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Poesie sulla povertà

Fotoambm

Fotoambm

a cura di Luana Firmani

1) Gli emigranti

di Edmondo De Amicis

 

Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,

Pallidi, in atto addolorato e grave,

Sorreggendo le donne affrante e smorte,

Ascendono la nave

Come s’ascende il palco de la morte.

 

E ognun sul petto trepido si serra

Tutto quel che possiede su la terra.

Altri un misero involto, altri un patito

Bimbo, che gli s’afferra

Al collo, dalle immense acque atterrito.

 

Salgono in lunga fila, umili e muti,

E sopra i volti appar bruni e sparuti

Umido ancora il desolato affanno

Degli estremi saluti

Dati ai monti che più non rivedranno.

 

Salgono, e ognuno la pupilla mesta

Sulla ricca e gentil Genova arresta,

Intento in atto di stupor profondo,

Come sopra una festa

Fisserebbe lo sguardo un moribondo.

 

Ammonticchiati là come giumenti

Sulla gelida prua morsa dai venti,

Migrano a terre inospiti e lontane;

Laceri e macilenti,

Varcano i mari per cercar del pane.

 

Traditi da un mercante menzognero,

Vanno, oggetto di scherno allo straniero,

Bestie da soma, dispregiati iloti,

Carne da cimitero,

Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.

 

Vanno, ignari di tutto, ove li porta

La fame, in terre ove altra gente è morta;

Come il pezzente cieco o vagabondo

Erra di porta in porta,

Essi così vanno di mondo in mondo.

 

Vanno coi figli come un gran tesoro

Celando in petto una moneta d’oro,

Frutto segreto d’infiniti stonti,

E le donne con loro,

Istupidite martiri piangenti.

 

Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora

Il suol che li rifiuta amano ancora;

L’amano ancora il maledetto suolo

Che i figli suoi divora,

Dove sudano mille e campa un solo.

 

E li han nel core in quei solenni istanti

I bei clivi di allegre acque sonanti,

E le chiesette candide, e i pacati

Laghi cinti di piante,

E i villaggi tranquilli ove son nati!

 

E ognuno forse sprigionando un grido,

Se lo potesse, tornerebbe al lido;

Tornerebbe a morir sopra i nativi

Monti, nel triste nido

Dove piangono i suoi vecchi malvivi.

 

Addio, poveri vecchi! In men d’un anno

Rosi dalla miseria e dall’affanno,

Forse morrete là senza compianto,

E i figli nol sapranno,

E andrete ignudi e soli al camposanto.

 

Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora

Dai muti clivi che il tramonto indora

La man levate i figli a benedire…

Benediteli ancora:

Tutti vanno a soffrir, molti a morire.

 

Ecco il naviglio maestoso e lento

Salpa, Genova gira, alita il vento.

Sul vago lido si distende un velo,

E il drappello sgomento

Solleva un grido desolato al cielo.

 

Chi al lido che dispar tende le braccia.

Chi nell’involto suo china la faccia,

Chi versando un’amara onda dagli occhi

La sua compagna abbraccia,

Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.

 

E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,

E un suon di pianti e d’urli di dolore

Vagamente confuso al suon dell’onda

Viene a morir nel core

De la folla che guarda da la sponda.

 

Addio, fratelli! Addio, turba dolente!

Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,

V’allieti il sole il misero viaggio;

Addio, povera gente,

Datevi pace e fatevi coraggio.

 

Stringete il nodo dei fraterni affetti.

Riparate dal freddo i fanciulletti ,

Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,

Sfidate uniti e stretti

L’imperversar de le sciagure umane.

 

E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,

E tornare ai villaggi umili e cari,

E ritrovare ancor de le deserte

Case sui limitari

I vostri vecchi con le braccia aperte.

 

2)Moriremo lontani.

di Cristina Campo

 

Moriremo lontani. Sarà molto

se poserò la guancia nel tuo palmo

a Capodanno; se nel mio la traccia

contemplerai di un’altra migrazione.

Dell’anima ben poco

sappiamo. Berrà forse dai bacini

delle concave notti senza passi,

poserà sotto aeree piantagioni

germinate dai sassi…

O signore e fratello! ma di noi

sopra una sola teca di cristallo

popoli studiosi scriveranno

forse, tra mille inverni:

«nessun vincolo univa questi morti

nella necropoli deserta».

 

2)Ultimo brindisi

di Anna Achmàtova

 

Bevo a una casa distrutta,

alla mia vita sciagurata,

a solitudini vissute in due

e bevo anche a te:

all’inganno di labbra che tradirono,

al morto gelo dei tuoi occhi,

ad un mondo crudele e rozzo,

ad un Dio che non ci ha salvato.

 

3)La povertà

(Neruda)

 

Ahi, non vuoi,

ti spaventa

la povertà,

non vuoi

andare con scarpe rotte al mercato

e tornare col vecchio vestito.

Amore, non amiamo,

come vogliono i ricchi,

la miseria. Noi

la estirperemo come dente maligno

che finora ha morso il cuore dell’uomo.

Ma non voglio

che tu la tema.

Se per mia colpa arriva alla tua casa,

se la povertà scaccia

le tue scarpe dorate,

che non scacci il tuo sorriso

che é il pane della mia vita

Se non puoi pagare l’affitto

esci al lavoro con passo orgoglioso,

e pensa, amore, che ti sto guardando

e uniti siamo la maggior ricchezza

che mai s’è riunita sulla terra.

 

4)Ho visto un povero

Antonella Fadda

ho visto un povero,

era un vecchio,

sedeva ai margini della società;

e da lì, poteva vedere indisturbato

la scena del mondo che passava.

 

Ho visto un povero,

era una mamma,

che dal suo magro sacchetto

della spesa,

traeva qualcosa da dare

a chi aveva meno di lei.

 

Ho visto un povero,

era un bimbo,

che tra i libri di scuola

cercava invano

nello zainetto

la sua merenda.

 

Che silenzio, che quiete,

I poveri non fanno rumore,

per non disturbare,

e piano si avviano

sul far della sera,

col cuore sereno

alla casa del Padre.

 

5)Albania

Rami Saari

E i più poveri di loro

erano più miserabili dei più poveri,

e le poche volte che lavoravano – sempre provvisoriamente –

non riuscivano a mantenere neanche se stessi,

però la loro miseria la portavano con orgoglio, come una corona,

come un’aureola sopra le sante teste delle chiese levantine.

Nel frattempo i loro anni passavano da un letto all’altro

in una realtà che sembrava insopportabilmente ardua,

però adesso il tempo avvicina già

l’arcobaleno al bordo dell’orizzonte.

Destino mio, benedicili tutti,

quelli che un tempo amai.

 

6)Il pane che ti avanza

San Basilio

 

Il pane che ti avanza appartiene a chi ha fame.

Il mantello che tieni nell’armadio

a chi sente freddo,

le scarpe che si deteriorano nei tuoi palazzi

sono di coloro che vanno scalzi,

quel denaro che conservi gelosamente nello scrigno

è di chi ne ha bisogno.

Ecco che commetti tante ingiustizie

quante sono le persone che potresti aiutare;

noi riceviamo ma non diamo agli altri;

tutti siamo i primi a tessere gli elogi della beneficienza

ma priviamo i poveri del necessario

schiavi liberati, non abbiamo pietà

dei compagni di sventura;

affamati diventati sazi, non degniamo di uno sguardo

il misero;

i nostri granai sono troppo piccoli

per gli abbondanti raccolti,

eppure non abbiamo compassione di quelli

che giacciono nella miseria.

 

8)Il giorno più bello della storia

Gianni Rodari

 

S’io fossi un fornaio

Vorrei cuocere un pane

Così grande da sfamare

Tutta, tutta la gente

Che non ha da mangiare

Un pane più grande del sole

Dorato profumato

Come le viole

Un pane così

Verrebbero a mangiarlo

Dall’India e dal Chilì

I poveri, i bambini

i vecchietti e gli uccellini

Sarà una data da studiare a memoria:

un giorno senza fame!

Il più bel giorno di tutta la Storia.

 

9)Il treno degli emigranti

Gianni Rodari

Non è grossa, non è pesante

la valigia dell’emigrante…

C’è un po’ di terra del mio villaggio,

per non restar solo in viaggio…

un vestito, un pane, un frutto

e questo è tutto.

Ma il cuore no, non l’ho portato:

nella valigia non c’è entrato.

Troppa pena aveva a partire,

oltre il mare non vuole venire.

Lui resta, fedele come un cane.

nella terra che non mi dà pane:

un piccolo campo, proprio lassù…

Ma il treno corre: non si vede più.

 

10)Un uomo del mio tempo

Salvatore Quasimodo

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

Il Mendico

Edmondo De Amicis

 

Son digiuno, signor, da questa mane,

« Ei va dicendo » casco di languore;

« Datemi qualche cosa, o buon signore;

« Datemi un soldo per comprar del pane.

 

« Son vecchio e solo, campo come un cane,

« Dormo in un covo che mi mette orrore,

« M’è morto un figlio, son malato al core

« Ho tutte, tutte le disgrazie umane.

 

« Movetevi a pietà, ve ne scongiuro!

« Un soldo, signor mio, son mezzo morto;

« Un soldo per comprarmi del pan duro,

 

« Un soldo per un vecchio in agonia! »

E tu nel lieto giornaletto assorto,

Segui vigliaccamente la tua via.

 

L’aria è piena di grida

Antonella Nedda

Pensi davvero che basti non avere colpe per non essere puniti,

ma tu hai colpe.

L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,

basta sfregare leggermente.

Dai mattoni salgono respiri, brandelli di parole.

Ferri di cavalli morti circondano immagini di battaglie

Le trattengono prima che vadano in un futuro senza cornici.

 

Cosa ci rende tanto crudeli gli uni con gli altri?

Cosa rende alcuni più crudeli di altri?

Le crudeltà subite e poi inghiottite fino a formare una guaina

con aculei sul corpo ferito?

O semplicemente siamo predestinati al male,

e la vita è solo fatta di tregue dove sostiamo

per non odiare e non colpire?

 

 

I Poveri

Alfonso Gatti

da “Poesie”

I poveri hanno il freddo della terra.

Nella città spiovente, ai tetti, al fumo

tranquillo delle case, il giorno migra

nel colore d’oriente: così calma

la sera agli occhi mesti si fa lume.

Io li ricordo contro un cielo d’aria,

i poveri stupiti, come l’agro

verde dei prati sfiora nella pioggia

una velata eternità di sole.

 

C’è nel riso dell’uomo

Mariangela Gualtieri

da “Antenata”

C’è nel riso dell’uomo

la meraviglia

sotto la pelle dei pezzi di pane

da mangiare subito

si vedono le corde vive nei bracci

poi verrà la pioggia

a lavare le schiene

infilare la tosse nei petti

 

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente

Franco Loi

da “Liber” (1988)

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,

forse memoria siamo, un soffio d’aria,

ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,

forse il ricordo d’una qualche vita perduta,

un tuono che da lontano ci richiama,

la forma che sarà di altra progenie…

Ma come facciamo pietà, quanto dolore,

e quanta vita se la porta il vento!

Andiamo senza sapere, cantando gli inni,

e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.