legge regionale ha trovato applicazione in un solo articolo – articolo 6 [4] – che, come il precedente “Piano casa” varato dalla Giunta Polverini e prorogato per tre anni dalla Giunta Zingaretti, permette interventi diretti sui singoli edifici da parte degli imprenditori privati con la possibilità di demolizioni e ricostruzioni con premi di cubatura senza alcuna preliminare pianificazione e successiva valutazione da parte degli uffici comunali.

La conseguenza è che gli interventi che fanno riferimento a questa tipologia si sono moltiplicati nelle zone più pregiate e quindi più remunerative per gli investitori, in particolare nei tessuti storici della città all’esterno delle Mura aureliane, escludendo i quartieri che ne avrebbero più bisogno. Attualmente il Comune di Roma ha approvato gli Indirizzi per la revisione, modifica e attualizzazione delle Norme tecniche di attuazione del vigente Piano Regolatore Generale: proponendosi di implementare nelle norme alcune disposizioni della legge regionale, possono avere come effetto l’ennesima operazione che, avvalendosi della retorica della rigenerazione, persegue il solo rinnovamento edilizio – magari tinteggiato di efficientamento energetico – nelle aree individuate dagli operatori immobiliari, in particolare nei quartieri storici della Capitale come Garbatella, Città Giardino, Parioli, Prati, Trieste e molti altri.

CHIEDIAMO

A Governo e Parlamento    

  • di elaborare nel corso dell’attuale legislatura una legge per la rigenerazione che assuma come principi ineludibili il soddisfacimento dei bisogni e delle aspettative dei residenti interessati dagli interventi di trasformazione, la tutela e la conservazione integrale dei centri storici quale patrimonio identitario di una comunità, il dosaggio selettivo degli incentivi escludendo comunque i premi di cubatura per gli immobili inclusi nella città storica;[1] [2]

 Alla Regione Lazio

  • di avviare un esame approfondito sulle ricadute della Legge regionale n.  7/2017 – Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio[3], ormai vigente da 5 anni, in particolare rispetto ai contenuti dell’articolo 1 –  Finalità e ambito di applicazione, anche in seguito alla verifica degli interventi realizzati, in corso e progettati nella Capitale sulla base dei dati che annualmente i Comuni del Lazio, come previsto dalla stessa legge, devono inviare alla struttura della Giunta regionale competente in materia urbanistica ;
  • di promuovere progetti di rigenerazione pianificati e guidati dall’Amministrazione secondo gli articoli 2 e 3 della legge 7/2017 in modo tale che gli incentivi siano concessi sulla base di elementi e indagini che confluiscano in una “mappa del disagio”. Con questo presupposto sarà possibile individuare gli ambiti dove le trasformazioni comportino benefici per i residenti, escludendo comunque dalle agevolazioni l’intera città storica dove gli interventi consentono, per condizioni oggettive, elevati profitti in favore degli operatori privati. La valutazione per definire gli ambiti della trasformazione, indispensabile per gli interventi all’interno della città consolidata, dovrà essere conseguente alla stesura di appositi criteri, tenuto conto della mappa del disagio;
  • di sopprimere l’articolo 6 della legge (Interventi diretti) [4] che consente – “sempre” – interventi di demolizione e ricostruzione con premio di cubatura e/o cambi di destinazione senza alcuna programmazione e assenso degli uffici comunali;
  • di ripristinare i testi degli articoli 1 e 6 della legge parzialmente modificati da due emendamenti[5]: il primo ha eliminato che “gli interventi …sono consentiti… prioritariamente nelle aree in cui non sono state completate le opere di urbanizzazione primaria, secondaria e che non rispettano gli standard”, il secondo consente la rigenerazione anche per il solo “miglioramento della qualità ambientale e architettonica …promuovendo le tecniche di bioedilizia più avanzate, assicurando più elevati livelli di efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili“ offrendo un’ottima giustificazione alla semplice sostituzione edilizia nelle zone più prestigiose con tecniche ecologicamente avanzate a beneficio di una domanda abitativa che si identifica con i redditi più elevati[6]

A Roma Capitale [7] [8]

  • di rinunciare alle modifiche delle norme del Piano Regolatore che potrebbero introdurre la cosiddetta “indifferenza funzionale”: cambiare senza regole le destinazioni d’uso degli immobili equivale a mutamenti sostanziali nella fruizione della città (come per sale Bingo e centri commerciali al posto dei cinema e fast-food in prossimità delle Mura).  In alcune aree della città è necessario tutelare la residenza sociale, in altre rafforzare la quota di attività terziarie, in altre ancora è utile consentire la riconversione del produttivo verso la residenza. Non solo non sussiste alcuna esigenza di interesse pubblico che giustifichi la rinuncia a disciplinare le destinazioni d’uso in relazione ai diversi contesti della città, ma gli strumenti urbanistici verrebbero privati di una componente essenziale che dà senso e contenuti alla pianificazione;
  • di assumere come obiettivo non secondario che la rigenerazione sia funzionale al miglioramento della qualità dell’abitare dei residenti. Questo significa escludere le trasformazioni che possano accentuare ulteriormente la cosiddetta “gentrification” risultando già ora eclatante la perdita di abitanti del centro storico di Roma, di fatto inaccessibile ai nuclei familiari di reddito non elevato. Per converso, il PRG è rimasto lettera morta per tutta la “Città da ristrutturare”[9](“nuclei residenziali e produttivi cresciuti abusivamente che hanno bisogno di numerosi interventi finalizzati al miglioramento della qualità urbana”, dove risiedono, secondo la relazione di Piano, quasi 500.000 abitanti) e molti servizi previsti nelle zone “O”[10] non sono stati realizzati. In queste aree, interventi di rigenerazione potrebbero concorrere alla qualità urbana con luoghi di lavoro, servizi e spazi aperti di qualità, fermo restando che la decisione deve restare in mano pubblica per consentire la verifica rigorosa dell’interesse pubblico e della sostenibilità delle previsioni. In questa direzione appare decisivo utilizzare, per la definizione degli ambiti di riqualificazione, la classificazione del PRG con riferimento ai perimetri dei Programmi integrati della “Città da ristrutturare” (l’incidenza di questa porzione del territorio comunale è quasi pari alla città consolidata e ben due volte l’intera città storica);
  • di affrontare il tema ormai non più rinviabile dei grandi complessi industriali obsoleti e abbandonati che spesso sono localizzati su aree consumate, urbanizzate, spesso in vicinanza del trasporto pubblico su ferro. Possono diventare luoghi privilegiati per sperimentare interventi di rigenerazione mutando le destinazione a servizi per superare le carenze presenti in molti ambiti territoriali e, dove possibile, all’edilizia residenziale sociale;
  • di potenziare il  personale tecnico e amministrativo, allo stato attuale decisamente carente, degli uffici che si occupano della pianificazione urbanistica e delle procedure e verifiche delle trasformazioni urbane. L’incremento del personale e il coinvolgimento dei Municipi nell’istruttoria e nell’attuazione dei programmi deve risultare elemento strategico in una visione di decentramento metropolitano.

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

15 novembre 2022 (ultima modifica 17 gennaio 2023)

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NOTE

[

(…)

 

[1]Nella precedente versione del dossier avevamo indicato alcune richieste collegate alle modifiche contenute nell’art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 120 del 2020 “Decreto Semplicazioni” al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, in particolare all’art. 2 bis  comma 1 ter Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati e all’articolo 3, Definizioni degli interventi edilizi, comma 1, lettera d). Tuttavia ad un’attenta lettura, anche sulla base della Circolare congiunta Mit-Funzione Pubblica su edilizia  pubblicata tre mesi dopo la conversione, si tratta di modifiche che, da un lato ampliano e facilitano, in nome della “semplificazione”, le possibilità di trasformazione offerte agli interventi edilizi, dall’altra garantiscono ben poche tutele alle “zone omogenee A”, pur tirandole in ballo. Una delle modifiche, all’art. 2 comma 1ter del DPR se non per quanto riguarda, nel caso di demolizione e ricostruzione con cambio di sagoma, altezze, ecc il mancato rispetto delle distanze tra gli edifici  con conferma di quelle preesistenti,

se non per quanto riguarda, nel caso di demolizione e ricostruzione con cambio di sagoma, altezze, ecc il mancato rispetto delle distanze tra gli edifici  con conferma di quelle preesistenti, l’unica fattispecie per la quale in caso di deroga la legge impone  l’obbligo di “piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati  di competenza comunale”. Quanto alla modifica all’articolo 3, Definizioni degli interventi edilizi, comma 1, lettera d), che riguarda alcune restrizioni per la categoria degli interventi che rientrano nella “ristrutturazione edilizia”, occorre comunque tenere presente che è sempre possibile operare con modalità più invasive con il permesso di costruire. (> Vedi il nostro articolo Il decreto semplificazioni del 2020 e l’ennesima mancata tutela della Città storica del 16 gennaio 2023)

[2] Nota soppressa dopo modifiche al testo il 17 1 23

[3] Regione Lazio Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio Numero della legge: 7 Data: 18 luglio 2017 Numero BUR: 57 s.o. 3 Data BUR: 18/07/2017 https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=leggiregionalidettaglio&id=9313&sv=vigente

[4] Legge regione Lazio 7/2017  Art. 6 (Interventi diretti)

  1. Per il perseguimento di una o più delle finalità di cui all’articolo 1, previa acquisizione di idoneo titolo abilitativo di cui al d.p.r. 380/2001, sono sempre consentiti interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20 per cento della volumetria o della superficie lorda esistente ad eccezione degli edifici produttivi per i quali l’incremento massimo consentito non può superare il 10 per cento della superficie coperta. (2a)
  2. Nell’ambito degli interventi di cui al comma 1, oltre al mantenimento della destinazione d’uso in essere, sono altresì consentiti i cambi di destinazione d’uso nel rispetto delle destinazioni d’uso previste dagli strumenti urbanistici generali vigenti indipendentemente dalle modalità di attuazione dirette o indirette e da altre prescrizioni previste dagli stessi. Sono, altresì, consentiti i cambi all’interno della stessa categoria funzionale di cui all’articolo 23 ter del d.p.r. 380/2001.
  3. In applicazione dell’articolo 28, comma 5, della legge 14 novembre 2016, n. 220 (Disciplina del cinema e dell’audiovisivo), previa acquisizione di idoneo titolo abilitativo di cui al d.p.r. 380/2001, al fine di tutelare la funzione degli immobili già destinati alle attività cinematografiche e a centri culturali polifunzionali, di agevolare le azioni finalizzate alla riattivazione e alla rifunzionalizzazione di sale cinematografiche e centri culturali polifunzionali chiusi o dismessi, di realizzare nuove sale per l’esercizio cinematografico e nuovi centri culturali polifunzionali e i servizi connessi, di realizzare interventi per la ristrutturazione e l’adeguamento strutturale e tecnologico delle sale, sono consentiti:
    1. a)    interventi di ristrutturazione edilizia o di demolizione e ricostruzione con un incremento della volumetria o della superficie lorda esistente fino a un massimo del 20 per cento degli edifici esistenti;
    2. b)    interventi per il recupero di volumi e delle superfici accessorie e pertinenziali degli edifici esistenti.
  4. All’interno degli edifici destinati a teatri, sale cinematografiche e centri culturali polifunzionali, ivi inclusi gli edifici riattivati o rifunzionalizzati ai sensi del comma 3, è consentito l’esercizio di attività commerciali, artigianali e di servizi, fino ad un massimo del 30 per cento della superficie complessiva, purché tali attività siano svolte unitamente all’attività prevalente, come definita dall’articolo 78, comma 1, lettera a), della legge regionale 6 novembre 2019, n. 22 (Testo unico del commercio). (2c)

4 bis. Per gli interventi degli enti gestori di edilizia residenziale pubblica volti a recuperare e rifunzionalizzare, per attività socio-culturali e sportive con finalità sociali, le pertinenze o gli altri locali tecnici dismessi e le altre parti comuni degli edifici di cui all’articolo 1117 del codice civile, il contributo straordinario relativo agli interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o cambio di destinazione d’uso, è dovuto in misura non superiore al 10 per cento del maggior valore generato dagli interventi. (1.1)

  1. Gli interventi di adeguamento delle strutture ricettive all’aria aperta di cui all’articolo 23, comma 1, lettera c), della legge regionale 6 agosto 2007, n. 13, concernente l’organizzazione del sistema turistico laziale, alle prescrizioni di cui al regolamento regionale 24 ottobre 2008, n. 18 (Disciplina delle strutture ricettive all’aria aperta) e successive modifiche, si attuano con modalità diretta, nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo.
  2. Le disposizioni di cui al presente articolo non possono riferirsi ad edifici siti nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal PTPR.

[5] rispettivamente il 14 agosto 2017 e il 27 febbraio 2020

[6]  Vedi  https://www.carteinregola.it/index.php/legge-regionale-della-rigenerazione-urbana-quelle-modifiche-che-ne-possono-cambiare-il-senso-e-che-i-piu-ignorano/

[7] Le zone territoriali omogenee, fra cui quella indicata con la lettera  A, sono le zone in cui, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. Tali limiti e rapporti sono stati definiti per zone territoriali omogenee, con decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444  

[8] [9]  Note soppresse dopo modifiche al testo il 17 1 23

[9] La “Città da ristrutturare” è definita nelle NTA del PRG al Capo IV° Art. 51- 55 Art.51. Norme generali 1. Per Città da ristrutturare si intende quella parte della città esi- stente solo parzialmente configurata e scarsamente definita nelle sue caratteristiche di impianto, morfologiche e di tipo- logia edilizia, che richiede consistenti interventi di riordino, di miglioramento e/o completamento di tali caratteri nonché di adeguamento ed integrazione della viabilità, degli spazi e dei servizi pubblici.

[10] Le “Zone O” sono ex nuclei abusivi oggetto di Piani per il recupero urbanistico vedi Piani Particolareggiati di zone “O” http://www.urbanistica.comune.roma.it/zoneo.html

 

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