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Report della fondazione Gimbe su autonomia differenziata, DDL Calderoli e salute

Pubblichiamo il Report della Fondazione Gimbe, Fondazione che “ha lo scopo di favorire la diffusione e l’applicazione delle migliori evidenze scientifiche con attività indipendenti di ricerca, formazione e informazione scientifica, al fine di migliorare la salute delle persone e di contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico” e una sintesi del Report di Loretta Mussi, medico.

scarica Report Osservatorio GIMBE 2/2024 L’Autonomia differenziata in sanità

INDICE

  1. Premessa
  2. Le tappe dell’autonomia differenziata
  3. Le criticità del DdL sull’autonomia differenziata
  4. Le maggiori autonomie sulla tutela della salute richieste dalle Regioni Emilia-Romagna,Lombardia e Veneto
  5. Le diseguaglianze regionali in sanità
    5.1. Adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza
    5.2. Aspettativa di vita alla nascita
    5.3. Mobilità sanitaria
    5.4. Attuazione del PNRR Missione Salute
  6. Conclusioni
    Appendice 1. Tavola sinottica delle maggiori autonomie sulla tutela della salute richieste dalle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto

Report della fondazione Gimbe su autonomia differenziata, DDL Calderoli e salute

a cura di Loretta Mussi*

La Fondazione GIMBE ha recentemente pubblicato il suo ultimo report sull’autonomia differenziata in Sanità, analizzando il potenziale impatto delle nuove autonomie, cioè ex Art. 116, terzo comma, Titolo V° sulla tutela della salute. Riportiamo qui i punti e le criticità salienti di quanto elaborato da GIMBE.

  • I negoziati saranno condotti dal Presidente del consiglio con ciascuna giunta regionale: il Parlamento sarà quindi completamente emarginato in quanto potrà esprimere solo degli atti di indirizzo non vincolanti e così sarà per gli enti locali che andranno comunque consultati.
  • Le maggiori autonomie potranno essere richieste su tutte le 23 materie, attualmente nella competenza totale o parziale dello stato, senza, peraltro, dare alcuna motivazione sul perché del trasferimento.
  • Dopo l’approvazione delle intese tra Regione e Governo tutte le disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle regioni saranno determinate da commissioni paritetiche Stato-Regioni, anche se è stato più volte detto e scritto che non ci saranno risorse extra.
  • Per quanto riguarda i LEP, Livelli Essenziali delle Prestazioni, sappiamo che non sono stati approvati e che vi sta lavorando una Commissione tecnica. Secondo il report il trasferimento delle funzioni legate ai LEP alle Regioni potrà essere effettuato già dopo la definizione degli stessi, cioè senza che siano determinati i finanziamenti, mentre per le materie “non-LEP” si potrà procedere immediatamente. Ciò vale in particolare per la materia “tutela della salute”, perché, in questo caso, i LEP equivalgono ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), individuati fin dal 2001 attraverso due DPCM senza tuttavia stabilire specifici finanziamenti. Anzi, i LEA fanno da battistrada perché non essendo mai stato preso in considerazione il finanziamento degli stessi, almeno per i territori in difficoltà, si è concorso all’ulteriore e progressivo impoverimento delle regioni del Sud e all’aumento delle disuguaglianze tra Nord e Sud. Non solo nessun governo ha mai preso in considerazione di intervenire a sostegno delle regioni e delle aree più povere, ma ha continuato a ripartire il fondo sanitario nazionale (FSN) tra le Regioni indipendentemente dal l’applicazione dei LEA e sulla base della popolazione residente, solo in parte “pesata” per l’età, senza tener conto del reale fabbisogno.
  • E’ quindi presumibili che, non essendo ancora stati determinati i LEP, il trasferimento avverrà a prescindere dalla loro determinazione e senza il recupero dei divari tra le varie aree del paese.

Ciò è d’altronde in linea con quanto ripetuto nel DDL Calderoli, e altrove, che la legge-quadro e le singole intese non dovranno comportare costi per lo stato, anzi il Ministero dell’economia vigilerà che non vi siano finanziamenti per eventuali prestazioni aggiuntive necessarie a raggiungere i LEP.

Le richieste delle regioni che hanno già siglato le preintese nel 2018

E’ opinione diffusa che le Regioni godano già ora di un’ampia autonomia in materia di sanità e che quindi abbiano già anticipato l’AD. Questo è in parte vero, ma le misure più devastanti per il paese saranno introdotte con l’AD: alcune anticipazioni le conosciamo dalle preintese sottoscritte da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna nel 2018. In esse chiede tra l’altro:

  • Rimozione dei vincoli di spesa in materia di personale: questa è una misura legittima che lo stato avrebbe dovuto attuare ben prima, perché la mancanza di personale è tra le cause della crisi in cui versa il SSN. Non solo, tale carenza ha aumentato la spesa perché le amministrazioni hanno esternalizzato i servizi, spendendo di più, o, peggio sono ricorse a personale esterno, soprattutto medici, pagati a gettone, oltre a favorirne la fuga nel privato a causa dei bassi salari e dello stress lavorativo. E non va dimenticato che le figure che sono maggiormente carenti sono infermieri e figure tecniche.
  • Decisamente in contrasto con il SSN (Servizio Sanitario Nazionale) sono alcune istanza avanzate dalla Regione Veneto che chiede la contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, aprendo così alla  concorrenza tra Regioni, quindi favorendo il trasferimento di personale dal Sud al Nord, vanificando la contrattazione collettiva nazionale e danneggiando definitivamente i sindacati.  Anche l’autonoma determinazione delle borse di studio per le scuole di specializzazione e per i medici di medicina generale, senza una programmazione nazionale, potrà portare a forti squilibri tra le regioni.
  • L’altra richiesta che sancirebbe la fine, anche formale, di un SSN accessibile e uguale per tutti è la richiesta di autonomia nella determinazione del sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e compartecipazione nel governo delle aziende e altri enti sanitari, nella istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi e nell’accelerazione del welfare integrativo aziendale. L’autonomia in questi campi darebbe il via libera a sistemi assicurativo-mutualistici regionali completamente sganciati dalla normativa nazionale e collegati al privato. Si avrebbe un vero e proprio sovvertimento del ruolo dello Stato con aumento delle disuguaglianza tra regioni, ma anche tra territori di una stessa regione.

Le disuguaglianze regionali in sanità e sullo stato di salute

Il report si sofferma in particolare sui seguenti punti: applicazione dei LEA, aspettativa di vita alla nascita,  mobilità sanitaria, Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), attuazione della missione 6 del PNRR (Piano Nazionle di Ripresa e Resilienza).

I LEA, livelli essenziali di assistenza, sono prestazioni sanitarie che le regioni devono garantire gratuitamente oppure pagando un ticket. Si precisa che l’aggettivo “essenziale” sta ad indicare i livelli minimi erogati, cioè quei livelli che sono appena sufficienti a coprire i bisogni di salute.  A tale tema, nel report, sono dedicate alcune tabelle nel capitolo che tratta delle disuguaglianze in sanità. Lo stato verifica annualmente lo stato di attuazione dei LEA: dalle tabelle risulta che nelle prime dieci posizioni non vi sono regioni del Sud; solo nel 2020 si aggiunge la Puglia e nel 2021 si aggiungono Abruzzo e Basilicata. Anche i LEA (come i LEP) sono stati introdotti con la riforma del Titolo V° della Costituzione nel 2001: forse nella testa di qualche legislatore dovevano garantire l’uniformità delle prestazioni su tutto il territorio, ma non è andata così. Le disparità nell’erogazione delle cure non sono state sanate, ma si sono anzi aggravate. Non si può nemmeno dire che le ricognizioni che vengono annualmente fatte siano precise nel rispecchiare lo stato di salute delle popolazioni, perché l’Alto-Adige/Sudtirolo che non è tra le regioni virtuose, può vantare un buon stato di salute  della sua popolazione. Il mancato rispetto dei LEA, soprattutto al Sud, è dovuto alla penuria di servizi sanitari e risorse sia umane che finanziarie.

Nel 2022 L’aspettativa di vita alla nascita era di 82,6 anni (media nazionale). Gli estremi tra le regioni si avevano, nella Provincia autonoma di Trento con 84,2 anni e in regione Campania con 81 anni: un gap quindi di 3,2 anni. In tutte le 8 Regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, indice della bassa qualità dei servizi sanitari regionali, della difficoltà di accesso agli stessi, della scarsa diffusione di interventi di prevenzione primaria e secondaria e della mancanza di risorse.

La mobilità sanitaria da Sud verso Nord. A fronte del cattivo stato delle strutture del sud  aumentano i pazienti che emigrano per farsi curare al Nord. Nel periodo 2010-2021 tutte le Regioni del Sud ad eccezione del Molise (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a € 13,2 miliardi, mentre il saldo attivo lo hanno presentato proprio le tre Regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie. Nel 2021 su € 4,25 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 93,3% della mobilità attiva si concentrava in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, mentre il 76,9% del saldo passivo gravava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo

Pazienti che richiedono l’assistenza domiciliare integrata (ADI). In quasi tutto il paese le attività ADI non corrispondono alla richiesta, che ovviamente è destinata ad aumentare perché saremo sempre più anziani. Entro marzo 2023 avrebbero dovuto essere assistiti in ADI 296 mila pazienti over 65, ma la scadenza è slittata di 12 mesi per le grosse differenze regionali nella capacità di erogare l’assistenza domiciliare, a cominciare dal Centro-Sud. Per assistere almeno il 10% della popolazione over 65 in ADI il PNRR si è posto allora l’obiettivo di aumentare il numero delle persone prese in carico passando da 296 mila pazienti a oltre 808 mila. Tale obiettivo è difficilissimo da  raggiungere al Centro-Sud. Mentre infatti,  Emilia-Romagna, Toscana e Veneto per raggiungere il target 2026 devono aumentare i pazienti ADI rispettivamente del 35%, del 42% e del 50%, al Centro-Sud i gap sono abissali: la Campania deve incrementarli del 294%, il Lazio del 317%, la Puglia del 329% e la Calabria addirittura del 416%.

Problemi nell’attuazione della Missione Salute del PNRR. Data la situazione di disuguaglianza delle regioni del centro-sud rispetto al Nord, che si aggraverà con l’Autonomia Differenziata, il PNRR incontrerà parecchie difficoltà di attuazione nei 21 sistemi sanitari regionali, per la carenza di personale infermieristico, per la diversa capacità organizzativa e di intervento delle regioni, per la diversa dotazione di partenza delle strutture – Case di Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedali di Comunità – di cui, tra l’altro, è prevista la ulteriore riduzione. Anche perché questo governo e il DDL Calderoli non hanno previsto di utilizzare il PNRR per perseguire il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud.

Si tace nel rapporto su due capitoli fondamentali: la prevenzione primaria, che tutela la salute  attraverso la tutela dell’ambiente, promuove interventi a favore della salute nelle politiche di altri settori come  trasporti, edilizia, urbanistica, agricoltura, energia, rifiuti, istruzioni…..

La sicurezza sul lavoro che è stata completamente disattesa con i risultati che sappiamo. 


Possiamo concludere con le parole  di Cartabellotta, presidente GIMBE. “L’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità, perché renderà le Regioni del Centro-Sud sempre più dipendenti dalle ricche Regioni del Nord, le quali a loro volta rischiano di non essere più in grado di far fronte alle richieste dei propri cittadini e di quelli in mobilità. Ovvero, l’autonomia differenziata non solo porterà al collasso della sanità del Mezzogiorno, ma darà anche il colpo di grazia al SSN, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti. Stiamo di fatto rinunciando alla più grande conquista sociale del Paese e ad un pilastro della nostra democrazia solo per un machiavellico ‘scambio di cortesie’ nell’arena politica tra i fautori dell’autonomia differenziata e i fiancheggiatori del presidenzialismo. Due riforme che, oltre ogni ragionevole dubbio, spaccheranno l’unità del Paese Italia“.

*Loretta Mussi, medico

Vai a Autonomia regionale differenziata- Cronologia e materiali

Vai a Autonomia regionale differenziata- Domande & Rispostea cura di Carteinregola e Gregorio De Falco

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Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

8 aprile 2024

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